IRPINIA Com'è bella la vecchia politica

IRPINIA Com'è bella la vecchia politica GLI AVELLINESI CONTINUANO A MANGIARE PANE E PARTITI IRPINIA Com'è bella la vecchia politica reportage Filippo Ceccarelii inviato ad AVELLINO CMERA una volta in Irpi*nia... Beh, quella volta era�no le elezioni del 1963 e Piero Ottone, giovane inviato del Corrie�re delle Sera, andò a trovare un anonimo «notabile» avellinese nel suo studio, affollato di povera gente in cerca di favori. Erano le 9 e mezza del mattino, e ciò che più colp�il giornalista «era la tenuta del "notabile" che consisteva in un pigiama a righe. E con il suo bel pigia�ma scrisse Otto�ne e con le bab�bucce ai piedi, egli mi intrattenne poi per un'ora, sui problemi avelline�si». Dieci anni do�po, 1973, Giampa�olo Pausa diede il senso brutale del cambiamento in un articolo dal ti�tolo: «I giovani manager della miseria». Era il ritratto di un gruppo di democri�stiani che dopo aver divorato il bisbetico ed intelligentissimo pa�dre, liorentino Sullo, sperimenta�vano in queUe terre «un potere di ferro, e per di più esercitato nel deserto». Ancora un'altra decina anni, e quei leninisti bianchi avevano fatto a tempo a diventare chi sindaco e/o vice direttore del Mat�tino («Nacchettino» Aurigemma), chi presidente della provincia (Peppino Gargani), chi direttore della Rai (Biagio Agnes), chi presi�dente dei senatori (Nicola Manci�no) e chi ministro (Gerardo Bian�co e Salverino De Vito). Il,più bravo, il capo predestinato di quello che venne poi denominato con qualche brivido «il clan degh avellinesi», il figlio del sarto di Nusco, s'era preso la De e l'Italia. E cos�anche per tutti gh anni ottanta e rotti, oltre alla storia d'Itaha, l'Irpinia mantenne viva la migliore tradizione giornalisti�ca. Continuarono ad arrivare a frotte gh inviati, i direttori e i futuri direttori: croce e dehzia per il narcisismo irpino. Senza pietà Saverio Vertono si accan�sulla viUetta demitiana; mentre a Eugenio Scalfari la sera andava�mo a via Veneto si deve un indimenticabile racconto di una visita a Nusco, con partita di carte e scorta che all'imbrunire riempiva i portabagagli di provo�le e mozzarelle. E venne quindi il tempo deUe pizzette della Dietalat, e la cele�brazione degh sparrìng-partner del leader a «mariaccia», la brisco�la nuscana ; venne il nipote ribelle e quel tipo che ti forniva l'albera genealogico della famiglia De Mi�ta, magari per dimostrare che nel Seicento c'era un beato. Quante attese davanti a quel canceUo; oppure a spiare gh invitati in giardino nei ricevimenti onoma�stici ciriacensi. Vero è che specie dopo l'Irpiniagate, l'aria prese a farsi bruttina, là fuori, per i gior�nalisti invasivi. «Fagli dare un gelato e mettili alla porta» pare abbia ordinato una volta De Mita a un famiglio. «Offri loro un gela�to tradusse più garbatamente il Mattino e congedali». Il congedo, o auto-congedo da Nusco arrivò all'indomani della Tangentopoli irpina, appendice giudiziaria dell'Iipiniagate, allor�ché parve esaurirsi quello straor�dinario romanzo di potere. Addio per sempre, si penso, addio «Tele Nusco», addio «Nusco Fava», ad�dio «Nusco-Mosca», come venne ribattezzata prima che crollasse il muro una lista Dc-Pci alle elezio�ni della stampa parlamentare. Giustappunto m sala stampa a Montecitorio ci fu un giornalistamusicista, l'ottimo Ferdinando Regis, che ebbe il cuore di attribui�re a De Mita, ormai in fase defini�tivamente purgatoriale, un brano di languido pentimento: «Se