«Investire in Italia? Meglio di no»

«Investire in Italia? Meglio di no» IL PADRE DEL MICROPROCESSORE BOCCIA IL BEL PAESE «Investire in Italia? Meglio di no» Faggin: oneri troppo elevati, strutture da rifare personaggio Brunella Giovara ' MILANO OSTRA una foto: Olivetti's Research Lab, Boigoiombardo, 1961. Lui, quattro tecni�ci e un computer grosso come un'ar�madio. Lui è Federico Faggin, che allora aveva solo 19 anni ma già aveva costruito quel prototipo di mac�china elettronica, per poi volare negli. Stati Unid, partecipare ai primi anni ruggenti del silicio, progettare e rea�lizzare il microprocessore assieme a due colleghi americani. «Cosa che non avrei potuto realizzare in Italia, anche se potenzialmente ne esisteva la possibilità». L'invenzione del microprocessore ha fatto s�che Faggin diventasse un guru dell'hi-tech, un grande conosci�tore della net economy, un re da Intel a Synaptics di quella SUicon Valley che ha certamente contribuito a creare. Vive e lavora a Palo Alto, in California. Ieri era a Milano, ospite del Politecnico. Dice che «dalla metà dell'anno prossimo l'economia dell'al�ta tecnologia riprenderà a correre», prima quella americana, a ruota gli altri. Ma peccato l'Italia resta indietro. Infatti «un imprenditore americano ci pensa tre volte prima di fare un investimento in Italia». Per�ché all'Italia mancano troppe cose perché vi possa nascere un qualcosa di simile al modello Silicon Valley. Ad esempio? «Bisogna cambiare le cose, ma alcune sono impossibih da cambiare. Prendiamo le leggi sul lavo�ro: non danno la possibilità di licen�ziare se si verifica un sovrappiù di personale, o se il dipendente non .compie ilsuodovere. Manca flessibili�tà, e poi gli oneri sociali sono troppo alti Negli Usa sono il 40 per cento dello stipendio, qui invece il doppio». Poi ci sono «costi indiretti troppo alti, come benzina, trasporti, assicu�razioni. E il sistema manca di trasparenza». Nient'altro, dottor Faggin? «Un pagamento a sei mesi negli Sta�tes sarebbe inaccettabile... E poi man�cano i parchi tecnologici a cui appog-. giarsi per fare ricerca». Sul perché, risponde di non saperlo spiegare. Eppure qualcosa c'era, dice rigirando�si tra le mani la vecchia foto dell'Olivetti's Research Lab, 1961.«Ma an�che lì... la ricerca scientifica dell'Olivetti non ha avuto un adeguato soste�gno industriale. Non ha prodotto ric�chezza, l'azienda non è stata capace d�utilizzare la ricerca a fini di busi�ness. Cos�come Telettra. Erano azien�de che contavano a livello mondiale, oggi sono sparite». Perciò «negli ultimi trent'anni il gap tecnologico tra Stati Uniti ed Italia è andato ingigantendosi». Per�ciò il primo microprocessore è nato in California, progetto Einnato da Federi�co Faggin, Ted Hoff e Stan Mazor. Invece che ad Ivrea, dove pure allóra la ricerca e sviluppo erano una realtà. E a chi gli domanda cosa ci vuole per fare una Silicon Valley, risponde che «non c'è una formula. E comun�que è un fenomeno diffìcilmente ripe�tibile. C'era un contesto anche cultu�Mm rale adatto,.che a me ha dato stimoli, problematiche... Se non lo avessimo in�ventato noi, il microErocessore l'avrebe inventato qual�cun altro, perché c'era quel contesto, appunto». E in Ita�lia, non ci sarà mai più? «L'attuale con�testo italiano non è quello di Silicon Valley. Si potrebbero mettere tutti gli incentivi possibili, e sperare. Ma po�trebbe essere la formula per andare in malora». Un deserto, insomma. «Ma noi Oggi l'Italia ha molta piccola e media impresa... ma per contare, e per avere grandi possibilità di ricerca e svilup�po, bisogna essere grandi L'unica à reggere il ritmò è la Stm di Pistorìo, che nel settore semiconduttori è tra le prime dieci al mondo. Ma è l'eccezio�ne, non la regola. E comunque, ormai è un'azienda italofrancese». «Un imprenditore Usa ci pensa tre volte prima di venire quaggiù L'unica a reggere il passo è la Stm di Pasquale Pistorio» n HSBH *-**■■% Mm Federico Faggin fondatore e presidente della Synaptics