Madrid, la terza via del federalismo

Madrid, la terza via del federalismo ,:. DOPO LE LACERAZIONI DEL NAZI0NALIS1W0.E DELLO SFRENATO REGIONALISMO Madrid, la terza via del federalismo Carta vincente l'autonomismo «a geometria variabile» ì(l inviato a MADRID . IL palazzo, di una tranquilla eleganza borghese, si affac�cia sul «polmone verde» della città, il parco del Retiro. Accan�to al portone, una sobria epigra�fe marmorea ricprda che in quella casa visse uno dei più grandi filosofi europei del seco�lo ventesimo, José Ortega y Gasset. Il viaggiatore nella Spa�gna di questo inizio del ventune�simo secolo che si ferma un momento davanti all'abitazione di uno dei massimi rappresen�tanti del pensiero politico libera�le non può fare a meno di ricordare i suoi ammonimenti angosciati sulla sorte della Spa�gna e confrontarli con la realtà più rassicurante di oggi. Scrive�va, infatti, Ortega y Gasset nel suo celebre libro «Espana invertebrada» del 1921: «La Spagna si va sfasciando, sfasciando. Il processo di disintegrazione avanza in perfetto ordme dalla periferia al centro... Sembra che i separatismi di adesso non fac�ciano che continuare il progres�sivo disfacimento territoriale sofferto dalla Spagna durante tre secoli». Non è stato così, il destino spagnolo, per la fortuna di quel�la nazione, ma anche per la fortuna d'Europa. La Spagna,, in virtù di ima Costituzione molto particolare, incredibil�mente aperta e flessibile, la Carta Magna del .1978, è riusci�ta a diventare una nazione «plurale», ma assolutamente «vertebrata». Il primo premier postfranchista che garantì, con l'appoggio determinante del re Juan Carlos, il difficile passag�gio dalla dittatura alla democra�zia, Adolfo Sùàrez rivendica con orgoglio alla classe dirigen�te del suo paese il merito di uno straordinario successo. Scrive nella prefazione del libro di saggistica politica più venduto in questo momento nelle libre�rie di Crisol, «El acierto de Espana», di Eduardo Zaplana, uno dei colonnelli aspiranti alla successione di Aznar, governa�tore della Regione di Valencia: «La nostra inteigrazione intema�zionale si è armonizzata perfet�tamente con la costituzione di un governo di nazionalità regionali... un modello imitato da altri paesi europei». Certo, potrebbe sembrare in�comprensibile vantare i succes�si della struttura autonomistica spagnola, quando le uniche noti�zie, o quasi, che Tv e giornali fanno arrivare da questo Stato negli altri paesi europei sono quelle degli attentati baschi. E' vero che la questione basca suscita il più grave allarme sia della classe politica sia dei citta�dini spagnoli, in questo momen�to. Ed è purtroppo altrettanto vero che il problema del terrori�smo, con cui una parte minorita�ria ma irriducibile dei baschi, lotta per l'indipendenza da Ma�drid non sembra, a breve termi�ne, di facile soluzione. Ma la drammaticità di questo caso non deve far dimenticare che si tratta di una situazione storica, politica e sociale del tutto isola�ta e particolare. Non tale, co�munque, da poter oscurare il sostanziale successo di un mo�dello autonomistico di Stato che ha permesso di «unificar lo comùn respetando lo diyerso», per usare ancora le parole di Adolfo Suàrez. L'articolazione autonomisti�ca in Spagna, che risaliva alla divisione in 49 province stabihta nel 1834 e contro cui si scagliava, appunto, Ortega y Gasset definendola «un turpe tatuaggio con il quale si è macu�lata la pelle della penisola», ebbe un duro colpo dalla vitto�ria di Franco nella guerra civile. Fu una svolta di centralismo restauratore, dopo l'effimera esperienza regionale della secon�da repubblica spagnola. Alla fi�ne della dittatura, i costituenti