I guerrieri di Israele ammalati di pace di Fiamma Nirenstein

I guerrieri di Israele ammalati di pace I guerrieri di Israele ammalati di pace L'epica si appanna, i giovani ora vogliono normalità analisi Fiamma Nirenstein GERUSALEMME SHARON aveva detto mille volte che non ci sarebbero state trattative sotto il fuoco: invece ce ne sono state in abbondanza, con decine di incontri più meno segreti, fi�no alle dichiarazioni di Muba�rak di ieri. Israele si guarda intorno stupefatta, la gente si chiede se è vero, se si può ancora sperare, i coloni comin�ciano di nuovo a preoccupar�si, la sinistra tira il fiato, molti stupefatti confrontano l'orribile ondata di attentati delle ultime ore e i timidi sorrisi di Shimon Peres. Eppu�re la sensazione di fondo è quella di un debito pagato, una somma dovuta, un'offesa che forse potrebbe esser lava�ta: l'offesa della guerra a un Paese che, ontologicamente, per come si è costruito nono�stante la geografia, nonostan�te i contrasti interni, anche quando mostra i denti ha il «trans» simbolicamente in ag�guato. «Trans» è un tipo di musi�ca, un ballo a un ritmo assor�dante che i giovani ballano per ore e ore e ore, associato a volte anche all'uso di stupefa�centi, specie l'ecstasy, per reggere lo sforzo e la stupefazione. Bene: durante i giorni della grande festa nazionale dell'Indipendenza, sta�volta triste e macchiata di sangue, tenutasi tre giorni or sono, a migliaia i ragazzi israeliani in licenza dall'esercito, invece di ballare la «bora», il ballo collettivo tradiziona�le, mezzo sovietico mezzo orientale cuore dell'epos israeliano tradizionale, contadino, guerriero, pionieristico, si sono buttati nel «trans». Invece di danzare in cerchio, tutti insieme lo stesso movimento, le mani intrec�ciate l'uno con l'altra intorno a un fuoco o nelle piazze, come si faceva fino a qualche anno fa, ognuno per conto suo, con gli occhi chiusi, al buio o accecati dalle luci psichedeli�che, fino al sorgere del sole, i ragazzi che in altri momenti sono paracadutisti o che con l'elmetto e il mitra in mano presidiano i check point, ragazzi come quelli che muoiono in tanti in questi giorni e che sono morti (più di ventimila) dalla fondazione dello Stato d'Israe�le, i ragazzi che sparano e uccidono, hanno danzato celebrando la propria appartenenza alla società opulenta. Cercare di dimenticare, di scaricare la tensione, in pace. A Eilat, al mare, o nei boschi intorno a Gerusalemme dove pagando 80 shekel (40mila lire) si può entrare in una discoteca improvvisata dotata di altoparlanti potenti e affidata a un disk jokey famoso, i giovani d'Israele danzano fino a quando il sole sorge su una terra che nelle ultime 48 ore ha conosciuto otto attentati: non il ballo che batte con i piedi la terra e cos�facendo la possiede, ma la danza delle mani levate verso il cielo, agitate a destra e a manca verso un'impossibile speranza. Dal 1991, quando ci fu l'incontro di Madrid fra Israele, i palestinesi e tutti gli Stati Arabi, passando dall'autentica epopea pacifista dell' accordo di Oslo, con i suoi personaggi circonfu�si di destino, Rabin , Clinton, Peres, l'Arafat di allora, la società israeliana ha galoppato verso quello che sembrava essere il suo destino naturale: la pace. Anche se rimanevano sacche di rifiuto legato a posizioni natural�mente contrarie a quelle della modernità laica che vede nella pace una parte indiscutibile della sua cultura, e il mondo degli insediamen�ti e quello religiosonazionalista si opponeva , anche la destra del Likud, sia pure con maggior cautela, si è sentita trascinata nel processo di pace: persino Bibi Netanyahu, nonostante le parole roboanti, fece sgombera�re Hebron secondo gli accordi di OIso e a Wye Plantation con Arafat e Clinton, fece ulteriori concessioni. Israele nelle merci, nell'high tee, nel cibo, nei modi di vita, nella diffusione dell'informa�zione pari a quella di qualsiasi altro stato democratico, nella spietata critica da parte degli intellettuali e dell'informazione verso la classe dirigente, da dieci anni si è costruita come un Paese che ha molte difficoltà ad affrontare lo scontro costante, la guerra, una serie di spietati attentati, e anche ad affronta�re la morte e lo stress di essere odiati da un nemico. Giorno dopo giorno, dopo ogni spara�toria, dopo ogni attentato cui risponde un'azione contro uomini di Hamas o di Fatah, dopo ogni bombardamento, per quanto possa essere mirato su obiettivi specifici, dopo ogni chiusura dei Territori per quanto dichiarata�mente tesa a evitare l'ingresso di terroristi in Israele e limitata nel tempo, l'informazione, l'opinione pubblica si scatenano in critiche roventi, che minano il morale dell'esercito. I giovani in divisa sentono che la popolazione non possiede la tensione morale che sostiene un esercito, le mamme fanno squillare inces�santemente i telefonini, la morte dei giovani è vissuta non come la può vivere un Paese in guerra, ma come una tragedia incontenibile, invivibile. Ciò che ha giocato molto nella costruzione di questi sentimenti, è anche una grande rivoluzione culturale: dagli Istituti di Storia nelle Università, è uscita un'ondata di libri che, pieni di senso di colpa, ridiscutono le origini stesse d'Israele, le sofferenze palestine�si causate dalla guerra del '48 (scoppiata su iniziativa dei paesi Arabi contro la risoluzione dell'Onu che accettava Israele nella comunità delle nazioni) e hanno imposto alla coscienza israeliana un senso di colpa simile a quello che sentono gli americani verso gli indiani, o che troviamo in una certa lettura del nostro Risorgimento nei confronti del Sud. Solo che Italia e Stati Uniti non sono Paesi con un nemico agguerrito e molto attivo in attentati e azioni belliche. L'esercito israeliano, anche da quando Sharon è al potere, ha compiuto azioni molto simili a quelle ordinate, prima, da Ehud Barak; mentre diceva di non trattare, tramite suo figlio Omri e il suo ministro degli esteri Peres, Sharon ha trattato senza sosta. I coloni sono importanti per lui; la paura degli attentati e la rabbia per il grande rifiuto palestinese anche; ma anche il Primo Ministro più aggressivo degli ultimi anni non può lasciare da parte quella che a prima vista sembra solo un patetico desiderio, e invece è ormai parte, per la vita o per la morte, dell'inconscio collettivo israeliano, un tempo eroico e integralmente devoto alla sopravvi�venza. Pochi giomi fa, un gruppo di israeliani inalberava un cartello vicino a soldato in divisa mentre volavano le pietre dell'Intifada. Sul cartello èra scritto: «Ci rifiutiamo di essere nemici». Ritmi da discoteca e ecstasy hanno preso il posto delia «hora» il ballo comunitario che ricorda gli anni dei pionieri Dalle università escono libri che riscrivono la fondazione dello stato e incrementano il senso di colpa verso i palestinesi I funerali del sergente Shlomo Elmakayls, ucciso sabato In un agguato, probabilmente da guerriglieri palestinesi Durante uno scontro della nuova Intifada un gruppo di persone vicino a un soldato hanno inalbenito un cartello: «Rifiutiamo di essere nemici» Perfino Sharon ha dovuto sacrificare i suoi progetti di falco alla crescita di questo nuovo sentimento che nell'inconscio collettivo ha sostituito l'eroismo