Ada, qui non ti tradisco

Ada, qui non ti tradisco Ironico, lucido e appassionato: pubblicate le lettere famigliari di un grande antifascista Ada, qui non ti tradisco Emesto Rossi dalla cella rassicura la moglie Massimo L. Salvador! «Ni ON ho mai apprezza�to tanto la vita da ritenere che per vi�verla fuori di galera convenga di rinunciare alla tranquillità della propria coscienza». E que�sto un breve passo di una lette�ra scritta da Emesto Rossi il 3 marzo 1933 alla moglie Ada, da lui sposata l'anno precedente in carcere. Vi era tutto l'uomo e l'antifascista. Le righe citate erano state censurate; e noi possiamo leggerle ora grazie all'opera meritoria di Mimmo Franzinelh, il quale, dopo esser�sene fatto anche restauratore (grazie a tecniche complesse da lui descritte), ha curato il carteg�gio di Rossi con la madre Elide Verardi e la moglie Ada Rossi, pubblicato dalla Bollati Boringhieri con il titolo Nove anni sono molti. Lettere dal carcere 1930-39. Si tratta di un volume di oltre 800 pagine: troppe, può sembrare a prima vista. Ma chi prenda a leggerle, non si pente. Esse sono un capolavoro, una testimonianza altissima, degna di collocarsi accanto alle lettere dal carcere di Antonio Gramsci. Un Rossi, quello che appare, forte e sereno, severo nella sua moralità ma alieno da ogni moralismo, sicuro senza tenten�namenti della scelta di lotta al fascismo che gli ha spezzato la vita. Scrive Vittorio Foa, suo compagno di fede e di cella, in una testimonianza che apre il volume, che quelle di Rossi sono le lettere private ai suoi familiari, ma non «normali lette�re private», poiché tra Elide e Ada da un lato e Emesto dall'al�tro in mezzo vi era «qualcun altro»: il potere fascista con la sua censura. Onesta è una chia�ve di lettura essenziale, poiché le lettere di Emesto non sono scritti di un uomo che possa liberamente esprimersi, anzi�tutto in tema di politica. Eppu�re egl,!trpyai mezzipe^.continuare il suo cammino anche dai fogli ch'era costretto a conse�gnare al censore. Non può parla�re della politica presente diret�tamente, e allora lo fa parlando di quella passata, di cultura, di correnti ideologiche e politiche, del Risorgimento, della guerra mondiale, di quell'economia che era il suo campo professio�nale. E non può parlare a suo agio neppure dei suoi sentimen�ti né con la madre né, soprattut�to, con la moglie a cui era unito solo spiritualmente. Ciò nono�stante, quel che passava attra�verso la censura comunicava la ricchezza umana di un figlio che adorava la madre e di un marito che amava la moglie, alla quale spiritosamente assi�curava di non tradirla. Emesto scrive di economisti, uot lini politici, storici e filoso�fi, ma poi gh scatta la vena beve, che lo porta a raccontare con verve della battaglia contro pulci e cimici, dell'amore di gatti di cui ode dalla finestra i furori. L'impressione che il let�tore ricava da queste lettere è l'esempio di una desanctisiana serietà della vita, lievitata da un umorismo disincantato che Rossi esprimeva anche nei suoi famosi disegnini. Destinatarie delle lettere so�no principalmente la madre e la moglie. Ma le lettere sono popo�late di tanti personaggi. Vi sono i compagni di fede e di lotta i divenuti compagni di cella, co�me Bauer, Foa, Mila, Rossi-Doria, con i quali Rossi condivide la grigia quotidianità della pri�gione illuminata dalle letture comuni, dalle discussioni e an�che dagli accapigliamenti provo�cati da certi dissensi. Gran moti�vo di disaccordo specie con Bauer era il giudizio sulla filoso�fia di Croce, verso cui egli provava una salveminiana in�sofferenza; a Foa rimproverava l'inclinazione ad affrontare tal�volta i problemi con atteggia�mento «avvocatesco». Rossi sa�peva però convivere anche con compagni diversi, operai, gente del popolo, con i quali trovava modi di un vivo scambio umano e intellettuale. Accanto ai compagni di cella in carne ed ossa, vi erano quelli con cui nutriva il suo spirito, gli autori che leggeva in un ininter�rotto colloquio di cui riferiva alla madre e alla moglie. Legge libri e ne fa come rapide e acute recensioni. Accanto agli econo�misti, Ricardo, Marshall, Ferra�ra,; Wicksteed, Pigou, Keynes, Emaudi, legge Beccaria, Toc�queville, Bryce, Freud, Minghetti, Oriani, Croce, Ruffini, Volpe, Trockij, Trevelyan, ecc., manife�stando amori e idiosincrasie alla luce della sua inamovibile preferenza di neoilluminista empirista per i discorsi chiari e concreti. La riflessione su fatti e realtà contemporanei fu occa�sione per esporre idee poi ogget�to di suoi progetti e opere suc�cessive di uomo libero, come quelle relative al servizio indu�striale obbligatorio e alla piaga della miseria. In quanto libera�le e liberista, lo vediamo preoc�cuparsi per la sempre maggiore inyadenza dello Stato tiranni�co, di cui il comunismo e il fascismo costituivano le massi�me espressioni, e rivendicare i benefici del mercato libero e della libertà spirituale e politi�ca; e quindi esaltare le lotte per la libertà nel Risorgimento per sottolineare il male della ditta�tura. Un posto altrettanto im�portante ha nel carteggio la letteratura. Rossi legge moltissi�mi scrittori. Ama Manzoni, Set�tembrini, Hugo, Dostoevskij, Kafka, Collodi, il giovane Mora�via, non Goethe, Balzac, Pellico, per fare solo alcuni nomi. Attra�verso questi autori viveva tan�ta parte della «commedia uma�na» nelle sue grandezze e mise�rie. Nelle lettere vero faro di combattente e di uomo appare Mazzini, anche se Rossi ammi�rava molto di più per le sue qualità pohtiche Cavour e per il tipo di cultura Cattaneo. Ma Rossi vedeva in Mazzini l'uomo che incarnò la fede nel dovere quale che ne fosse il prezzo. Onesta sua etica mazziniana era tanto più notevole, dal mo�mento che egli aveva una conce�zione pessimistica e machiavel�lica dell'uomo. Come concilias�se i due termini lo espresse mirabilmente in una lettera al�la madre, dove fece con poche pennellate il suo autoritratto: «Tu sai che io non mi sono mai fatto delle illusioni su quello ch'è possibile ottenere dagli uo�mini, ch'io conosco quali li vedeva il Machiavelli, e non quali li vedeva il Rousseau; ma non reagire contro la malvagità e l'ingiustizia per me vuol dire divenirne complici, e questo istintivamente mi ripugna». Detenuto con Bauer e Foa, leggeva Ricardo o.Keynes e disegnava vignette satiriche Co l.'^ C-«!-~^~0-tó ,^JO*»*,o~c» o&U^'t'^. «t^w-vjco^-o--0 oy^-^-^j. ; 2ui Un disegno di Ernesto Rossi con la caricatura di Riccardo Bauer e Vittorio Foa, suoi compagni di cella L'economista liberale rimase in carcere nove anni, dal 1930 al 1939 Ernesto Rossi