Nel bosco dei briganti di Oreste Del Buono

Nel bosco dei briganti LUOGHI COMUNI Personaggi e memorie dell'Unità d'Italia di Oreste del Buono e Giorgio Boatti (gboatti@venus.it) Nel bosco dei briganti Immàgini di un sequestro del 1865 a Salerno: il diario dello svizzero Lichtensteiger, fra criminalità e folklore A ogni tempo e a ciascuno il proprio modo di ricorda�re. L'industriale bresciano Soffiantini si è rivolto al grande schermo e all'interpretazio�ne di Michele Placido per riandare alle drammatiche vicende del se�questro di cui è stato vittima. Lo svizzero Johnann Jakob lichensteiger per ricostruire la vicende del suo rapimento avvenuto a Sa�lerno nel 1865 s'affida, al passo coi suoi tempi, ad un diario. Tuttavia cogliendo le opportunità offerte dafi'inizio dell'impiego della mac�china fotografica, anche sul fronte della documentazione della lotta al brigantaggio meridionale il volu�me di Lichensteiger Quattro mesi fra i briganti (titolo originale "Vier Menate unter den Briganten in den Abruzzen", Meilen 1894 ) uni�sce al testo anche immagini che imprimono ulteriore vivezza al re�soconto. Disegnatore tecnico, lichenstei�ger è stato sequestrato dalla banda del brigante Gaetano Manzo la sera del 13 ottobre del 1865, all'in�terno della stessa fabbrica salerni�tana, di proprietà di Albert Wenner, per cui lavora. Obiettivo prin�cipale dell'azione criminale è il figlio del titolare dello stabilimen�to, Fritz Wenner, che viene cattura�to assieme al suo precettore Isaac Friedli, a Rodolfo Gubler, commes�so della ditta e appunto al Lichensteiger stesso. I quattro sequestrati vengono portati dai briganti nel cuore del massiccio dei monti Picentini, uno dei più estesi di tutto rAppennino. L�rimangono per centoventi giorni trascorsi tra spostamenti improv�visi per sfuggire alle battute della Guardia Nazionale e dell'Esercito, rifbcillamenti a base di carne alla zingara, arrosto di agnello e soprat�tutto maccheroni al cacio, alloggia�menti in rifugi di fortuna e soste nelle radure di immense foreste. Quando gli ostaggi vengono la�sciati liben dai briganti c'è un fotografo, Raffaele Del Pozzo, che li attende. E come ha fatto per anni, scattando centinaia, di foto�grafie che documentano i diversi momenti della campagna contro il banditismo, compresa la cattura «vivi o morti» dei capi e dei gregari delle bande, il fotografo salernita�no Raffaele Del Pozzo fissa per sempre l'immagine dei quattro che, ritrovata la libertà, posano per lui. Ancora una volta a ciascuno il suo, di ricordo. Dove questa variegazione tra le possibili tonalità della memoria non riguarda solo l'intensità delle esperienze perso�nali. Né coinvolge solo la diversifi�cazione e il mutarsi dei mezzi (pagina scritta, foto, cinema) ai quali si fa ricorso. Piuttosto mette in luce l'adeguarsi della memoria alla forma del racconto che si finisce con l'utilizzare. Proprio co�me spiega Marc Auge, in uno dei suoi ultimi saggi, ognuno di noi è, essenzialmente, quello che emerge dal racconto che è indotto a fare (o sceglie di fare) di sé. A se stesso e agli altri. Emblematica la foto, scattata da Del Pozzo, dei quattro svizzeri appena liberati dalla banda di Gae�tano Manzo (dopo che a quest'ulti�mo è'stato pagato un non trascura�bile riscatto). La foto è frutto di una posa. Gli ex-ostaggi hanno avuto modo, dopo (juattro mesi di vita nei boschi, di riassestarsi nel!' aspetto e nell'abbigliamento. Si fan�no però riprendere dentro una