Primavera, pietà l'è morta

Primavera, pietà l'è morta Primavera, pietà l'è morta Speranze di pace e sanguinose vendette dopo l'aprile '45: ma la Resistenza non fu un'«asda di guerra» CI sono primavere diverse da tutte le altre. E non solo nel clima. Quella del 1945 fra tutte le primavere è stata la più attesa. I contadini delle Langhe in una narrazione di Beppe Fenoglio chiedono ai giovani partigiani se quella che vedrà la Liberazione sarà «una primavera di marzo» o «una prima�vera di maggio». Perché anche le lotte più atroci, come quella che prende posto in Italia nel corso del biennio 1943-45, hanno bisogno di un termine. Nel suo romanzo Una questio�ne privata, lo scrittore di Alba fa dire ad una vecchia di paese che «di un termine ha bisogno la povera gente». E infatti quella donna aggiunge: «Da stasera vo�glio convincermi che a partire da maggio i nostri uomini potranno andare alle fiere e ai mercati come una volta, senza morire per stra�da. La gioventù potrà ballare al�l'aperto, le donne giovani resteran�no incinte volentieri, e noi vecchie potremo uscire sulla nostra da senza paura di trovarci un forestie�ro armato. E a maggio, le sere belle, potremo uscire fuori e guar�darci e goderci l'illuminazione dei paesi...». Primavera di maggio, dunque, e di speranza pacificatrice. Come fa ben capire Gabriele Pedullà ne La strada più lunga recentissi�mo saggio su Fenoglio, libro co�struito come un paziente arazzo, tessuto di infiniti rimandi e illumi�nanti intuizioni quest'idea di una «primavera di maggio» è altra cosa rispetto ad altre primavere possibili dove la vittoria è ancora sangue, fatto scorrere per pareg�giare le violenze subite. Ricordate quello che dice un contadino a Milton, sempre in Una questione privata? «Tutti, tutti li dovete ammazzare... con tutti voglio due proprio tutti. An�che gli infermieri, i cucinieri, an�che i cappellani... io sono uno che mette le lacrime quando il macel�laio viene a comprarmi gli agnel�li... Eppure quando verrà quel giorno glorioso, se ne ammazzere�te solo una parte, se vi lascerete prendere dalla pietà o dalla stessa nausea del sangue, farete peccato mortale, sarà un vero tradimento. Chi quel gran giorno non sarà sporco di sangue fino alle ascelle non venitemi a dire che è un buon patriota». Come sia effettivamente anda�ta è cosa nota e alcuni libri, piuttosto recenti, mostrano impie�tosamente il volto di una primave�ra dove, talvolta, la pietà è morta. Dando vita a conti saldati da manipoli di vendicatori deU'ultima ora. Gente che, armi alla ma�no, mette al muro avversari definitivamente sconfìtti. Vicende di nemici fatti sparire nottetempo dalle case a cui sono stati mandati da una giustizia partigiana che il più delle volte ha saputo adempie�re saggiamente e umanamente al proprio compito. Almeno quando non è stata scippata da pochi, per fortuna lanzichenecchi dal fazzo�letto rosso ma dal cuore di tene�bra. Di questi percorsi bui dentro una primavera che ha illuminato di libertà il nostro Paese ha parla�to sine ira et studio Massimo Storchi nel suo libro Combattere si può, vincere bisogna. La scelta della violenza fra Resistenza e dopoguerra. Lì, nei territori del Reggiano investigati da Storchi, nelle settimane successive alla Liberazione si registrano eventi alimentati da quel «supplemento d'odio» di cui parla Claudio Pavo�ne ne Una guerra civile. Scrive Storciti: «I prigionieri più noti non sono subito passati per le armi ma vengono caricati su camion, rin�chiusi significativamente in gab�bie usate per il trasporto dei suini e avviati a una tragica tournée nei paesi limitrofi, una "esposizione della colpa" che precede l'elimina�zione fisica dei condannati, elimi�nazione che però non avviene pubblicamente ma si traduce nel�la sparizione nel nulla anche dei cadaveri». A questi strati di una storia che appartiene a tutto il paese, anche se nei suoi angoli più spinosi non ha avuto grandi frequentazioni, si calano anche gli ex-Luther Bhssett che con il nom de piume di Wu Ming assieme a Vitaliano Ba�vagli hanno scritto Asce di guerra. li con un procedere a concatena�zione progressiva si mettono in luce vicende di partigiani che non hanno smesso, o non hanno potu�to o non hanno voluto smettere di essere tali, d sopraggiungere della Liberazione. Espatriati nei paesi dell'Est, spesso per sfuggire alla giustizia italiana che sul finire degli Anni Quaranta li accusa di atti di violen�za compiuti durante la guerra di resistenza o nella resa dei conti successiva, finiscono in scacchieri lontani: in Indocina, ad esempio. Dove combattono assieme alle truppe di Ho Chi Minh. Esphdto lo scopo che muove gli ex-Luther Blissett nel loro lavoro: «Scavare nel cuore oscuro di vicende dimen�ticate o md raccontate è un oltrag�gio al presente. Un atto spregiudi�cato e volontario. Le storie non sono che asce di guerra da dissep�pellire...». E in effetti di questi tempi gli autori di i4sce di guerra non sem�brano affatto isolati nel loro lavo�ro di disseppellitori. Su dtri ver�santi anche i media riandando a quegli anni lontani in cui l'Italia toma alla libertà sembrano ma�gnetizzati da una memoria osses�sionata dd lato oscuro, dd risvol�to più violento, dah'ergersi di esistenze dd cuore di pietra. Boia novantenni condannati per sem�pre dalla storia ancor prima che dalla giustizia si prendono zoommate televisive e dettagliate e orrifiche rievocazioni. Nessuno, in tanto zelo di rivisi�tare il passato, ha tempo per riandare a un Duccio Galimberti e agli infiniti esempi di uomini dalla schiena dritta e dd cuore genero�so che presero posto in quel tragi�co pdcoscenico che fu la lotta di Liberazione. Né si rammenta co�me il frutto maturo di quella lotta sia stata la Carta Costituzionde di questa nostra Italia e i suoi solen�ni principi generati che ci legano gli uni agli dtri, anche se ex-awersari. Egualmente cittadini della stessa patria. Paradossalmente a differenza dalle rievocazioni degh Anni Sessanta e Settanta la Resistenza nel ricordo che ne vie�ne dato oggi si è fatta chiodo doloroso di orrori e di sangue. Il fine dto, le motivazioni che han�no dato forza a tanti nel sopporta�re violenze e sacrifici, pare preda deh'amnesia. Siamo si sa quel che rammentiamo. Il ricordo afferma oggi qudcuno è un'ascia di guerra. Uno strumento poco adeguato a seminare. DA LEGGERE Gabriele Pedullà La strada più lungaSulle tracce di Beppe Fenoglio Donzelli. 2001 Massimo Storchi Combattere si può vincere bisogna Marsilio, 1998 Vitaliano Bavagli Wu Ming Asce di guerra Tropea. 2000 Il dopo 25 aprile nel Reggiano è raccontato in un libro di M. Storchi

Luoghi citati: Alba, Indocina, Italia