rina�sco diceva resto a Nusco». Tutta questa lunghissima pre�messa per dire con quale timore reverenziale si ritoma nel 2001 tra le valli dell'Ofanto e del Calo�re, là dove fin dai tempi del Viaggio elettorale di Francesco De Sanctis è destino che provenga la classe dirigente più dirigente d'Itaha. Bene: si ritoma e si sco�pre che rispetto alla campagna elettorale artificiale, mediatica e iper-tecnologica che va per la maggiore, l'frpinia resta l'Iipinia, non rinnega quel misterioso impa�sto di civiltà contadina, di mise�ria, di cultura. Gh avellinesi conti�nuano a mangiare pane e pohtica, s'intendono eh partiti, sanno tutto dei loro leader. Per cui, neh'era del visivo, in Irpinia si vendono oltre al Matti�no ben cinque quotidiani {Il Cor�riere deU'inesauribile Gianni Fe�sta, Il Giornale di Avellino, Crona�che, Ottopagine e Piazza della Libertà). Nel tempo della rapidità e della semplificazione, l'interes�santissima autobiografia della si�nistra avellinese di Federico Bion�di {Andata e ritomo. Elio Sellino editore) si prende due volumi per complessive 1.117 pagine. E se alla stazione della vicina Bene�vento, per intendersi, domina il «Rizla point», specie di altarino dedicato alle cartine per arrotolar�si tabacco e altro, in quella di Avellino spicca la copertina del volume Viva Sullo di Gianfranco Rotondi, candidato cdu. Cose d'altri tempi, ma qui at�tualissime. Come certe abitudini di De Mita, del resto, che dopo aver piantato una grana pazze�sca, con lacrime e tutto, ha ingan�nato le ansie del negoziato giocan�do indovina a «mariaccia». Non più con Totormo Pagliuca, detto «Sputazzella», purtroppo decedu�to, bens�con «Cenzino» Sirignano, presidente del Consorzio Smaltimento Rifiuti Avellino 2. A riprova della centralità irpi�na tutto stava infatti saltando, nel centrosinistra, per l'attribu�zione del collegio di montagna di Mirabella Belano; mentre nel cen�trodestra si è sbroghato in extre�mis il nodo per mettere l'ex demitiano Gargani ad AveUino città. E invano allora uno di An ha fatto lo sciopero della fame. E nulla co�munque a confronto di quanto è accaduto al consigliere regionale ed ex sindaco di Solofra Amelio De Chiara che, escluso dalla lista (Ds), ha deciso di farla finita e s'è ucciso. E insomma, ora che tutto è sistemato, a distanza siderale dal costoso armamentario di guru, campaign-managment e mediaconsultants, ecco, qui le elezioni seguitano ad essere un torneo regolamentato di crudeltà e di furbizia, una prova di resistenza fisica, un sistema di combinazio�ni sociali e relazioni esistenziah; e poi anche gioco sublime, sport estremo, risorsa narrativa, passio�ne. Insomma: la pohtica, co�m'era, con le sue dannazioni; non la tecno-politica, con le sue appa�renze. E allora: per il Senato il presi�dente Mancino, che a Montefalcione non manca mai quando ammazzano il maiale, si è come preso in carico e garantisce per il ministro Maccanico, che è candi�dato alla Camera, ma non vive ad AveUino, «non c'è il nome suo sull'elenco del telefono» l'accusa Gargani. Perché qui «radicamen�to» è ancora un requisito indispen�sabile. L'automobile di De Mita sbuca dopo l'ultima curva che porta a Cairano, paesino di trecento ani�me (800, in realtà, ma gh altri sono emigrati), arroccato a 850 metri, ai confini con la Basilicata, aria fina, ventosa, sciabolate di sole sui prati, mucche, il Vulture sullo sfondo. Lo attendono in un capannone: una quarantina di persone, neonati che frignano, bambini con il cappello