foresta. Ognuno dei quattro, poi, sijpone davanti all'obiettivo come dovesse riassumere (raccontare, dunque) il senso di quei centoventi giorni: il commesso Gubler ha l'aria perples�sa di chi ancora non si è reso conto di dove sia capitato. Diffidente, forse persino della propria gioia di essere tornato libero. Il giovane Fritz Wenner, ogget�to principale del sequestro, è l'uni�co ad avere gli stivali perfettamen�te lucidati. La giacchetta abbotto�nata. Il berretto da studente perfet�tamente a posto. Insomma è già tornato a quella vita nonnaie, e civile, che fa della sua brutta av�ventura una pausa già dimentica�ta. H suo precettore, Isaac Friedli, è seduto ai suoi piedi. Uomo di lette�re e di libri è naufragato dentro la foresta. Sarà stato all'altezza del compito di educare il giovane Fritz anche in mezzo ai briganti e alle selve? L'aria assurdamente truce che, a posteriore, impone al pro�prio volto, consente di dubitarne. L'accetta che tiene in pugno come ayesse dovuto tracciare lui, colpo dòpo colpo, il cammino della comi�tiva nei boschi aumenta gli inter�rogativi. Ben diverso l'atteggiamento del diarista Lichtensteiger: in testa ha un cappellaccio da brigante. L'aria è decisa. E' un Indiana Jones che dopo aver assaporato un antipastino di peripezie, vorrebbe prosegui�re l'avventura lungo tutte le succes�sive, eventuali portate. In mano tiene un nodoso bastone, con cui ha l'aria di voler guidare i suoi compagni. L'immagine che Lichten�steiger fornisce di sé è assoluta�mente «somigliante» al suo reso�conto diarìstico del sequestro. L'ac�caduto, più che per la sua specifica connotazione criminale, viene pre�sentato come una sorta di inaspet�tata ma niente affatto imprevedibi�le tappa dentro il folklore italiano. Il tutto viene reso briganti com�presi secondo gli stereotipi diffusi dai resoconti di viaggio stesi dai turisti stranieri alle prese col Gran Tour nella penisola. Ancora una volta è l'organizza�zione (preesistente come forma) del racconto a svolgerne la narra�zione. I briganti sono agli occhi dei sequestrati un mondo sub�limano: «Noi prigionieri passava�mo parte della giornata a trasfor�mare la banda in un giardino zoolo�gico, battezzavamo ogni brigante col nome di un animale o di una cosa...». Quando, di tanto in tanto, assumono valenza umana i seque�stratori sono immediatamente in�casellati nei più scontati stereotipi dell'italianità: «l'italiano parla del "dolce far niente" scrive Ù calvini�sta Lichtensteiger e può poltrire fiaccamente per giorni interi... la maggior parte del tempo essi giace�vano a terra, pigramente, per tre quarti della giornata dormivano a turno...». Si svegliano all'istante solo all'arrivo intavola dei «maccaroni» : «di tanti amuleti il più effica�ce e infallibile». E per il rito del caffè. Si segnalano anche i briganti italiani per la passione sfrenata verso il ballo e il canto. Tanto che esaurito tutto il loro repertorio chiedono agli svizzeri di eseguire qualche canto della loro madrepa�tria. Gli svizzeri, coraggiosamente, danno voce ad una canzone sulla libertà. I briganti capiscono. Ma, per non mettere in imbarazzo gli obbligati ospiti, applaudono. DA LEGGERE Johann Jakob Lichtensteiger Quattro mesi tra i briganti 1865-66 a cura di Ugo di Pace, con un saggio su Raffaele Del Pozzo fotografo dei briganti Avagliano, Cava dei Tirreni 1984 e ' ^^ Un'immagine di briganti nell'Italia di fine Ottocento

Luoghi citati: Cava Dei Tirreni, Indiana, Italia, Salerno