La potenza di un'arma spuntata

La potenza di un'arma spuntata Dalle prime iniziative di Danilo Dolci agli «scandali» di Marco Palmella La potenza di un'arma spuntata Filippo Ceccare INI u BERLUSCONI e Rutelli, in fon�do, rischiano solo di perdere. Idem D'Antoni, idem Di Pie�tro. Emma Bonino no: rischia molto di più, rischia di peggio e soprattutto rischia nel praprio corpo. Proprio nel momento in cui la politica tocca livelli inusitati di immaterialità, i radicali ricoirono alla più fisica delle forme di lotta: il digiuno integrale, lo sciopero della fame e della sete, i cui effetti cominciano a farsi sentire da un ospedale attraverso tenificanti bollettini medici. E ancora una volta la sfida del Sathyagràha appare del tutto all'al�tezza del pericolo che viene evocato in quei bollettini. In pratica, a pochi giorni dal 13 maggio la Bonino e i radicali stanno cercando di deviare sui loro temi il fiume in piena della campagna elettorale più mediatica che ci sia mai stata. Per certi versi, dopo aver subito tante censure, cer�cano loro, disperatamente, di oscura�re quanto di più luminoso e abba�gliante produce con ogni mezzo la comunicazione politica. Lo fanno usando «solo» il loro corpo, mostran�done il quadro clinico in tenibile evoluzione, e pallori, occhi spiritati, voce roca, emozioni vere. Sono quasi cinquant'anni che lo sciopero della fame è entrato nella tipologia teorica italiana della protesta. Il primo ad offrire la propria persona invero assai robusta fu un giovane architet�to, poeta ed educatore triestino, Dani�lo Dolci, spinto dal suo stesso ardore di carità a ((buttarsi tra i poveri», a Trappeto, borgo di pescatori sicihani. li, un giomo di estate del 1952, in una miserabile casupola si vide mori�re tra le braccia il figlio appena nato di Mimmo e Giustina Barletta. E allora Danilo disse: «In questo stesso letto dove una creatura innocente è morta di fame, io che potrei non essere povero, mi lascerò morire di fame, per portare una testimonian�za, per dare con la mia morte un esempio, se le autorità non si decide�ranno a provvedere». Le autorità si decisero, ma parzial�mente. E Dolci ricominciò. Si mette�va a letto, come Gandhi, una coper�tacela e un bottiglione d'acqua sul tavolo. E parlava, pregava, suonava la fisarmonica: «Un suono triste, ostinato». Cominciarono ad arrivare gli inviati dal Noid. Nel gennaio del 1956, sulla spiaggia, 500 esterrefatti agenti di Ps si trovarono a fronteggia�re il primo vero digiuno di massa. Danilo aveva portato gli altoparlanti, con i dischi di Bach L'arrestarono e lo tennero in galera per mesi. Usc�e ricominciò, per tutti gli Anni Sessan�ta. [ Ma intanto l'anna dello sciopero della fame, facendo leva sulla forza cosmica degli individui e sul coinvolgimento dei media, era destinata a scombinare le tradizionali forme di lotta. Prima e meglio di chiunque altro lo comprese Marco Pennella. A lui si deve il perfezionamento dello strumento del digiuno, e il suo utiliz�zo catartico, «oltre la parola», secon�do le modalità di rappresentazione, la potenza simbolica e la scansione ripetitiva del rito. A differenza di Dolci, che era mosso da un afilato mistico-contem�plativo, il leader radicale ha sempre messo in gioco il suo corpo restando in piedi, traendo anzi energia e lucidi�tà da quello stato di rinuncia e paradosso che solo il movimento : èbbrile riesce a garantire. Regola�mentato con grande fermézza e al�trettanta precisione in termini di calorie e strategie emotive è comuni�cative, il canone del digiuno pannelliano ha tenuto banco dalle venti alle trenta volte sulla scena politica negli ultimi quarant'anni. Questo ha senz'altro danneggiato il metabolismo del suo inesauribile protagonista. E tuttavia i risultati politici degli scioperi della fame radi�cali tanto più indispensabili quanto più il partito era piccolo e privo di un'organizzazione stabile del consen�so sono oggi sotto gli occhi di tutti. Divorzio, aborto, referendum, fame nel mondo, giustizia: solo attraverso i digiuni si può dire che i radicali hanno messo temi all'ordine del gior�no, raccolto simpatie, stabilito allean�ze, indicato avversari e in definitiva governato un pezzo di società. C'è tutta una letteratura e anche un'iconografia sul digiuno radicale. La prova della bilancia, la stanza un po' sdrucita dell'hotel Minerva, i medici al capezzale, le foto scheletri�che, la sintomatologia di quel che si vedeva e anche peggiore di quel che non era visibile, «dentro», ma si veniva a conoscere attraverso un bombardamento ansiogeno spesso rivelatosi capace di piegare inusitate resistenze e caparbie antipatie. Ogni volta l'evento dello sciopero della fame (e poi della sete) ha avuto una straordinaria ((regia», nel senso che ogni volta Pannella ha messo in scena la sua fame facendosi egli stesso messaggio, giocando con la propria morte per un obiettivo, sen�za mediazioni di sorta davanti al grande pubblico atterrito e impoten�te. E questo quando la comunicazio�ne politica degli altri partiti era al�l'età della pietra. Ogni volta, c'è anche da dire, è stato più difficile della volta prece�dente. Specie negli ultimi tempi, per aggirare la spirale del silenzio, o sfondare la coltre di indifferenza, il leader radicale ha dovuto consape�volmente aggiungere scandalo a scandalo. Così, Pannella ha fatto spogliare nudi, in un teatro, dei mili�tanti di ogni età giunti al 37esimo giorno mentre da dietro le quinte recitava il profeta Isaia; oppure ha programmato, annunciato e dato ini�zio a un digiuno il giomo in cui gli stavano per sistemare quattro by�pass; e una notte, ricoverato per un'ischemia dopo aver perso 15 chili, è «scappato» dal San Giacomo, per poi ritornare a digiunare in terapia intensiva. Alcuni l'hanno sbeffeggiato. Altri (come Sciascia) non credevano al digiuno. Altri ancora non gli hanno mai perdonato di non essere morto, come Bobby Sands e gli altri sei militanti dell'Ira crepati in una pri�gione inglese nel 1981. A non mangiare e bere, in effetti, si muore. Ma poi, quando accade, è difficile dire: peggio per loro. Marco Pannella nel 1974 dopo 70 giorni di sciopero della fame Il digiuno di massa in spiaggia a Trappeto I nudi in teatro dopo 37 giorni d'astinenza

Luoghi citati: Trappeto