La Borsa o la vita (dei lavoratori) ?

La Borsa o la vita (dei lavoratori) ? Come salvaguardare le esigenze di un'economia di mercato senza ricorrere ai piani di licenziamento La Borsa o la vita (dei lavoratori) ? Jean-Paul Fitoussi L�ANNUNCIO dei piani di li�cenziamento ha suscitato ri�volte e incomprensioni. Una catti�va pedagogia ha tentato di recupe�rare queste reazioni legittime. So�no stati convocati, alla rinfusa, i soliti colpevoli: la Borsa, gli azioni�sti, gli errori di gestione, il cinismo degli imprenditori eccetera. Ma le situazioni cui si applicano questi discorsi generosi erano molto ete�rogenee. Che fare se i francesi in particolare, e gli europei in genera�le, non vogliono cambiare troppo sovente i cellulari prodotti dalle industrie? Che fare se alcune im�prese scoprono che i loro investi�menti non rendono a sufficienza? Bisogna impedire i licenziamenti, e dunque, per essere coerenti, sta�bilire una legge che vieti la chiusu�ra delle imprese? Si può anche fare, ma allora bisognerebbe cam�biare il sistema economico. Da due decenni viviamo una transizione dall'economia mista a quella di mercato, come dimostra la scomparsa quasi totale del pri�mo termine da quasi tutti i discor�si. La grande impresa degli ultimi due decenni è stata la riabilitazio�ne politica del profitto e del merca�to. Per ora l'Europa ha adottato una «Costituzione liberale», affi�dando il cuore del potere economi�co a due istituzioni indipendenti, la Banca centrale europea e Com�missione Antitrust. I politici non possono, nello stesso tempo, incita�re le imprese a essere più competi�tive e proibire loro di adattarsi alle mutate condizioni. Non si può più fingere e nello stesso tempo scopri�re la violenza insita in un piano di licenziamenti. Dopo aver usato l'aumento della disoccupazione co�me il primo strumento delle politi�che economiche. Si finge anche di scoprire la grande debolezza dei lavoratori licenziati, quando si sa che questa debolezza, modifican�do i rapporti di forza tra salariati e imprenditori, ha determinato la moderazione dei salari, che oggi si vuole erigere a principio intangibi�le di sana gestione. Nei piani di licenziamento c'è, in breve, una parte di responsabili�tà pubblica che i governi non possono non accollarsi. Per passa�re da un regime all'altro, da un'eco�nomia mista dominata dalla sfera pubblica a un'economia di merca�to dominata dagli interessi privati, in particolare da chi detiene i capitali finanziari, bisognava fare ima rivoluzione. Bisognava offrire un compenso più alto ai risparmiatori,, cosa che aveva, in più, il grande vantaggio di ridurre l'inflazione. Ciò è stato fatto agli inizi degli anni 80 (sotto la leadership dei paesi anglosasso�ni) in quasi tutte le nazioni del piane�ta. 1 creditori, do, pò, hanno cono•■■;. soluto un periodo ; •,, ' ;,, di splendore: dai tassi di mteresse reale a lungo e bre�ve termine, vicini al 40Zo, alle fluttua�zioni congiuntura�li ravvicinate. Al�cuni paesi sarebbe�ro «migliori» di al�tri offrendo remu�nerazioni ancora più alte, m partico�lare la Francia, fi�no al 1995. Il nu�mero di piani di licenziamento in�dotti da questa evoluzione è consi�derevole. Perché un'attività venga perseguita, biso�gna che il capitale investito in un'im�presa abbia alme�no una rendita su�periore a quella di un investimento fi�nanziario privo di rischi. E il modo per arrivarci, per imprese abituate a tasso zero o a tassi negativi negli anni 70, non può essere che quello di ristrutturarsi e diminuire i costi, in particolare quelli salariali. I piani di licenziamento, evidente�mente, fanno parte di un simile processo di adattamento. Il fatto che un'impresa offra dei benefici non ci dice nulla dei suoi profitti e della sua probabilità di sopravvivenza. Ciò che importa, come il caso Danone ha ancora una volta dimostrato, è lo scarto fra la Una manifesta redditività del capitale in una im�presa e il tasso d'interesse. Se il primo è inferiore al secondo, l'im�presa deve effettuare adattamenti e/o ristrutturazioni, per non corre�re il rischio di vedere le sue azioni inabissarsi e diventare