GOLOSI SI NASCE

GOLOSI SI NASCE SCOPERTO IL GENEDELLADOLCEZZA GOLOSI SI NASCE Edoardo Raspelli CI hanno ingannato fino ad ieri; ci hanno inculcato complessi di colpa a non finire; quando eravamo bambini ci avevano detto che facevano venire i brufoli: i maschietti venivano terrorizzati con lo spettro della ciccia e di non riuscire più a salire sulle pertiche, alle bambine veniva prospettato un futuro con le cosce a mandolino e la buccia d'arancia a fare da guida estetica (meglio: antiestetica) del proprio fisico corpulento se non obeso. Dietro un cannolo, c'era un nemico, dentro una Saint Honorè, il Diavolo, accanto alla Sacher, Satana, oltre la cassata. Belzebù. Già, perché poi mangiare, mangiare dolci, era oltre tutto ritenuto un grave peccato, anzi, forse, il più grave dei peccati di gola visto, oltre tutto, la totale assoluta inutilità cibaria della portata conclusiva del nostro pasto: insomma, se strafogavamo un piatto di pasta alla fine di ore ed ore di lavoro, in fin dei conti, potevamo anche avere una giustificazione: avevamo soprattutto fame. Insomma, se strafogavamo un piatto di seppie alla griglia alla fine di una giornata di impegno in fabbrica od in ufficio, poteva volere anche dire che il nostro corpo sviluppava una disperata richiesta di sostentamento, ma il dolce no, non si potevano accampare scuse: cedere alle sue lusinghe era soltanto il risultato di un'infantile caduta di volontà, di un pericoloso comportamento alimentare, di una colpevole adesione agli istinti più biechi... E poi, soprattutto, era un peccato, come se quel Signore lassù, al momento di decidere il nostro destino etemo, al momento di scegliere dove metterci (e per quanto tempo), nella scelta tra Purgatorio Inferno e Paradiso, tenesse il conto della crema pasticciera, delle uova sbattute, dei quadratini di cioccolato da noi ingurgitati. La prima assoluzione ce l'ha data qualche anno fa Suor Germana: «La gola si sconta vivendo» mi disse. I calcoli di acido urico, la cintura sempre più stretta, la fatica di fare le scale, i (pardon) piedi gonfi, le fìtte alla schiena, gli svenimenti al diciassettesimo piatto, il (ri-pardon) «bruscon» notturno delle gozzoviglie diurne, i soggiorni periodici in ospedale... equivalgono bene a qualche anno (o decennio?) di Purgatorio. Poi, ora, l'assoluzione della scienza, il «nulla osta» o, per lo meno, il «via libera» che ci dà Nature( la natura...!?): non ci possiamo fare niente; il «bottone» che spalanca la nostra gola sui dolci non dipende da noi; non abbiamo noi l'intemittore di strudel, tirami su, meringata. Certo, se l'avessi saputo solo 45 anni fa, o s�che mi fermavo alle mie merendine di bambino padano... o s�che mi limitavo al casalingo panino tagliato a metà per il lungo, spalmato di burro e spruzzato di zucchero...

Persone citate: Edoardo Raspelli, Honorè, Paradiso, Purgatorio, Purgatorio Inferno, Sacher, Suor Germana