«Noi scampati alla pena di morte» di Enrico Singer

«Noi scampati alla pena di morte» Un giapponese ha scontato trentaquattro anni, un texano ventidue, una «terrorista» libanese cinque: erano tutti innocenti «Noi scampati alla pena di morte» Una vita in carcere aspettando la fine Enrico Singer inviato a STRASBURGO Sakae Menda è un mite, anziano signore giapponese col suo abito grigio perla e con la moglie sempre al fianco. Kerry Max Cook è un texano grande e grosso dall'aria di bambino triste. Antoinette Chahine è una giovane donna libanese cristiano maronita con gli occhi profondi e neri. Tra i politici in giacca blu arrivati da ogni parte del mondo a Strasburgo per il primo Congresso mondiale contro la pena di morte, sembrano quasi fuori posto. Eppure i protagonisti di questa grande kermesse per bandire le esecuzioni capitali dal pianeta, in fondo, sono proprio loro. Sono tre sopravvissuti. Tre scampati all'impiccagione, all'inie�zione letale o alla fucilazione, se�condo gli usi dei loro Paesi. Sono i superstiti della pena di morte. Riconosciuti innocenti e liberati dopo avventurosi tentativi di revisione dei processi. Miracola�ti, forse. Perché, come dice Sakae Menda, «convincere una Corte su�prema a riaprire un caso è davvero un miracolo». Raccontano le loro storie con una serenità che stupi�sce. O che si spiega soltanto con la forza che può dare la consapevolez�za di essere usciti da un incubo che sembrava senza fine. Antoinette Chahine aveva vent'anni quando fu arrestata a Beirut dopo un attentato. La sua è una vicenda intrecciata alla guerra civile. Era il 1994 quando la polizia la catturò a casa sua. Fu presa lei perché il fratello più grande faceva parte di un gruppo che non aveva accettato la tregua. Poi le torture e la condan�na a morte pronunciata nel 1997. Della sua storia, Antoinette ha in testa quattro immagini. La sta�tuetta della Madonna che i poliziot�ti fanno a pezzi quando entrano in casa. Gli intenogatori in cui le chiedevano soltanto dove fosse scappato suo fratello Jean e mai di quell'attentato contro mia chiesa. La condanna a morte: «Quando l'ho ascoltata sono svenuta e per un mese non sono riuscita più a parlare né a camminare». Poi, nel 1999, la revisione del processo sotto la spinta di Amnesty Interna�tional, e l'assoluzione. «Ho pensa�to al sole, alla brezza del mare, alla mia famiglia». Non ci credeva più Antoinette Chahine: in cinque an�ni di prigione aveva visto quattor�dici altri condannati andare a mor�te. Ma si è salvata. Il 1999 è stato l'anno del ritomo alla vita anche per Kerry Max Cook. Lui nel braccio della morte del penitenziario di Huntsville, Texas, c'è rimasto per 22 anni, però. Era un giovanotto dicianno�venne quando fu accusato di avere stuprato e ucciso una ragazza. Figlio di un militare pluridecorato, era appena tornato in America dalla Germania, dove aveva vissu�to con la famiglia in una base. «Il Texas era molto diverso. Uno shock per me. Rubai un'auto della polizia, una pazzia, lo so». La sua rovina. Rilasciato, ma schedato: le sue impronte digitali negli archivi, duelle impronte che, la stessa esta�te, la polizia trovò nell'apparta�mento della ragazza assassinata. «Era una mia amica. Frequenta�va il music-bar dove lavoravo. Ero stato con lei una sera. Ci eravamo salutati con un bacio. La trovaro�no violentata e uccisa tre giomi dopo. Ho subito detto che non ero stato io, ma non mi hanno credu�to». La condanna era arrivata dopo un processo rapido, nel 1977, e da allora fino a due anni fa Kerry è rimasto in isolamento. Uno stupro lo racconta: quello che ha subito in carcere dai secondini. Kerry Max Cook rivive la sua storia in jeans e maniche di camicia. Al suo fianco nell'emiciclo del Consiglio d'Euro�pa c'è Bianca Jagger, che da tempo si è dedicata alla battaglia contro la pena di morte. «Amo il mio Paese dice Kerry e vorrei che fosse il primo del mondo anche nel rispetto dei diritti umani». Ma la vicenda più dura è quella che racconta Sakae Menda: 76 anni, di cui 34 passati nel carcere di Fukuoka. Anche lui quando fu arrestato era un ragazzo e il Giap�pone, nell'inverno del 1948, era ancora in ginocchio dopo la guer�ra. Non si vergogna di ricordare che aveva passato la notte con una prostituta e che, la mattina, si era svegliato con le manette ai polsi. Arrestato perché nel quartiere era stato rapinato in casa e ucciso un monaco. «Volevano un colpevole. I poliziotti mi dicevano: anche se abbiamo perso la guerra, noi sia�mo scelti dall'Imperatore e tu sei un disgraziato». Per ottenere una confessione, Sakae Menda fu tortu�rato. Fu anche appeso nudo, a testa in giù, al soffitto. Ventitré giorni terribili. Fino a una confessione. «Ho detto: sì, sono stato io e ho chiesto una sigaretta». Il Giappone la confessio�ne da sola basta come prova per la condanna. E non vale ritrattarla. Per sei volte Sakae Menda ha chiesto la revisione del processo e l'ha ottenuta nel '79. Dall'BS è lioero perché il tribunale ha ricono�sciuto che la confessione fu estorta con le torture. Ha ottenuto anche un indennizzo: 120 mila lire per ogni giorno di detenzione. Un mi�liardo e mezzo di lire del quale ha dato la metà al movimento aboli�zionista, di cui è ormai il simbolo. Ma per la legge è ancora condanna�to alla pena capitale: «In Giappone la pena non può essere annullata. E' come se fosse sospesa. Io vivo tra la gente, ma sono sempre un condannato a morte». Il primo, torturato per 23 giorni, confessò un omicidio Ora è libero, ma per la legge del suo Paese rimane un condannato all'impiccagione Le drammatiche testimonianze dei sopravvissuti sono state raccontate al primo Congresso mondiale contro la pena di morte che si svolge a Strasburgo

Luoghi citati: America, Beirut, Germania, Giappone, Strasburgo, Texas