Fiori di plastica per la DONNA RAGNO di Enzo Bettiza

Fiori di plastica per la DONNA RAGNO Mira Markovic, moglie di Milosevic, è stata l'anima nera del regime di Belgrado. Anche per lei la libertà ha le ore contate Fiori di plastica per la DONNA RAGNO Enzo Bettiza « Li A moglie dell'ex presi�dente è in libertà, ma non per molto ancora. Ritengo infatti che abbiano agito come complici. Entro un paio di mesi potrebbero esserci le prove che li accuseranno entrambi di alcuni omicidi politici». Questo minaccioso avviso di garanzia, indirizzato all'anima ne�ra e zarina del regime crollato, appaiono gravissime in quanto pronunciate dal personaggio che oggi a Belgrado quasi tutti conside�rano più potente e più influente dello stesso presidente Kostunica: cioè il primo ministro serbo Zoran Djindjic, che è stato dapprima artefice della disfatta politica di Milosevic e poi del suo travagliato arresto nella casamatta di Dedinje. Ora, da quelle poche ma inequivocabili parole, si evince che Djindjic sembra deciso a far trascinare in tribunale pure la consorte dell'ex dittatore, la tene�brosa e orfica Mirjana Markovic, meglio nota ai serbi come Mira, o anche «maga marxista», «Suslov in gonnella», «donna ragno». Oppu�re, semplicemente e definitiva�mente, «Lei». Non a caso un libro indiscreto che aveva per protagonista la Famiglia Milosevic, edito dalla famosa radio indipendente B-92 e scritto da Slavoljub Djukic, un veterano del giornalismo belgrade�se, s'intitolava per l'appunto Lui, Lei e noi. I pronomi maiuscoli indicavano i due grandi del regno. Slobo e Mira, mentre il minuscolo «noi» si riferiva all'impoverito e umiliato popolo serbo. La «dittatu�ra liberale» del tempo non censurò né band�dalle librerie quella saga al vetriolo dove nessuno dei perso�naggi appariva in ima luce clemen�te. Tutti già predestinati a scende�re, fra guerre perdute e armistizi al placebo, dalle stelle alle stalle: il gelido e scaltro sovrano, la regina intrigante e vendicativa, l'insolen�te principe ereditario Marko, la violenta principessa Marija, la nuora pittoresca e scollata, il gene�ro elettricista promosso a diretto�re del più grande quotidiano nazio�nale, lo stuolo mutante dei corti�giani cinici e malavitosi. Milose�vic era un tiranno sui generis, che usava alternare il colpo alla nuca con la finzione della condiscenden�za democratica. Cauto e possibili�sta, era troppo accorto per non sapere che la messa all'indice di un libro sgradito avrebbe attirato subito su di esso l'attenzione di un pubblico malizioso, già in preda ai fermenti della rivolta e del rigetto. Quella saga negativa, ricca di particolari intimi e di osservazio�ni acute, era apparsa in volume nei primi mesi del 1997. Era nel�l'aria il sentore incandescente del�la ribellione studentesca esplosa a Belgrado tra la fine dell'anno vec�chio e l'inizio del nuovo. Il Kosovo era ancora lontano; Arkan, il mer�cenario delle pulizie etniche in Croazia e in Bosnia, un complice troppo ciarliero e pericoloso, era ancora vivo; sulla superficie del�l'effimera bonaccia di Dayton, che sembrava offrire una copertura d'immunità internazionale al regi�me assassino, galleggiavano le om�bre e gli scheletri dei massacri su cui la cricca Milosevic, sempre più ispirata dalla maga di Pozarevac, aveva tentato di costruire invano l'utopia totalnazionalista della Grande Serbia. Pure il noto editore e giornalista Slavko Curuvija, da molti anni consigliere intrinseco della maga, era in vita: nessuno gli aveva ancora sparato alla schiena, lui non aveva ancora pubblicato nei suoi giornali l'inat�tesa lettera aperta {Fine dell'era Milosevic, autunno 1998) nella quale, constatando 0 totale falli�mento del marito di Mira, non più sua amica, ne chiedeva le dimissio�ni per incapacità e bancarotta fraudolenta. Ivan Stambolic, il ras del comunismo serbo che aveva protetto e introdotto Milosevic nei sotterranei del potere, non era ancora il desaparecido che sareb�be misteriosamente diventato nel�l'estate del 1999, dopo aver dichia�rato alla stampa: «Se qualcuno segue e fissa la vostra schiena per un quarto di secolo, è comprensibi�le che ad un certo