Che tempo fa? E tempo da guerra

Che tempo fa? E tempo da guerra Che tempo fa? E tempo da guerra libri messi insie: me in gran fretta I per dare un se�guito ai best-sel�ler suscitano di soli�to una motivata dif�fidenza; e a tutta prima quest'opera del giornalista cana�dese (ma di origine austriaca) Erik Durschmied conferma le peggiori aspettative. Il successo intemazionale del suo Eroi per caso. Come l'imprevisto e la stupidità han�no vinto le guerre, tradotto l'anno scorso da Marietti, è chiaramente l'unica ragione per cui l'autore ha confeziona�to a tempo di record questo secondo volume. Per far eco al predecessore. Il Generale In�verno porta il sottotitolo Come i capricci del clima hanno vinto le guerre; ma in realtà, per rimpolpare una materia che un certo punto dev'essere sembrata troppo scarsa, si di�lunga anche su argomenti che con la guerra non c'entrano affatto: un capitolo racconta l'arresto di Robespierre in un giorno piovoso del luglio 1794, un altro addirittura la grande carestia delle patate nell'Irlan�da del 1845-47. Fra i capitoli che trattano davvero di eventi bellici molti, e soprattutto i primi in ordine cronologico, non vanno oltre il livello d'una banale compilazio�ne. Sia che racconti la sconfitta di Varo nella Selva di Teutoburgo, il vento divino (kamikaze) che nel 1281 disperse la flotta di Kubilay Khan al largo del RECENAlessBa SIONE ndroero Giappone, o la disa�strosa ritirata della Grande Armée in Russia, l'autore im�pasta materiali di seconda mano, rica�vati oltretutto da una bibliografia piuttosto invecchia�ta. I dettagli rivelano la sua scarsa familiarità con le epo�che lontane in cui ha voluto addentrarsi (una lettera scritta alla fine del Settecento è "un foglio di pergamena"); e i suoi commenti di apparente buon�senso sconfinano a volte nell'as�surdo ("Facile immaginare il terrore dell'uomo primitivo la prima volta che vide i giorni accorciarsi e farsi più' freddi e le notti diventare più' lunghe". dove il bello sta appunto nel riuscire a immaginarsi quella "prima volta"). La fatica della lettura è ag�gravata dal pullulare degli erro�ri che per carità chiameremo di stampa, ma che sembrano an�che tradire una scarsa consue�tudine redazionale con le lin�gue straniere: "sotto schock", "a bas le tyrant", "Herr Lieutnant", e in latino "nominae" per "nomine". Anche i nomi propri sono volentieri migliorati: Clausewitz diventa "Klausewitz", che certo suona più teutonico, mentre l'ammiraglio 'Bull' Halsey diventa "Harsey". Il punto più basso si tocca con l'epigrafe del capitolo nono, dove il canto degli schutzen tirolesi, mobilitati nel 1915 per far fronte all'offensiva di Ca�dorna ("Walsche foch'n miiassn mir giahn"), anziché "Dobbia�mo andare a combattere gli italiani" è tradotto, grottesca�mente, "Italiani, dobbiamo an�dare a combattere!" Ma è il punto più' basso, appunto; e di qui, inaspettata�mente, Il Generale Inverno decolla. Sarà che Durschmied è un vecchio corrispondente di guerra e la guerra moderna l'ha vista coi suoi occhi: e diversa�mente da quella antica, sa raccontarla eccome. Sarà che la sua infanzia nell'Austria de�gli Anni Trenta e Quaranta lo ha messo a contatto coi vetera�ni disillusi di due guerre mon�diali: proprio il nono capitolo, «La morte bianca», dedicato ai durissimi combattimenti inver�nali di italiani e austriaci fra le nevi assassine delle Alpi, è frutto "dei racconti fatti all'au�tore da suo padre, dal 1915 al 1918 ufficiale di uno dei batta�glioni di kaiserschùtzen". Certo è che in tutti i capitoli novecenteschi la narrazione si fa viva e stringata, le descrizio�ni spesso memorabili. Che si tratti delle valanghe che seppel�livano imparzialmente alpini e tirolesi, provocate magari a bella posta dal tiro delle arti�glierie, o del tifone che nel dicembre 1944 spazzò via una squadra americana nel Mar delle Filippine, l'incontro fra il tempo atmosferico e l'agire de�gli uomini qui acquista davve�ro una grandezza tragica. Il culmine, non a caso, è il capitolo sul Vietnam, dove Dur�schmied parla ormai in prima persona, rievocando un'espe�rienza terrificante vissuta in�sieme ai marines, a caccia di vietcong nel delta del Mekong. In questi capitoli anche gli aneddoti che altrove risultava�no troppo spesso un semplice riempitivo acquistano un sen�so indiscutibile. Chi sapeva che Jochen Peiper, lo spietato Obersturmbannfuhrer-SS, responsa�bile durante la battaglia delle Ardenne della strage di Malmédy, mor�nel 1967 nella sua casa di Parigi, in un incendio doloso appiccato da ignoti il 14 luglio? Oppure, passando dal tragico al farsesco, che durante la guerra del Vietnam la Cia elaborò un piano, poi archivia�to, per far ubriacare i camioni�sti nordvietnamiti paracadu�tando casse di Budweiser sul Sentiero di Ho Chi Minh? Ma l'impressione più viva è la confidenza con cui l'autore sa ricreare il linguaggio dei soldati: dal G�americano che nel 1944, davanti allo sbarra�mento di palloni frenati che si ergeva sulla costa inglese, sbot�tò: "Perché non tagliano i cavi e lasciano che la maledetta isola vada a fondo?", ai cinici e sboccati veterani della Wehrmacht, cos�diversi dai nazisti ingessati che vediamo di solito al cinema ("Maledetta merda! L'intera compagnia ci rimette�rà il culo!"). Con questa capacità di rac�contare i soldati e di farli parlare, il corrispondente di guerra Erik Durschmied riscat�ta tutta la legnosità polverósa dei legionari o dei samurai che s'è costretto a mettere in scena nella prima metà del libro. RECENSIONE AlessandroBarbero «IL GENERALE INVERNO», IL CLIMA FATTORE DETERMINANTE DELLA STORIA MILITARE: UN SAGGIO PIENO DI IMPRECISIONI CHE SI RISCATTA RACCONTANDO LE BATTAGLIE DEL '900 Il «Generale Inverno» sconfisse Napoleone nella campagna i6r SH6SO Erik Durschmied II Generale Inverno Flemme, pp. 413, L 38.500 SAGGIO

Luoghi citati: Ardenne, Austria, Filippine, Giappone, Parigi, Russia, Vietnam