La Mari Granda, regina della casa

La Mari Granda, regina della casa La Mari Granda, regina della casa «Energica, dritta nella persona, sempre vestita di scuro, comandava in casa e in cucina, tra figli, nuore e nipoti» «Ni A matin, pena disvijà, l'è tacerne sec 'd parie d'ia mari grande», scri�ve Maria Teresa Pronello di Trana. «Ma chi è mai la "Mari Gran�de"?, si chiederanno i giovani. E' semplicemente la nonna, che a volte, si fa anche chiamare "Marina" perché sa meno di vecchio. Pensando alla Mari Granda, mi viene in mente mia suocera, con tutto il rispetto, perché la rappresentava egre�giamente. Bella, dritta nella per�sona; i capelli perfettamente in ordine, con il ricco chignon dietro la nuca (il "puciu" in piemontese) portato più che al�tro dalle donne di campagna che l'avevano già a quarant'anni, mentre i vestiti dei giorni feriali e festivi erano sempre scuri per cui la donna era senza età. I grembiuli, senza pettorina, legati in vita, scuri anche questi e quindi, tono su tono con i vestiti e il fazzoletto in cotone per tenere a posto i capelli, tanto più che il mangiare veni�va fatto sui fornelli o sulla stufa che andava a legna. Se Forattini dovesse disegnare, ora, la Mari Granda, la farebbe con il mesto�lo in mano, come lo scettro di una regina. Ed infatti era pro�verbiale dire: è lei che tiene il mestolo, ossia che comanda. Al mercato, la Mari Granda, si faceva portare con il "birocc" (ossia il calesse), dal marito o da uno dei figli. Oltre ai generi alimentari per la famiglia, por�tava alla nuora o alle figlie, il grembiule di cui avevano biso�gno, naturalmente mai nella tinta desiderata da queste, os�sia dovevano accontentarsi. I bambini, che vedono tutto, ave�vano constatato che al ritorno dal mercato, un certo involucro veniva portato in cantina, al fresco ed appeso ad un chiodo. Constatato che era roba per loro, per premiarli, a volte, per un servizio, prendevano, di na�scosto, un piccolo anticipo sul Fine maggio ultimi giorni di scuola, poi gli esami, le tensio�ni, finalmente l'abilitazione e il tanto agognato titolo di ragioniere. Gioved�sera 31 maggio 2001, la 5A Ragionieri del�l'Istituto La Selle si ritrova al ristorante Cucco di corso Casa�le 89, per festeggiare, ricorda�re e soprattutto per stare di nuovo insieme. Sono trascorsi, e non sem�bra vero, quarant'anni da quando ci siamo diplomati, e grazie all'interessamento del vecchio capoclasse, siamo riu�sciti ad incontrarci nella ricor�renza dei 25, 30, e 35 anni del diploma. Alla cena dei 35 anni eravamo 18 ex allievi, oltre all'immancabile fratel Filip�po. Purtroppo alcuni non sono più tra noi: Colombo, Borzino, Bianco M., Fenoglio, Meliga, ma vivono sempre nel nostro ricordo. Qualcuno è tutt'ora in atti�vità, mentre i più, che hanno lavorato in banca, sono già in Densione, e avranno forse pro�demi per occupare il tempo libero. Tra gli insegnanti reli;iosi è rimasto fratel Filippo, 'allora «terribile» professore d'italiano, e ricordiamo fratel premio futuro. Dovevano, ad esempio, imparare bene a me�moria le risposte del catechi�smo, in previsione della Prima Comunione e Cresima. Chissà se Mari Granda si era accorta che qualche sbarretta di ciocco�lato o qualche fico secco manca�vano dal mucchiettol A tavola, veniva servito pri�ma il marito, con il pezzo miglio�re della came, o il pezzo di gorgonzola ancora intatto, dopo di che venivano serviti i figli e le nuore. Sovente una delle nuore andava a sedersi fuori (nella bella stagione), sul gradi�no di casa, con il piatto in mano, com'era d'uso nel medioevo, quando la donna non era consi�derata. D'altronde le donne, per il lavoro in campagna, veniva�no trattate alla stregua degli uomini e tornavano a casa dai campi, dopo il lavoro, sudate e stanche proprio come i maschi, tanto da desiderare più il letto che il mangiare. I polli, una volta, erano came da signori. Solo nelle feste come Natale o Pasqua, venivano portati in ta�vola, ma anche in occasioni come, ad esempio, alla puerpe�ra dopo l'evento. Veniva porta�to il brodo di pollo e quindi un pezzo del medesimo, per tirarla su e perché producesse il latte necessario al neonato che veni�va battezzato il giomo successi�vo alla nascita, ad evitare che venisse a mancare senza quel sacramento. Una volta, con il parto in casa, succedeva di frequente. Tornando alla Mari Granda, mi viene da sorridere perché mi vedo ancora mia suocera, bella, dritta nella persona, con lo sguardo attento a tutto. Nella "vijà", ossia nella serata prima della partita a carte, nella stalla che era l'unico posto caldo, d'inverno, ripeto, prima della partita a carte, anche gli uomi�ni, giovani o meno giovani, dovevano sottostare al sacro�santo rosario "menato" dalla Mari Granda. Non c'era scam�po! Allora, e parlo di tanti anni addietro, ai Santi, dopo la visita ai defunti e nei diversi cimiteri, si veniva tutti dalla Mari Gran�da nella sua cascina. La grande cucina con il putagè bello luci�do sul ripiano del quale borbot�tavano le castagne in piena cottura e con i salami appesi in una parte del soffitto, era più che altro un enorme salotto con profumo di cibi cotti al forno, cos�come il pane, fragrante, riposto nella madie, all'interno della lunga e capiente tavola. Caffettiere napoletane, belle lu�cide, emanavano un buon aro�ma di caffè. Al ritomo dai vari cimiteri, era bello sedersi tutti attomo a questo bel tavolo e mi stupivo che ci fossero posti a sedere per tutti. Figli, nuore e nipoti, erava�mo un bel numero ed i discorsi si incrociavano e la Mari Gran�da, sebbene fosse curiosa di sentire le diverse notizie, stava però più che altro attenta, al momento opportuno, che tutti fossero serviti, e con le casta�gne e con il vino nuovo portato in tavola dagli uomini di casa. Il salame era già affettato sul tagliere e le fragranti fettone di pane che pareva appena sfomato, già sistemate sulla tovaglia delle feste. Quelli di città, ap�prezzavano, naturalmente, di più questo ben di Dio, cos�genuino. Come pure gli enormi torcetti ricoperti di zucchero (gli unici dolci dell'epoca), fatti in casa nel fomo del putagè o in quello per il pane. Passavamo diverse ore nel pomeriggio dei Santi. A malin�cuore venivamo via verso sera nella prima nebbiolina e chi prendeva la strada verso la città e chi per le cascine vicine o lontane da quella di Mari Gran�da. Ma questa donna, energica e che pareva autoritaria e di pochi complimenti, sono sicura che alla sera dei Santi e forse tutte le sere, prima di addor�mentarsi, aveva una stretta al cuore nel ricordare tutti, grandi e piccoli e non mancava di raccomandarli tutti quanti alla Mari Granda, più grande di tutti, ossia alla Madonna. Ecco i miei ricordi di allora; bellissi�mi e indelebili». La «Mari Granda» della signora Pronello, in una foto degli Anni Settanta

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