«Dai negrieri per salvare mio figlio»

«Dai negrieri per salvare mio figlio» NELLA STIVA PER GIORNI «A BORDO CI MINACCIAVANO: O PAGATE O VI BUTTIAMO A MARE» «Dai negrieri per salvare mio figlio» Un iracheno: forse qui sapete come curarlo la storia Guido Ruotalo Inviato a GALLIPOLI H A tre anni e il suo futuro è già segnato. Meiwan questo è il suo nome è un senza speran�za, uno sfortunato: è un bambino cerebroleso. «Non sente, non parla, non vede. Ma questo fa parte del suo passato. Siamo venuti qui per farlo vivere, per farlo curare, per dargli una speranza. I medici da noi si sono sbaghati, si devono essere sba�gliati per forza. Meiwan può guari�re, non lasciateci soh». Papà Masud e mamma Helis per farlo curare e assistere hanno sfidato la sorte, lasciato il loro piccolo villaggio, Omedi Sheri, nel cuore dell'Iran curdo, intrapreso il lungo viaggio, subito violenze e minacce. E' per il loro piccolo Meiwan che hanno ver�sato lacrime, che si sono affidati ai negrieri, ai trafficanti di carne uma�na. E' solo per dare una chance al loro piccolo che sono qui, a Gallipoli. Solo per farlo curare perché poi Masud, Helis, Meiwan e l'altro pic�colo che si sono portati, Sarowan, quattro anni, a differenza di tutti gli altri compagni di viaggio, vogliono tornare a casa, dove hanno lasciato alla nonna altre due bambine, nel piccolo vihaggio di Omedi Sheri. Gli occhi di papà Masud, adesso, sembrano spenti. L'odissea del viag�gio si è conclusa da cos�poco tempo che è troppo presto per cancellare le paure che l'hanno segnato, per far posto alla speranza. Masud parla sottovoce, quasi con un senso di inspiegabOe pudore. Ha quarant'anni ma sembra molto più vecchio. Le rughe scavano il viso: «Facevo il camionista : il mio mezzo l'ho vendu�to per Meiwan, per venire qui. Certo, qualcosa l'ho lasciato a mia madre, per mantenere le piccole». Coccola con lo sguardo Meiwan, mentre srotola una radiografia: la tac fatta il due luglio scorso all'ospe�dale «Azadi» di Duhok. Il medico ha scritto il referto in inglese: «Verosi�mile disturbo encefahco congenito. Mancato sviluppo corteccia cerebra�le con assenza di impulsi nervosi». La dottoressa Anna Rita del Sole, che ha appena finito di visitare i 245 nuovi arrivati al Centro accoglienza per richiedenti asilo e profughi «Lo�rizzonte» di Casalabate, scuote la testa: «Le lesioni sono irreversibili, certo le condizioni del piccolo Meiwan potranno mighorare se cu�rato e assistito». «Non ricordo più il giorno della partenza. E' da tempo che avevamo deciso, da quando il medico ci aveva detto che per curare Meiwan avrem�mo dovuto spendere almeno 5000 dollari. Sa, in Iraq con l'embargo, la guerra, tutto è più complicato, più caro, più difficile. Il dottore ci ha consigliato di venire in Occidente e cos�ci siamo dati coraggio e siamo partiti. Ho venduto il camion e ho comprato il passaggio in Occidente. Viaggio e passaporti falsi, seimila dollari in tutto, per me, Helis, il piccolo Meiwan e Darwan». Masud è impacciato nel racconta�re la sua odissea. Fa fatica a tirar fuori quello che ha subito. Sussurra che si è rivolto a emissari curdi della mafia turca che gestisce il traffico dei nuovi schiavi: «Mi sono rivolto a loro perché non sapevo come fare. Volevo un passaggio garantito in Occidente. Solo questo». Loro, a differenza degli altri compagni di viaggio, non sono scappati per non morire, per fuggire dalla guerra, dalla miseria, non sono i nuovi schiavi che per riscattare il prezzo del viaggio sono nei fatti sequestrati dai clan mafiosi. Loro hanno chiesto un passaggio in Occidente per cura�re Meiwan. «Siamo arrivati a Istan�bul e qui ci hanno strappato i nostri passaporti, gli stessi che ci avevano fornito loro. Ci hanno chiusi in uno stanzone. E sono passati giorni, settimane, forse un mese prima che ci facessero imbarcare». Luned�scorso la data la ricorda bene, Masud da Istanbul sono stati portati a «Ismiri», a Smime. «Ci hanno fatto salire su un gommone. Siamo andati al largo. Forse siamo passati da Cipro, non ricordo. Siamo poi saliti a bordo della nave che ci ha portati qui, e ci hanno scaraventato nelle stive. Ricordo che c'era una donna iraniana che si faceva dare soldi, una ventina di dollari a testa. "Se non pagate ci minacciava vi faccio buttare in mare dal comandante". Prima di chiuderci sotto, nelle stive, ci hanno dato una mise�ra razione di olive, formaggio e pane. Per fortuna che da Istanbul qualcosa l'avevamo portata». Due giorni fermi in acque intemazionali, con la nave che beccheggiava: «Era un infemo, la stiva. Le donne e i bambini si sentivano male, urlava�no. I bagni si sono subito intasati, il puzzo era tremendo». Poi, al terzo giorno, la prua della carretta ha puntato verso l'Italia, verso la Cala�bria. Quattro giorni di navigazione e, ieri, l'epilogo a Gallipoli. «Un paio d'ore prima che arrivassero i mari�nai italiani ci hanno fatto uscire dalla stiva, e abbiamo respirato aria pulita. Faceva freddo, il mare era arrabbiato ma respirare l'aria al�l'aperto è stato molto bello». Era il segnale, per papà Masud e mamma Helis, che stava per iniziare un nuovo giorno per 0 loro piccolo Meiwan. Uno del due giovani fermati: potrebbe essere un membro dell'equipaggio A sinistra, uno dei bambini che erano sulla nave turca

Persone citate: Anna Rita Del Sole, Bordo, Masud

Luoghi citati: Cipro, Gallipoli, Iran, Iraq, Istanbul, Italia