FALLIMENTO DELL'AZIONE MILITARE
FALLIMENTO DELL'AZIONE MILITARE FALLIMENTO DELL'AZIONE MILITARE Fiamma Niienstein HANNO un bell'insistere i politici israeliani che l'in�cursione unita all'occupazione-lampo di alcune zone di Gaza è stata un successo, escla�mare che l'uscita precipitosa fra le otto e le dieci di sera era già stata programmata in anticipo, affermare che è stato raggiunto un risultato di deterrenza mora�le («Arafat ha detto il ministro Meir Shitrit adesso sa che non può azzardarsi a sparare con le katiushe sui villaggi israeliani da dentro Gaza») e anche prati�co, facendo spostare i mortai oltre la linea di pericolo. Non è vero. L'incursione è andata ma�le. Dal punto di vista militare e dal punto di vista politico è semmai solo una testimonianza di come a Israele sia in questa fase molto difficile immaginare una strategia contro l'uso sem�pre più largo di armi pesanti contro le sue città, i kibbutz, gli insediamenti. I segni del fallimento sono due: la polemica che si è scatena�ta intomo al fatto che il capo delle operazioni a Gaza, il co�mandante Yair Naveh, intervi�stato sul campo alle 17 dai giornalisti, aveva annunciato che l'esercito sarebbe restato a Gaza finché tutti gli obiettivi non fossero conseguiti (cioè, fi�no allo smantellamento delle postazioni delle armi pesanti; ndr). «Quel che ci vorrà», aveva detto: «Giorni, settimane, me�si». Il poveretto, che poi è stato duramente redarguito, non sape�va che il Capo dello Stato Shaul Mofaz aveva già disposto il ritiro, a causa delle fortissime pressioni americane, entro po�chissime ore. Il secondo segna�le: Shimon Peres ha spiegato l'intervento del portavoce del dipartimento di Stato america�no, quando già praticamente lo sgombero stava avvenendo, co�me causato da una «caduta delle comunicazioni». Non certo fra Usa e Israele, ma piuttosto fra lui, ministro degli Esteri, e il suo diretto principale, Arik Sharon. In una parola, Sharon non ave�va incaricato Peres di conferire col suo corrispettivo americano Colin Powell, tenendolo invece all'oscuro di molte cose. Che cosa ricava Israele da questa azione? La sicurezza che se si azzarda a rientrare nella zona A non la passa liscia, e che quindi ha usato una strategia impraticabile; la consapevolez�za che anche se quei mortai sono stati sgomberati, Arafat è in grado di rimetterne subito in piedi altri, che infatti hanno ricominciato a sparare appena gli israeliani sono usciti; il sen�so che Arafat, sebbene sia stato riconosciuto dagli Usa come il maggior responsabile delle vio�lenze in corso, ha ancora un grande potere di gestire l'opinio�ne pubblica intemazionale. Inol�tre l'esercito adesso è stupito e amareggiato di essere stato mo�bilitato non tanto secondo un vero obiettivo strategico di dife�sa, quanto secondo un disegno politico che si è mostrato fallibi�le in pochissime ore. Sharon non sa più che fare: il mondo è molto preoccupato del�le reazioni arabe, il gioco della deterrenza che dovrebbe mante�nere la pace e l'ordine non funziona. L'esercito è forte, ma l'homo pacificus del XXI secolo fa s�che il militare e il politico non riescano più, ontologica�mente, ad andare d'accordo. Ie�ri, al tramonto, Israele è affonda�ta nelle 24 ore di commemora�zione dell'Olocausto senza il consueto spirito di volontà e di vita che rende la memoria della tragedia meno spaventosa. Una guerra controversa e non deside�rata incombe.
Persone citate: Arafat, Arik Sharon, Colin Powell, Meir Shitrit, Peres, Shaul Mofaz, Shimon Peres, Yair Naveh
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