NASO A NASO

NASO A NASO NASO A NASO Nella clinica Magnolia, in attesa di un passaggio per andarsene IL RACCONTO Maurizio Haggiani N una cameretta della clini�ca Magnolia, una di quelle camerette per pazienti che stanno male e forse moriran�no, in una di quelle cliniche per quei pazienti che non hanno molti soldi ma per (piando servo�no un po' ne trovano, un uomo sorride tra sé perché ha appena sentito dei passi. Quei passi leg�geri di comode scarpe da viaggio gli dicono che ha ancora un pochino di tempo, che il tempo cammina ancora, che camminan�do non solo va via, ma anche viene. Viene, e forse si ferma. «Entra, sorellina, vieni. Ac�cendi la luce per favore che non trovo l'interruttore e non trovo nemmeno gli occhiali. La luce piccola, sì, tanto ci conosciamo già io e te. Vieni. Vieni, siediti qui e toccami il naso che ho un po' di freddo. «Sì, anche solo con un dito, anche appena a sfiorarlo e mi scaldo subito. Ho preso un po' di freddo mentre aspettavo. Ades�so, se mi carezzi un pochino, passa. Ho un brutto naso, sorelli�na, ma ho bisogno che tu gli voglia bene. Senza questo naso, lo sai, morirò: mi rimane troppo poco senza il naso». Una donna sana e bella sta abbracciando quell'uomo che sta male. Si tiene un po' discosta, in modo da poterlo guardare negli occhi mentre lo tiene, men�tre la sua mano lo carezza piano piano, incessantemente. «Gli voglio bene al tuo naso, mi piace carezzartelo e mi piace anche baciarlo il tuo grosso na�so. Ecco, senti le mie dita come lo amano il tuo naso? «Ma devo dirti che mi piace di più quando è il tuo naso che mi oacia e mi carezza. Quando lui viene da me e mi sfiora nel viso e mi cerca; quando scorrazza co�me un animaletto per tutto il mio corpo. E tu sei nascosto dietro di lui come un bandito che mi tende un agguato. Mi facevi paura una volta, lo sai. E ho freddo anch'io, fratellino. Vieni, tieni il tuo naso sulla mia guan�cia per favore, tienilo l�finché puoi. Così. E così. E così. Sì, adesso passa anche a me». «Sì, ti facevo paura, lo so. Ma anche tu mi facevi paura, se è per questo. Ti ricordi che ci baciavamo e tremavamo? Non le prime volte, dopo. La paura a noi ci veniva dopo, quando pren�devamo fiato, quando facevamo lavorare un po' il cervello. Tre�mavamo e ci amavamo. Siamo gemelli, sorellina, e è naturale che proviamo sgomento quando ci guardiamo al nostro specchio. Io dentro di te, te dentro di me; chi ci consola a noi, sorellina? Se ho freddo io, hai freddo anche tu. Chiudimi gli occhi mentre io con il mio nasone ti chiudo i tuoi. Vieni, entra nel mio sguar�do, riposati dentro quello che non vedo. Appoggia la tua mano qui e qui, come una monetina di buona fortuna sugli occhi di uno zingaro che se n'è appena andato all'altro mondo, dove c'è il para�diso». La donna è cos�bella che la stanza si è adattata alla sua bellezza. Per l'uomo malato ades�so la sua cameretta è molto simile a un uovo, e gli sembra di sfiorame il guscio con la testa. La donna è cos�bella che la luce fluorescente sulla testiera del letto ha preso il colore del suo viso, cos�che anche il viso dell' uomo ha adesso lo steso colore rosato e terso. «Dimmi quanto sono malato, sorellina. Ho bisogno che me lo dica tu, cos�ci credo». La donna tiene ancora la ma�no sugli occhi del malato; si avvicina più che può in modo che la sua bocca si appoggi all'orecchio di lui mentre gli parla. «Un pochino appena, appena appena un po'. Vedi che bel colore ha il tuo naso? Il tuo naso sta benone e tutto 0 resto non può essere cos�malaccio. Ma se hai paura ti porto via. Andiamo�cene adesso, finché c'è un po' di luce fuori. Andiamocene subito, cos�prima di notte siamo in qualche posto meraviglioso». «Dici che dobbiamo scappare, sorellina? Ma l'abbiamo già fat�to, ti ricordi? Siamo già scappati tante volte, e poi siamo tornati. Quanti posti ci sono dove scappa�re, mamma mia. E uno più bello dell'altro. Però siamo sempre tornati. Avevuno paura, aveva�mo paura a starcene soli in un posto meraviglioso. Ci faceva paura a essere cos�nudi come eravamo io e te quando stavamo soli in mezzo ai luoghi meravi�gliosi del mondo. E adesso poi è più facile che ci prendano. Se scappi prima o poi qualcuno ti viene dietro. Ti ricordi che lo dicevamo sempre quando tomavamo? Tornavamo per questo, ci dicevamo, perché nessuno ci prendesse mai. Ora mi prende�ranno. C'è l'uomo nero l�fuori della porta. Mi prenderanno se scappo, e anche se resto. Sono qui per essere preso, per cos'al�tro, se no?». La donna ora prende la sua bellezza e la spalma sul corpo dell'uomo. Lentamente, molto lentamente, come se versasse la glassa di cioccolata su un pan di spagna appena sfornato, ancora caldo e friabile. L'uomo si bea di quel tepore di cioccolata. Chiude gli occhi e si sente come se stesse guarendo. La donna ora approfit�ta degli occhi chiusi di lui per piangere. Zitta zitta, come una bambina