calato sugli occhi, vecchi con il bastone. Lo adorano, ma forse più ancora lui adora loro, se è venuto fin quassù a celebrare il rito antico, il più umile e il più nobile, dell'in�contro con gli elettori. L'ex presidente del Consigho raccoghe voti uno per uno: come un tempo, come sempre. A Caira�no c'è un sindaco intelligente, D'angelis, che si definisce più demitiano che popolare. Sul pove�ro tavolo un mucchietto di «santi�ni». In un'altra stanza, al di là della strada, un piccolo ottimo buffe di salame e formaggio fre�sco dominato da una composizio�ne ornamentale di bicchieri di carta. E' tutto. Vestito come quan�do incontrava Reagan o Gorbaciov, De Mita spiega a questo suo pubblico cos�semphee e cos�au�tentico, che il «porta a porta, questo vero, bisogna farlo per rompere il rapporto emotivo che passa attraverso la televisione». Altro che televisione. Basta ve�dere la faccia di Ortensio Zecchi�no, l'ultimo della covata demitia�na deciso a giocarsi tutto con Democrazia europea, di fronte alla giornalista televisiva che gli chiedeva se Andreotti, di passag�gio ad Avellino, sarebbe andato allo stadio a vedere la partita. Era un'espressione di sbalordita alte�rigia. La partita? Da Padre Pio, piuttosto, a Pietrelcina, deve an�dare Giulio, e subito fa telefonare dal «suo» sindaco ai frati. Andreot�ti, tra parentesi, ha detto ieri con malizia che De Mita gli fa «tene�rezza perchè ora sta con quelli che lo vilipesero per la storia del terremoto». Qui l'impressione è che la poli�tica non lascia che i media gli facciano l'agenda, non cambia location, non muta codici e gram�matica; resta nel proprio ambito, diffida degh effetti speciali, tiene a distanza cantanti, calciatori, presentatori tv. Come accade dai tempi di Sullo, noto anche per aver tempestosamente interrotto un colloquio tra Rumor e Nixon a Palazzo Chigi assediato dai mani�festanti per implorare il rinvio del congresso provinciale della de di Avellino, insomma, qui la pohti�ca è se stessa. Contatto diretto, aggiomamento di chentele, codaz�zi di portaborse, trasfonnismi fan�tastici e saghe familiari che viva�cizzano le dinamiche, per cui in pratica ogni leader ha parenti contro (e Mastella un cognato potenzialmente dissidente). L'indifferenza sembra assai contenuta rispetto al resto del paese. Così, se davvero occorre cercare un elemento post-moder�no, neU'Irpinia 2001, beh, è in quella strenua immutabilità che la fa sembrare una specie di mu�seo vivente e interattivo; oppure una riserva naturale integrale; comunque una realtà mantenuto�si pura come dentro un cristallo. «Fedeli al nostro cuore antico» dice anche senza retorica «Nac�chettino» Aurigemma. Un caso più unico che raro di classe diri�gente sopravvissuta al crollo dei muri, deUe idee, dei partiti, dei vincoli di appartenenza. Avversa�ri che si rispettano, platee atten�te, applausi misurati, telefonini silenziati. Speciale anche in que�sto, l'Irpinia. Unica, anzi. Schiac�ciata dal passato, senza futuro. Come se il ritardo dopo tutto fosse l'ultima risorsa. E forse lo è. L'ex presidente del Consiglio raccoglie ancora voti uno per uno, come sempre E spiega: «Il porta a porta serve per rompere il rapporto emotivo che passa attraverso la tv» Un caso più unico che raro: una classe dirigente sopravvissuta al crollo dei muri e delle idee. Platee attente, avversari che si rispettano, applausi misurati A sinistra Ciriaco De Mita gioca a carte a Musco A destra un'immagine simbolo del dopo terremoto in Irpinia