facile preda diun'Opa. I piani di licenziamento che ne deriverebbero sarebbero ancora più radicali di quelli previsti ini�zialmente. La Borsa non ha fatto che registrare, sul valore delle azioni, le conseguenze dell'aumen�, to dei profitti futuri dovuti all'ab�bassarsi dei costi: il valore delle imprese in Borsa aumenta se la ristrutturazione porta a un aumen�to dei dividendi. La Borsa è agnosti�ca; sale quando i profitti delle imprese aumentano, quale ne sia il motivo: un piano di licenziamenti o, al contrario, un aumento degli effettivi conseguente al migliora�mento delle prospettive di cresci�ta. Si può dunque comprendere me�glio perché le responsabilità vada�no divise fra l'im�prenditore, la cui e [uahtà di gestione ( ietermina 0 rendi�mento del capita�le, e i poteri piiblici, che influenza�no l'evoluzione dei tassi di mteresse. Un aumento dei tassi di interesse è in qualche modo un richiamo a li�cenziare, perché ri�duce i profitti delle imprese. Anche quando questi au�menti sono giustifi�cati, come dice Paul Krugman, «la scena è francamen�te laida: quando la Fed aumenta i tas�si, significa lette�ralmente che un gruppo di persone in completo grigio o tailleur agiscono deliberatamente per limitare le pro�spettive di impie�go di loro concitta�dini tra i meno ab�bienti». Ma, da qualche anno, le cose sono peggiorate. Il livello innatu�ralmente elevato dei tassi di inte�resse negli ultimi vent'anni è un fenomeno insolito nella storia del capitalismo occidentale. Ha modifi�cato i rapporti di forza fra detento�ri di capitali finanziari e le impre�se. Non si stupiscono nemmeno che a questa fase sia seguito un periodo in cui, malgrado il calo dei tassi, i detentori di capitali faccia�no valere esigenze esorbitanti di redditività dei loro investimenti si parla correntemente di un profit�to dal 10 al I50Zo. Ma una simile esigenza è impossibile da soddisfa�re costantemente, salvo che per assurdo si verifichi un crack della Borsa. E' un modello molto noto nelle scienze della natura: se i predatori prelevano troppe prede rischiano essi stessi di morire d'inedia, non essendo più la popolazione delle prede sufficiente a garantir loro la sopravvivenza. Ma, nel breve ter�mine, i tentativi degli imprenditori di soddisfare le esigenze degli azio�nisti si saldano ancor più con i licenziamenti o ancor più con gli investimenti rischiosi, che accre�scono la probabilità di futuri piani di licenziamento. Per ridurre la frequenza dei piani di licenziamento bisognereb�be fare grandi sforzi pedagogici pressoi risparmiatori, anziché pro�mettere loro miracoli: il valore di un'azione non può crescere stabil�mente più in fretta del mercato delle imprese; detto in altri termi�ni, le esigenze di rendimenti trop�po elevati relativamente alla cre�scita dei mercati hanno ogni proba�bilità di risolversi in perdite di capitale. Ci sono, infine, almeno due ra�gioni per cui i piani di licenziamen�to oggi sembrano più inaccettabili che in passato. Innanzitutto gli alti e bassi della disoccupazione accre�scono il potere di negoziazione dei lavoratori salariati e rafforzano la loro determinazione. Inoltre, forse sotto l'effetto degli eccessi della new economy, la gente ha capito che la qualità delle «risorse uma�ne» aveva un ruolo determinante nel valorizzare la Borsa e le impre�se. Dunque, nel nome di quale ra�zionalizzazione si esclude il «capi�tale umano» dalla gestione dell'im�presa? I detentori del capitale fi�nanziario rischiano di perdere la loro scommessa, poiché la parteci�pazione del capitale umano è legit�tima. Ma poiché i salariati rischia�no anche di perdere il futuro, non si capisce perché le loro partecipa�zione alle decisioni non sia struttu�ralmente organizzata: il capitale, in tutte le sue forme, deve difende�re i destini dell'impresa. Copyright Le Monde .;.... .,.v;tt*l.»^,*.U*l Le responsabilità vanno divise fra l'imprenditore e i poteri pubblici, coinvolgendo pure il «capitale umano» , •■■;. ; •,, ' ;,, ^uCHOrv^, Una manifestazione di disoccupati a Parigi

Persone citate: Paul Fitoussi, Paul Krugman

Luoghi citati: Europa, Francia, Parigi