Il Belli della domenica

Il Belli della domenica Al Balon di Torino spunta un piccolo tesoro: e si apre un giallo filologico Il Belli della domenica Sonetti inediti in una valigia Mario Baudlno TORINO DIECI sonetti, manoscritti su fogli formato protocol�lo, con un grafia chiara e ordinata. Carta sicuramente ot�tocentesca, e una firma che ha fatto fare un balzo al fortunato acquirente: «G. Belli», ovvero Giuseppe Gioacchino Belli, il celebre e licenzioso cantore del popolo romano nell'autunno delo Stato Pontificio. Sono emersi poco prima dell'alba, da una vahgia di fogli sparsi posta in vendita al «Balon», il mercato delle pulci torinese cantato da Frutterò e Lucentini nella Don�na della domenica, ma il libraio antiquario che li ha comprati da un brocanteur non si è accorto subito del suo piccolo o grande -tesoro. Lui pensava d'aver preso ma�noscritti di interesse locale, e solo quando ha cominciato a ordinarli nella sua bottega di via Madama Cristina (si chiama «Monsù Pingon», in onore d'un grande raccoglitore sabaudo, Fi�liberto Pingone) si è accorto che in un quaderno anonimo con memorie di seminario era nasco�sto, piegato in quattro, quel piccolo tesoro. I primi esami complice un sociologo amante dei vecchi libri come Filippo Barbano hanno aperto la stra�da a tutte le speranze, perché da un raffronto con l'edizione com�pietà è emerso che su dieci sonetti, otto sarebbero totalmen�te mediti (uno di essi ha un titolo presente nei tre volumi Mondadori, La Disgrazia, ma il testo è diverso), e solo due, seppure con varianti, sono ricon�ducibili alla raccolta «ufficiale» prefata da Giorgio Vigolo e cura�ta da Pietro Gibellini. Il fascicolo è una scoperta elettrizzante: perché a tanti an�ni dalla morte (avvenuta nel 1863) gli studiosi erano convinti di aver trovato davvero tutto quello che c'era in circolazione. Il Belli non pubblicò nulla in vita e disconobbe alcune plaquette che erano state stam�pate ai tempi della Repubblica romana -, anzi, avrebbe addirittura preferito che quegli scritti venissero bruciati dopo la sua scomparsa. Vennero invece amo�revolmente raccolti dagli amici, e cominciarono a uscire a stam�pa vent'anni dopo. Ora gli origi�nali sono alla Biblioteca Nazio�nale, e il discorso su questo classico dialettale della lettera�tura italiana, sembrerebbe del tutto chiuso. «Io ho deliberato di lasciare un monumento alla plebe di Roma...» scrisse a proposito dei suoi versi. Ma dalle nebbie del Balon, proprio come in un ro�manzo, spunta una scheggia imprevista di quél monumento che si riteneva concluso. E che scheggia: a parte il delizioso «contenitore» del manoscritto (memorie di seminario per dialo�ghi licenziosi), che tuttavia è coerente con le abitudini del poeta, uso a inviare con parsi�monia i suoi sonetti a un ristret�to gruppo d'amici tra cui non mancavano i monsignori, si inaugura ufficialmente un gial�lo filologico. Perché il professor Gibellini, massimo esperto in materia, dopo un primo somma�rio esame manifesta entusia�smo e perplessità: lo insospetti�scono la firma (il poeta, dice, firmava sempre per esteso) e la terminologia dei testi. E' vero, spiega, che il Belli quando mandava versi agli ami�ci tendeva a semplificare, italia�nizzando leggermente molti ter�mini che altrimenti sarebbero risultati oscuri, ma ad esempio nel sonetto Un equivoco (che qui pubblichiamo esattamente co�me da manoscritto) la parola «risparmiato» sembra troppo ita�liana per le sue abitudini. La scrittura, però, è molto somi�gliante. Se questi sonetti sono apocrifi bisogna pensare allora a una misteriosa fascinazione: un copista che ha cercato anche di riprodurre la calligrafia del Belli, o forse un amico che è statò cos�influenzato da farlo senza neppure accorgersene. Co�me in trance. «C'è anche la possibilità che questi testi siano stati trascritti da ascoltatori, cui Belli usava leggere le sue opere, che se li erano imparati a memoria», sug�gerisce il professor Gibellini, con freddezza da filologo. «E comunque sia, autentici o me�no, sono un ritrovamento davve�ro importante», conclude. Ma chiede tempo, per poter studia�re più approfonditamente il ma�noscritto. Fra qualche giorno, la sentenza. Dieci componimenti licenziosi del poeta popolare romanesco manoscritti sumfoglio nascosto inun quaderno con memorie di seminario Dagli studiosi entusiasmo e qualche perplessità ligia vita non pubblicò ossero bruciati Giuseppe Gioacchino Belli ( 1791 -1863): in vita non pubblicò nulla, anzi avrebbe preferito che i suoi scritti fossero bruciati

Persone citate: Filippo Barbano, Gibellini, Giorgio Vigolo, Giuseppe Gioacchino Belli, Lucentini, Mario Baudlno, Pietro Gibellini

Luoghi citati: Roma, Torino