momento lo assalga il desiderio d'infilzarla con un coltello». Neppure tre guar�die del corpo e il cognato di Draskovic, l'ex oppositore poi ex alleato di governo dei Milosevic, avevano ancora trovato la morte in uno strano incidente d'autostra�da alle porte della capitale. Sono questi alcuni dei molti cadaveri eccellenti che paio�no riaffiorare, come testi moni postumi della propria scompar�sa, dalle frasi indi�ziarie pronunciate dal premier Djin�djic. Frasi d'accu�sa per la prima volta ufficialmen�te e volutamente collegate, più che a Slobo Milosevic già incarcerato, al�la forse imminen�te incarcerzione di Milosevic Mira tuttora a piede li�bero. Nemmeno è da escludere l'arre�sto della figlia Ma�rija, sulla quale già grava l'imputa�zione di resistenza armata alle forze dell'ordine. Ormai si cono�sce nei minimi det�tagli la drammati�ca sequenza degli eventi, delle minac�ce suicide, degli spari rimbalzati di qua e di là in quel crepuscolo degli dèi danubiani. Le teste di cuoio, pene�trate nella dimora per arrestare l'uo�mo una volta più acclamato e oggi più disprezzato della Serbia, s'era�no trovate al cospetto di uno «squilibrato mentale» (espressio�ne usata dal vice primo ministro serbo Zarko Korac) che, con una pistola nichelata in pugno, ripete�va monotonamente con un filo di voce appena percettibile: «Non ci prenderete vivi». E intanto rivolge�va la pistola ora contro se stesso, ora contro la moglie pietrificata e incredula di vivere quel che stava vivendo, ora contro la figlia che, esagitatissima, stringeva al petto un kalasnikov militare. Marija, notoriamente velleitaria come il fratello Marko, solo latitante della famiglia, aveva un antico debole balcanico per le armi da fuoco. Pure lei indignata dalla mancanza di rispetto degli agenti che un tempo ubbidivano come automi agli ordini della Famiglia, esaspe�rata dalla recente partenza per l'Avana del marito pseudogiomalista, accompagnato per di più nella fuga da una donna più bella di lei, s'era messa d'un tratto a urlare al padre che non si decideva ad ammazzare nessuno: «Ucciditi,'uc�ciditi, non permettere a questi vermi traditori di toccarti!». Quin�di, agitandone la canna all'impaz�zata, aveva fatto partire dal ka�lashnikov una serie di colpi incon�sulti, privi di bersagho e di senso. Aveva osato sparare, non uccider�si o uccidere. Infine era scoppiata in un pianto dirotto e, singultante e inerte, s'era lasciata disarmare dai gendarmi. La madre mitomane le aveva dato il nome di Marija, con l'intenzione di celebrare nella figlia la memoria omonima di una certa Bursac, eroina partigiana morta nella seconda guerra; in seguito, delusa, ne aveva bollato il carattere psicolabile: «Ad un certo punto capii che la mia Marija non sarà mai una Marija Bursac». Pur essendo pieno di informa�zioni inedite e greve di insinuazio�ni biografiche, il libro Lui, Lei e noi non poteva ovviamente conte�nere, all'epoca in cui verme scrit�to, tutto ciò che è accaduto e si è saputo dopo il 1997. Conteneva però, nella descrizione dei caratte�ri della Famigha e dei turpi reggi�coda che per tre lustri ne hanno formato la corte corrotta, una radiografia per cos�dire anatomi�ca dell'ultimo stadio degenerativo della «nuova classe» ormai sene�scente e morente del comunismo jugoslavo. Già Milovan Gilas l'ave�va magistralmente analizzata, in tutti suoi palesi vizi castali e burocratici, nella fase del decollo dopo la conquista del potere e la rottura del 1948 con il Kominform. La critica e il dissidio coi vertici del partito titoista, di cui Gilas fu in guerra e nel dopoguer�ra uno dei massimi dirigenti, era�no iniziati da un famoso editoriale da lui pubblicato sull'organo co�munista Barba. Il titolo la diceva lunga: ((Anatomia di una morale». In quell'articolo, il grande dissi�dente montenegrino aveva intuito e quasi previsto i peccati letali che, incubati dal titoismo, avreb�bero portato un giorno il comuni�smo jugoslavo allo stadio finale e incestuoso dell'amplesso con le 1 dottrine e le pratiche etnocide del nazionalsocialismo: il milosevicismo nazificato, insomma, come fase suprema ed estrema del titoi�smo serbizzato. La