Il Male nella borgata di Pasolini

Il Male nella borgata di Pasolini Spariti gli «orti», villette e condomini hanno trasformato il Tuscolano Il Male nella borgata di Pasolini Filippo Ceccarelli E' passato il Tiburtino sem�bra quasi che annunci Pier Paolo Pasolini parlando delle bor�gate ecco Tor de Schiavi, il Borghetto Prenestino, l'Acqua BuUicante, la Maranella, il Mandrione. Porta Furba, il Quarticciolo, il Quadraro...». Er Quadraro. Pochi luoghi, a Roma, poche ex borgate come questa incastrata-tra Porta Fur�ba, Cinecittà, l'Acquedotto Feli�ce e Centocelle, questa ai cui margini sorge la scuola in que�stione, possono considerarsi più legate alla stagione pasoliniana dei «Ragazzi di vita». Sullo sfondo, giandiosi rude�ri. «C'era calma e sole si legge in una poesia, "Meditazione orale" dietro al Quadraro i prati erano deserti». Prati, ma anche «prate�rie piene di merda», «villaggetti di catapecchie», «fabbrichettearmzzonite», arrugginite. Appio, Tuscolano: questa era la «sua» periferia. Ci si arrivava a fatica, con il 409 che verso Porta Furba «cambiava marcia raschiando in mezzo alla folla, fra i tricicli e i carretti de^li stracciaroli, le bici�clette dei pischeUi e i birroccioni rossi dei burini che se ne tornava�no calmi calmi dai mercati verso gh orti della periferia». Ecco, quella periferia oggi non c'è più. Ci sono villette, anche abusive, ci sono palazzi perfino decenti, e palazzoni mo�derni, e condomini neppure brut�ti. Mentre quegli orti coltivati dai «burini» che è il modo poco amichevole in cui i quiriti desi�gnavano i campagnoli destano oggi un sentimento che in qual�che momento, specie al tramon�to, ricorda la nostalgia. Questa zona cos�romana, e al tempo stesso cos�uguale a tante altre pure lontane da Roma, la si sfiora oggi andando a far compe�re all'Ikea, l'ultima grandiosa cattedrale del consumo, dopo lo sfolgorio degli ipermercati di ci�necittà 2. La metropolitana ha cambiato il paesaggio della Tuscolana. L'acquedotto l'ha re�staurato, con un contributo di 5 miliardi, la Banca d'Italia, che da queste parte ha piazzato il suo centro sportivo e l'officina carte valori. Durante la cerimo�nia in Campidoglio, l'allora go�vernatore Ciampi ricordò come per salvaguardare quello straor�dinario monumento archeologi�co fossero state costruite delle palazzine progettate per inserir�si nell'ambiente. La Acea, in seguito, ha illumi�nato la gigantesca struttura che riforniva d'acqua la Roma dei Cesari. Il vecchio «prato» è cos�divenuto «parco». Il cambio di nome è solo parzialmente rifles�so in un cambio di destinazione; nel senso che ci si continua a trovare come dappertutto, del resto il cadavere della ragazza tossica, o il cittadino del Cambia che smercia eroina. Negli anni ottanta, in compenso, 500 volon�tari, anche giovanissimi, hanno partecipato all'operazione «Ra�mazza: e puliamola noi!», lancia�ta dal «Messaggero». Gh «sfascia�carrozze», mostruosi cimiteri di automobili, sono stati denuncia�ti e smobilitati, sempre in nome della difesa archeologica. Ogni tanto, come in un film di Fellmi, viene alla luce qualche Villa ro�mana. E ogni tanto arriva il Papa. Una delle ultime volte gh hanno regalato un pallone. A suo tempo questa fu anche una fron�tiera di fede, palestra di fervore e attivismo delle comunità cattoliche di base: doposcuola ed evangelizzazione. Con Sant'Egi�dio venne qui anche il cardinal Martini. Non era più il tempo degli orti pasoliniani, ma già c'erano le baracche, il fango, i panni lavati alla fontanella, e scoli di fognature all'aperto, ondulit per tetto, bombole a gas appoggiate al muro, fili scoperti, panni stesi, gente che puzzava di kerosene. E' tutto cambiato. Non si sen�te più odore di miseria, di borga�ta. Si respira semmai e qui ritornano certe profezie pasoliniane un'aria di omologazione, con tanto di naziskin e tifosi violenti. Come dappertutto. Non lontano dalla scuola di cui si parla oggi c'è la spelonca dei Gargiulo, che accoppavano vec�chi, gjovani e bambini, forse, come il povero «Pelé del Quadra�re». Orrore antico, moderno e post-moderno. In una parola: eterno. Ma anche qui: come do�vunque, perché il male, di solito, non si sceglie il quartiere.

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