giudiziosa. Le sue lacrime scorrono leggere come i peta�li di acacia che si posano sulle guance di una sposa di periferia nel bel mezzo di maggio. L'uomo non vede il suo pianto, ma anche se è cos�silenzioso riesce a sentirlo. «Non piangere, sorellina, ti prego, non piangiamo. Abbiamo già pianto cos�tanto io e te quando eravamo allegri. Adesso che siamo tristi dobbiamo resi�stere a più non posso: se piangia�mo adesso l'uomo nero di là verrà a prenderti e non mi potrai mai più stringere, mai più». «Piango di tenerezza, fratelli�no, non piango mica di tristezza. Piango perché sei bello: sei cos�bello che le lacrime mi vengono giù da sole. Andiamo via, ti prego, se facciamo piano li fre�ghiamo quelli di là. Andiamo nel paese qui vicino a mangiarci una zuppa di cipolla. E poi andia�mo a fare l'amore. Facciamo l'amore nella macchina, ti farà bene alle ossa. Andiamo su in collina e fermiamo la macchina davanti a un tramonto; ci devo�no essere un bel po' di tramonti meravigliosi da queste parti». «Hai sbagliato il raffronto, sorellina: bello, volevi dire, co�me un tramonto». «No, non sei Mimi, amore mio. E io non sono Rodolfo, vedi? Ho le tette io, e non bevo liquori e non fumo sigari e non scrivo nemmeno poesie. Siamo i due gemelli Kessler, siamo il ebreo delle pulci, siamo il cappel�lo a sonagli, ma non la Bohème. Non cantiamo abbastanza bene per la Bohème; e poi non ti ho mai sentito tossire». «Dimmi dove hai parcheggia�to la macchina, sorellina». «Qui, sotto la magnolia dell'in�gresso. Ce ne andiamo, davvero? Andiamo a mangiare cipolle e a bere vino rosso? Andiamo a fare l'amore da ubriachi sopra un precipizio davanti al mare? Biso�gnerà stare attenti al freno a mano, ma ci divertiremo un sacco». «E' un buon posto, è il posto più bello, sotto la magnolia. No, voglio fare l'amore qui. Lo voglio fare dentro questa stanza e poi voglio che te ne vai, che mi lasci un po' qui a dormire. Voglio dormire ancora qualche giorno, poi andiamo a cercare il posto più meraviglioso che c'è, un po�sto dove posso fermarmici un po'. Anche tanto tempo, all'occor�renza. «Vieni, sorellina, facciamo l'amore, quello di quando piange�vamo di allegria. Ecco, metti la punta del tuo naso sulla mia, cosi. Tienimi le mani e stiamo fermi, fermi, fermi. Hai gli occhi chiusi? Sì? Sì, facciamo l'amore. E adesso che ci amiamo cos�tanto, ecco che siamo scappati di nuovo. Poi, appena siamo torna�ti, tu te ne vai. Te ne devi andare prima che l'uomo nero venga a sapere che siamo scappati per fare l'amore. D'accordo?». «Sì, amore mio, sì, siamo d'ac�cordo. Farò così, se mi prometti che dormirai davvero tutto il tempo. Che dormendo ingrasse�rai anche un pochino. E che terrai il naso sempre cos�bello mentre dormirai. Me lo promet�ti? Sì? Tanto tornerò cos�presto che non avrai fatto in tempo ad accorgerti che sono andata via. Dimmi cosa vuoi che ti porto per quando tomo». «No, non portarmi niente, so�rellina, quando temerai, non voglio niente ora. Guarda il mio pigiama: ho già tutto, non vedi? Vorrei qualcosa, sì, ma per quan�do tornerò io. «Voglio per quando tornerò una famiglia di tre, di quattro generazioni compresenti, tanto per stare sul sicuro. E voglio una donna che mi ami vegliando su di me come una lampadina, una lucciola è meglio. Una donna che si lasci amare da un canarino che si è posato sulla sua spalla. E canta, canta, canta. Poi voglio un figlio che assomigli a quello che penso dell'universo, che è misterioso e domestico. E a quel�lo che penso della vita, che ce n'è sempre dell'altra. Quando torne�rò voglio sentirmi libero e cuci�to, vecchio e ragazzo, padre e figliolo. E anche spirito santo. «Ma finché resto qui sono solo un uomo in pigiama all'om�bra di una magnolia che aspetta un passaggio per andarsene. «E aìmen, sorellina». Siamo gemelli, sorellina, e è naturale che proviamo sgomento quando ci guardiamo al nostro specchio, lo dentro di te, te dentro di me; chi ci consola a noi sorellina? La donna ora prende la sua bellezza e la spalma sul corpo dell'uomo. Lentamente, molto lentamente, come se versasse la glassa di cioccolata su un pan di spagna INUMA CAMERETTA PER PAZIENTI CHE STANNO MALE E FORSE MORIRANNO, UN UOMO SORRIDE TRA SÉ PERCHÉ HA APPENA SENTITO DEI PASSI, QUEI PASSI LEGGERI DI COMODE SCARPE DA VIAGGIO GLI DICONO CHE HA ANCORA UN POCHINO DI TEMPO, CHE IL TEMPO CAMMINA ANCORA, CHE CAMMINANDO NON SOLO VA VIA, MA ANCHE VIENE. VIENE, E FORSE Si FERMA Maurizio Maggianiènato nel 1951 a Casteinuovo Magra, in provincia di La Spezia. Ha esordito nelI'SS con «Mauri Mauri». Nel '95 ha pubblicato, peri tipi di Feltrinelli, «Il coraggio del pettirosso» (Premio Campiello e Premio Viareggio); nel '98, sempre da Feltrinelli, «La regina disadorna»

Persone citate: Ades, Biso, Feltrinelli, Kessler, Mauri, Maurizio Maggianiènato, Zitta

Luoghi citati: Casteinuovo Magra, La Spezia, Naso, Viareggio