saga dinastica di Djukic si spostava dall'anatomia di una mo�rale depravata all'anatomia di una antropologia degenerata: qui i fanatici di partito vengono rim�piazzati dai delinquenti di mafia, le epurazioni ideologiche dalle «purificazioni» etniche, i «batta�glioni del lavoro» dai battaglioni della morte, le burocrazie stupide e avide dalle oligarchie affaristi�che e razziste votate al saccheggio puro in casa altrui (Croazia, Bo�snia, Kosovo) e più tardi in casa propria. Alla fine del processo degenerativo si compirà una sorta di fatale simbiosi speculare fra le tarde pulizie etniche del fascismo 'serbo degli Arkan e dei Seselj, versione aggiornata del nazionali�smo arcaico e mistico dei cetnici, e le prime pulizie etniche del fascismo ustascia-croato contro la diaspora serba e del comuni�smo di guerra tirino contro le popolazioni italiane in Istria e Dalmazia. Soltanto l'ex Jugosla�via, durante «la guerra dei dieci anni», ci ha offerto lo spettacolo di postfascisti e postcomunisti di nazionalità serba intimamente af�fratellati nelle operazioni di ma�celleria a danno degli «alieni». Il neocetnico Vojislav Seselj, princi�pale puntello fascistoide delle coa�lizioni rossobnme di Belgrado, sostenute dalla docente di marxi�smo Mira Markovic e dal marito proveniente dalle sezioni comuni�ste belgradesi, predicava con vee�menza la diffusione dell'Aids a danno degli albanofoni kosovari. Non solo. Ma, lodando e compro�mettendo Milosevic, anticipava di anni quanto lo stesso ex presi�dente oggi si vede costretto ad ammettere: «Quando inviammo 30 mila volontari al fronte, fu lui a fornirci armi, munizioni, vestiari e cibo. Fu lui a fornirci i mezzi di trasporto. Fu lui a metterci a disposizione i canali logistici dell' esercito jugoslavo». I «volontari» erano in maggioranza teppisti, arruolati spesso a pagamento, con la promessa di libero saccheggio dei beni «nemici»; il «fronte» era�no i civili croati di Vukovar e le contadine e i contadini musulma�ni di Tuzla e Srebrenica. La salita di Mira Markovic alle vette di comando a fianco del marito, sempre più soggiogato dal�le sue stravaganti emulsioni ideo�logiche, è fin dall'aspetto fisico della donna un tipico esempio della finale degenerazione antro�pologica della vecchia «nuova clas�se» serbocomunista divenuta ser�bosciovinista. Mira sembra uscita in uno stesso istante dall'antro di una tragedia di Sofocle e da un film zingaresco di Kusturica. È ossessionata dal mito luttuoso di Antigone, veste sciattamente di nero come Elettra, adoma le dita e i polsi rustici e grassocci, da mas�saia più che da dottoressa di sociologia, con molti anelli e bracciali pesanti. Vorrebbe conferire un tocco piramidale classico e fatale, tra imperatrice bizantina e pizia greca, alla densissima capi�gliatura cotonata e unta d'una tintura d'inchiostro lucente, fra le cui ciocche occhieggia sempre, chissà perché, un povero fiore di plastica. Perfino nei giardini delle sue ex ville, acquisite a spese dell'erario statale, usava dare il bando ai fiori naturali sostituendoli con quelli di materia sintetica. Ai bei tempi ruggenti teneva sulla più militante rivista del nazionalcomunismo panserbo, Duga che si traduce Arcobaleno, cioè speran�za e utopia, una rubrica oracolare e zodiacale, tutta ricamata in imo stile ermeticamente allegorico, po�etico, con sibilline allusioni deam�bulanti tra la politica, la morale e la meteorologia: i belgradesi e poi anche i diplomatici stranieri, che fra quelle righe oscure andavano a cercare le chiavi strategiche dei Milosevic, chiamavano «orosco�po» la puntuale column di Mira. L�si preannunciavano disgrazie, pro�mozioni, punizioni, compromessi con le opposizioni di destra e di smistra e altre cose strane. Una volta, dandosi le arie della fattuc�chiera onniveggente, la first lady scrisse di aver previsto la disinte�grazione della Jugoslavia contem�plando il mare da una spiaggia di Dubrovnik non ancora assediata e bombardata dalla truppa serbomontenegrina. Un'altra volta, par�lando in terza persona di una coppia di coniugi politicamente potentissimi, criticò «lui» che ave�va aggiunto a «lei» una