Decentramento, un decalogo per l'Europa

Decentramento, un decalogo per l'Europa Biancheri: il centralismo voluto dai padri fondatori dell'Unione non ha più alcun significato Decentramento, un decalogo per l'Europa Politici e studiosi al convegno delVlspi sulla sovranità nazionale MILANO Governare e trasferire. Sono i nuovi verbi delle relazioni inter�nazionali del terzo millennio, dove l'Europa da sola non ba�sta, gli Stati nazionali vedono erodere la loro sovranità e le spinte dal basso sono in aumen�to. Ma c'è un rischio. Chi stabili�sce le regole? Se lo sono chiesto per due giorni i partecipanti al convegno dell'Ispi su «Sovrani�tà nazionale di fronte al cambia�mento». L'analisi di Giorgio Brosio, docente universitario a To�rino, parte da un conflitto, quel�lo sulla distribuzione dei pote�ri: «Tra i vari livelli c'è un rischio di contrapposizione: tut�ti cercano di fare tutto». La risposta di Roberto Formi�goni, presidente della Regione Lombardia, alfiere della devolution, è all'insegna del pragmati�smo: «Gli Stati nazionali non hanno diritti naturali o divini. Le istituzioni europee rischiano di diventare i luoghi della re�staurazione del centralismo. Tocca alle Regioni, essere al centro dello snodo: cos�vicine all'Europa, più vicine ai cittadi�ni». Formigoni la sua ricetta ce l'ha già, si chiama devolution. Si basa su un federalismo gra�duale e negoziale: «Che si muo�va passo dopo passo, con una continua ricerca di accordi col governo e il parlamento». Però in Europa ci sono anche i baschi, i catalani, gli scozzesi che da sempre contestano le rispettive sovranità nazionali. Lo ricorda Michael Keating, do�cente universitario a Firenze: «Nel '53 una legge del Parlamen�to di Westminster venne giudi�cata non attuabile in Scozia. Il problema non è mai stato risol�to...». Ma queste sarebbero solo eccezioni per Yves Mény, diret�tore di un centro studi sul ruolo delle istituzioni: «Non ci sono problemi di sovrapposizione tra identità locali e identità nazionali...». Sempre che alla base di tutto ci siano principi democratici. Daniel Turp dell'Università di Montreal non crede a un conflit�to di attribuzioni: «Le Regioni o le altre realtà territoriali, posso�no benissimo vivere sotto l'om�brello dello Stato nazionale e dell'Europa». Basta che i campi di competenza siano certi, cosa ancora tutta da definire come assicura ancora Michael Keatin: «Le relazioni tra Stati nazio�nali e Uè o tra realtà territoriali e Stati nazionali, non possono basarsi su ruoli gerarchici». Per l'ambasciatore Boris Biancheri, presidente dell'Ispi, al centro di tutto ci sono le regole: «L'Europa centralista voluta dai padri fondatori non ha più senso. Dobbiamo far fronte a un duphce trasferimen�to di poteri degli Stati naziona�li: verso l'alto, verso l'Europa. E verso il basso, in Italia verso le Regioni». Ma non sempre le istituzioni nazionali vanno in crisi sulla spinta di realtà locali che chiedono di contare di più. A volte c'entrano altri fattori. Quelli su cui punta l'indice Pino Arlacchi, zar antidroga dell'Orni: «Il riciclaggio di dana�ro sporco è causa di instabilità. Guardiamo all'Africa del merca�to illecito di diamanti o alle rotte dell'eroina che attraversa�no i Balcani. In casi come questi la prevenzione della crisi deve essere mirata. Gli aiuti non possono essere sprecati o finire in mano dei criminali», [r.m.]

Persone citate: Biancheri, Boris Biancheri, Daniel Turp, Formigoni, Michael Kea, Michael Keating, Pino Arlacchi, Yves Mény