Dall'Olocausto alla ex Jugoslavia l' inerzia è colpa

Dall'Olocausto alla ex Jugoslavia l' inerzia è colpa Dall'Olocausto alla ex Jugoslavia l' inerzia è colpa NElIARepubblica Plato�ne traccia uh suggesti�vo contrasto fra l'educa�zione dei medici e'quella dei giudici. Per i.primi è un vantaggio essere cagionevoli di salute, dice, perché resperienza diretta della malattia può aiutar�li a capire e curare meglio i propri pazienti; per i secondi invece sarebbe un tragico errore familiarizzarsi personalmente con il crimine. Ne risulterebbero giudici non esperti ma corrotti. Il contrasto è fondato sulla di�stinzione platonica tra anima e corpo: nella loro attività profes�sionale, medici e giudici usano l'anima, e possono farlo con profitto anche se il corpo è ma�landato, ma se è l'anima a «infet�tarsi» allora decadono irrimedia�bilmente integrità e ragione. Questo ideale di purezza in�contaminata si è affermato co�me dominante nell'etica occiden�tale e ha trovato espressione concreta in coloro che preferisco�no «non sporcarsi le mani», «non avere rapporti con il nemico» o «ritirarsi sull'Aventino». Comun�que giudichiamo tali atteggia�menti sul piano morale, sembra assodato che su quello psicologi�co la purezza non solo non funziona ma ha spesso esiti orri�bili. Ce lo ricorda Psicologia dell'inerzia e della solidarietà di Adriano Zamperini, un libro che chiama in causa le tante atrocità di questo secolo (dall'Olocausto ai massacri del Ruanda, della Cambogia e dell'ex-Jugoslavia) allo scopo di «analizzare la figu�ra dello spettatore inerte e quel�la del soccorritore». «E' grazie all'inerzia di coloro che osservano senza intervenire oppure chiudono gli occhi che una tragedia umana può svilup�parsi in tutta la sua negatività»; d'altro canto, «l'opposizione de�gli spettatori può insinuare dei dubbi nella prospettiva dei car�nefici e .incidere sugli altri spet�tatori, in particolare quando le atrocità collettive sono nella lo�ro fase iniziale». Ma come nasce la differenza tra, diciamo, i tren�totto cittadini newyorkesi che nel 1964 assistettero per mez�z'ora dalle loro finestre all'effe�rata aggressione e uccisione di Catherine Genovese senza aiu�tarla e senza nemmeno chiama�re la polizia, e i numerosi indivi�dui comuni che hanno protetto ebrei dai nazisti, spesso con gravi rischi per la propria incolu�mità? L'interessante risposta è che a funzionare è soprattutto il contagio delle relazioni sociali. «Laddove si instaura una relazio�ne individualizzata tra una vitti�ma e uno spettatore, si apre un possibile varco per un'azione d'aiuto che, nel tempo, può estendersi e diventare contagio�sa, 'infettando' altri spettatori». Addirittura, tale infezione può arrivare a «contagiare i carnefi�ci». «Le ideologie e le istituzioni che pianificano e realizzano atro�cità collettive la temono dunque come ilpeggior nemico» e mira�no a isolare e dividere le vittime della violenza da quelle dell'in�dottrinamento. «Come un virus che minaccia di penetrare il cordone sanitario predisposto per proteggere il corpo sociale, la relazione va stanata e resa inoffensiva perché portatrice di ima malattia letale per il potere autoritario: l'esercizio della rer sponsabilità non come obbedien�za, bens�come itinerario per percorrere la distanza che sepa�ra il sé dall'altro». A questo virus si contrappone «la retorica del�l'igiene», che spesso sfocia in veementi polemiche contro i cen�tri urbani, dove la prossimità con l'altro esaspera il contagio; nella Germania nazista «la città era considerata il luogo della mescolanza, della corruzione dello spirito e della carne, della violazione degli standard della rispettabilità . borghese», e in Cambogia si istitu�una radicale divisione tra il «popolo di base, costituito da