seconda «lei» usurpatrice e arrivista. Il pubbhco si domandò immediata�mente: possibile che un conformi�sta fedelissimo alla moglie come Milosevic si sia trovato un'aman�te? I più smaliziati si risposero: è lei che finge di criticarlo lasciando intendere che anche il grande Slobo, come ogni maschio balcani�co che si rispetti, ha finalmente infranto la squallida fedeltà per arricchire il suo letto non più monogamico. I pessimisti aggiun�sero: non è Slobo che lei finge di criticare, bens�critica ih tutta serietà e minaccia qualcuno che nella scala gerarchica gh sta trop�po vicino. I belgradesi più antichi e più esperti puntavano intanto il dito su un fatto e un antefatto senza i quali, sostenevano, nulla si sa�rebbe potuto capire di quella coppia singolare quanto sinistra. Il fatto consisteva nella fedeltà ferrea di Milosevic che, nella sua vita quasi monacale di fidanzato solitario e di marito esemplare, non aveva mai sfiorato neppure con l'immaginazione la carne di una donna che non fosse quella opulenta della consorte. «Que�sto», dicevano e dicono, «spiega il tremendo potere ipnotico che la donna, suo unico amico al mondo, ha da sempre esercitato su di lui». L'antefatto che li ha legati e li lega è invece tragico: la sequela dei suicidii familiari che marchiarono e incupirono l'ado�lescenza e la gioventù dell'uno e dell'altra. II potere pubbhco dopo quello coniugale di Mira, osculante sem�pre fra l'ira, l'intrigo e la depres�sione, è cominciato dopo la fonda�zione nel 1994 del suo «partito civetta» marxista «Jul», sigla che sta per «sinistrajugoslava unita»: un coacervo di fanatici e di affari�sti, vivaio di ministri e di sosteni�tori finanziari del presidente, stretto alleato dei socialisti ex comunisti nel parlamento, nei media e nelle coalizioni di gover�no. Non s'è mai capito bene in che cosa consistesse il «marxismo» di una partitino d'appoggio alle foi�be ipemazionaliste e genocide del partito maggiore. Fu comun�que per Mira una piattaforma di battaglia da cui per diversi anni continuò a impartire scomuniche agli avversari e disastrose lezioni al marito. Ormai lo «Jul», autenti�ca dimostrazione della perversa agonia della «nuova classe» d'an�tan, è scomparso dalla scena elettorale. Il partito socialista boccheggia perdendo, dopo l'arre�sto del capo, voti e identità e, quel ch'è peggio, capacità d'incutere paura e obbedienza. Se il monito lanciato da Djin�djic alla Markovic .s'avvererà, sarà la fine conclusiva di un mondo d'orrore per tutti: per i naufraghi e i pentiti dei due partiti complici, per i cittadini serbi spesso costretti a votarli, per gli altri ex jugoslavi che hanno subito sulla pelle il mar�chio di fuoco e distruzione della loro lunga avventura nel male. I Balcani volteranno pagina. Il futuro, per quanto ignoto, non potrà essere mai peggiore del passato che si lasciano alle spalle. Il primo ministro serbo Zoran Djindjic sembra deciso a trascinare in tribunale la tenebrosa «maga marxista» meglio nota come «Suslov in gonnella» Ossessionata dal mito luttuoso di Antigone veste sciattamente di nero, adoma dita e polsi grassocci da massaia più che da sociologa con anelli e bracciali pesanti plastica ONNA NO Il primo ministro serbsembra deciso a trascla tenebrosa «maga mmeglio nota come «SuMirjana Markovicmeglio nota ai serbi come Miramoglie di Slobo Milosevicin un disegno di Ettore Violira, non più le dimissio� bancarotta mbolic, il ras che aveva o Milosevic ere, non era o che sareb�ventato nel�aver dichia�e qualcuno schiena per omprensibi�momento lo d'infilzarla ure tre guar� cognato di itore poi ex i Milosevic, ato la morte e d'autostra�tale. i dei molti he paio�esti a «purificazioni» etniche, i «batta�glioni del lavoro» dai battaglioni della morte, le burocrazie stupide e avide dalle oligarchie affaristidisposizione i canali logistici deesercito jugoslavo». I «volontarierano in maggioranza teppistarruolati spesso a pagamento, cola promessa di libero saccheggdei beni «nemici»; il «fronte» erano i civili croati di Vukovar e Mirjana Markovic, meglio nota ai serbi come Mira, moglie di Slobo Milosevic, in un disegno di Ettore Viola