Nella valle si fa largo la paura del diverso di Marco Neirotti

Nella valle si fa largo la paura del diverso Gli abitanti del paese guardano con sospetto verso Susa, dove è cresciuta la comunità di albanesi e africani Nella valle si fa largo la paura del diverso Marco Neirotti LA strada che esce da Sant'Ambrogio, sotto la Sacra di San Michele, punta Verso le montagne. Ed è l�che guarda la gente: a Sant'Antonino, Bussoleno, Susa, tutti piccoli centri con una grande concentra�zione di immigrati dell'Est, dell'Albania soprattutto. «Per capire questo delitto devi andare un poco più su», dicono davanti al Bar Cooperativa di piazza Abbadia, a Busso�leno. Guardano la vallata come un imbuto rovesciato: infilati nel tunnel e là troverai i cattivi. Come sempre, come ogni volta che un delitto non ha ancora un colpevole, un indirizzo per le accuse viene fuori: loro, gli immigrati, i clandestini. E questa zona ne sa parecchio: area di criminali italiani in soggiorno obbligato, questa terra si è risco�perta agli inizi degli Anni '90 rifugio dei primi fuggiaschi dall'Albania. Arrivarono a Susa e si guardavano intorno come animali braccati, avevano paura perfino quando, in una vecchia caserma, i cittadi�ni portavano loro materassi e coperte. Poi, sarebbe idiota negarlo, ciascuno ha mostrato la sua indole. Mentre i muratori impu�gnavano le cazzuole, Susa si è sentita, come i paesi intorno, per un certo tempo prigioniera di una prepotenza, una sicume�ra, una violenza cui non si era abituati. L'archivio è una lita�nia di furti, rapine, regolamen�ti di conti, irruzioni di polizia in prigioni-centri d'addestra�mento per prostitute comprate ma refratta�rie. Saranno le indagini a dire se questo mondo ha davvero una parte nella insensata esecuzione dell'altra sera. Ma è curioso notare come Sant'Ambrogio di Torino, a 20 chilometri dalla città, non guardi la metropo�li bens�l'incunearsi della strada verso monte. Come spiega il sindaco, Sergio BaroGli im«Ognla stessLa cdeve pessere migrati volta a storia olpa r forza nostra» ne, questo centro di 4 mila abitanti «vive di industria, a partire dalla Mottura, che fa serrature, poi ex aziende del�l'indotto Fiat che si sono ricana�lizzate, poi artigianato e edili�zia». E, soprattutto, quiete. Non si sbilancia il sindaco, però d'istinto guarda verso le montagne. L'archivio snocciola un'infinità di vicende legate all'immigrazione. Quando sali per questa valle, in auto, ogni cartello stradale porta, sotto il nome del paese, la scritta a pennarello o ben stampata di «Padania». Ben strana Padania. A Bussoleno, 6700 abitanti, ci sono 200 stranieri in regola, più tutti gli altri: «Africani e albanesi», dice il sindaco Alida Bonetto, però su una cosa è determinata: «Ottima integrazione, lavoro, rispetto». E Susa, il punto nevralgico dell'im�migrazione, risponde a questo delitto rigiran�do la domanda: «Perché qui e non a Torino? Perché subito cercate qui?». Lo dicono gli immigrati. E il sindaco, Sandro Plano, affronta la questione con passi morbidi: «Nel '90-'91 fummo una delle prime destinazioni. Accusammo il colpo e rispondemmo. Abbiamo avuto problemi, cer�to, e la microcriminalità tuttora esiste. Ma da l�a sentirci ostaggio, posso garantire che non è vero. E' pieno di gente integrata bene». Ma a valle guardano su. In questa storiac�ela ci sono elementi che fanno pensare a possibili colpevoli (dal pane e salame mangia�ti nell'attesa, come a casa propria, al fuoco facile), ma al Bar della Cooperativa dicono pure: «E questi stranieri sapevano di una cassaforte con dentro denaro di più Stati? Mi fa strano». E qualcuno ricorda il sequestro Spadafora: «Testa italiana, braccio albanese». A Susa, al bar, dicono gli albanesi: «Ormai è prassi. Sono stati loro. Cioè noi. Io non sono rapinatore, ma se devo vuotare la cassaforte, allora non ammazzo chi può aprirla, gli strizzo le palle, ma lo tengo vivo». Gli immigrati «Ogni volta la stessa storia La colpa deve per forza essere nostra»

Persone citate: Alida Bonetto, Mottura, Sandro Plano, Sergio Baro, Susa