coloro che viveva�no nelle zone rurali e ritenuto puro» e il «popolo nuovo, urba�nizzato e contaminato da idee e influenze esterne». Che la contaminazione sia un processo diffìcilmente resistibi�le lo,dimostra nel modo più evidente lo stile di Zamperini, il quale è docente di psicologia sociale all'Università di Padova e, in ossequio alla propria compe�tenza professionale, cita ima gran quantità di testi specialìsti�ci e descrive classici esperimenti come quelli di Milgram (sugli effetti distruttivi dell'obbedien�za all'autorità) e di Teofel (sul favoritismo nei confronti dei membri del proprio gruppo). Ma gli esiti di tanti studi e ricerche sono deludenti: ne derivano ba�nalità di carattere generale (il comportamento di una persona ha sempre più di una causa; non esistono «personalità» irrimedia�bilmente egoiste o altruiste; una persona può agire in modi diver�si in circostanze diverse) e speci�fico (più persone sono presenti a un misfatto, più ognuno dei presenti tende a scaricare le proprie responsabilità; un lea�der deciso e carismatico può invece coagulare intorno a se un efficace movimento di reazio�ne). Molto più valida risulta la sua prosa quando si lascia «cor�rompere» dalla simpatia umana e racconta autentici episodi di modesto eroismo. Nel leggere di Giorgio Perlasca, che a Budapest nel 1944 salvò migliaia di ebrei spacciandosi per diplomatico spagnolo, o dei cittadini del vil�laggio francese di Le Chambon, che nascosero dai rastrellamenti cinquemila rifugiati dal giugno 1940 all'agosto 1944, la nostra solidarietà viene gradualmente coinvolta e cominciamo a inter�rogarci su che cosa faremmo in circostanze analoghe. In quello che è per me il passo più brillan�te del libro, l'introduzione, Zam�perini abbandona addirittura il linguaggio verbale per presentar�ci in esergo due fotografie: nella prima una donna serba abbrac�cia una donna musulmana per consolarla, neilla seconda un sol�dato ibo in ritirata durante la guerra civile nigeriana non de�gna di uno sguardo un commili�tone ferito che gh tende la mano in cerca di aiuto. Niente chiari�sce meglio di queste immagini quanto «i principi morali non conducano all'azione morale» e quanto conti invece la risposta personale ed emotiva, e l'autore lo sa: «Dato l'argomento tratta�to, capace di rendere opache le parole usate per descriverlo, si è preferito, almeno nell'introdu�zione, utilizzare il potere delle immagini». Sono partito parlando della purezza platonica; mi sembra naturale chiudere con un riferi�mento alla sua più autorevole e vigorosa alternativa, l'umanità concreta e pragmatica di Ma�chiavelli. Nel Principe il grande Niccolò ci parla di come il suo pupillo debba costantemente ad�destrarsi alla guerra, facendola quando è possibile e, quando non lo è, andando a caccia o leggendo resoconti storici di bat�taglie. Da questo passo ricaviakao un buon esempio del valore educativo dell'esempio, anche di quello puramente descritto e non vissuto, purché la descrizio�ne non si limiti a vane generalità ma sappia essere vivida e detta�gliata. Purché, anche a livello teorico, si eviti l'asettica igiene di laboratorio e ci si lasci conta�giare dall'emozione e dalla com�plessità della vita. Ma sono le emozioni, più dei principi morali, a generare solidarietà: inducono a non chiudere gli occhi, a non restare spettatori passivi di fronte alle vittime e possono aprire il varco ad un'azione d'aiuto personale e concreto Adriano Zamperini Psicologia dell'inerzia e della solidarietà. Lo spettatore di fronte alle atrocità collettive, f/.iaud/: pp. 202. L 28000. SAGGIO

Persone citate: Adriano Zamperini, Catherine Genovese, Chambon, Giorgio Perlasca, Milgram, Zamperini

Luoghi citati: Budapest, Cambogia, Germania, Jugoslavia, Ruanda