scartarono subito l'ipotesi fede�rale, che ricordava troppo la nefasta esperienza della prima repubbhca con l'esasperata com�petizione cantonale che ne deri�vò, per varare un modello auto�nomistico regionale molto aper�to, empirico e flessibile. Talmen�te indefinito nelle regole pre�scrittive che alcuni costituziona�listi spagnoli sostengono l'inesi�stenza cn «alcuna scelta specifi�ca», perché nella Carta Magna «non si arriva a una definizione di risultati, ma si consente l'av�vio di un processo», come scrive il presidente della Regione di Valencia, Eduardo Zaplana. «E' stata una gran fortuna che sia andata cosi» osserva Alberto Ruiz Gallardon, il presi�dente della Regione di Madrid, un altro dei «colonnelli» aspiran�ti alla successione di Aznar. Giovane, brillante, grande co�municatore rappresenta, per co�s�dire, l'ala sinistra del partito popolare e raccoglie il successo di ima città che era solo capitale amministrativa e politica di ima nazione è che, invece, ora sfida Barcellona come grande polo industriale di Spàgfpa. «L'auto�nomia a geometria variabile e in tempi variabili conseintita dalla Costituzione ha périfiesso alle Regioni, tutte eccetto la Catalo�gna, i paesi baschi e la Galizia, le Regioni storiche, di investire in infrastrutture e non in naziona�lismo», mi dice ricevendomi nel palazzo sede della Comunidad, l'antica sede del ministero del�l'interno in epoca franchista, nella Puerta del Sol. «Il naziona�lismo prosegue Gallardon costa e costa caro: nella forma�zione, ad esempio, non si inve�ste più'nella matematica o nella fisica o nelle nuove tecnologie, si preferisce investire nella co�struzione, spesso artificiale, di un nazionalismo culturale as�surdo». I capi regionali spagnoli, che amministrano il loro territorio con una estrema varietà di com�petenze e di poteri, cos�come di strumenti e regole, sono stati costretti ad una assidua vigilan�za sul più grande rischio, quello di una finanza allegra e demago�gica che, accontentando gli elet�tori regionali; vanifichi la ridu�zione complessiva della spesa pubbhca statale. «Abbiamo due vincoli ricorda Gallardon che ci costringono a un controllo finanziario severo: le regole di Maastricht che sono sfate trasfe�rite alle nostre amministrazióni e la responsabilità fiscale. Sé spendiamo di più, dobbiamo mettere più tasse e addio con�senso degli elettori». In gran parte delle Regioni spagnole, comunque, le compe�tenze locali sono cos�vaste che al potere centrale resta solo l'immagine dello Stato, la sua rappresentatività più che il suo furjzionatnento. Come fa notare il vicedirettore della pohtica per l'autorevole giornale di Barcello�na «la Vanguardia», Rafael Jorba: «Che cosa compete agli stati nazionah in Europa oggi, se l'educazione, la sanità, i traspor�ti, la polizia, come da noi, sono affidati alla Regione? La moneta e l'economia è ormai governata da Francoforte, l'immigrazione dagli accordi di Schengen, la pohtica militare ed estera dalla Nato e dalla Uè». Le autonomie regionali, pe�rò, con quella flessibilità con�sentita dalla «Carta Magna» spagnola, sono solo il simbolo più evidente di una apertura della società iberica, dopo il periodo franchista, che giustifi�ca la definizione di «nazione plurale». L'antico corporativi�smo della classe dirigente spa�gnola sembra essersi sciolto nel vorticoso processo di moderniz�zazione avviato dai governi Gonzàlez e accelerato da quelli Aznar. Un caso importante, ma anche emblematico per la sto�ria di questo paese, è quello del rapporto Stato-Chiesa. Un pro�blema complesso che un clamo�roso caso avvenuto pochi gior�ni fa, però, può illuminare, dimostrando con efficacia quanto siano vecchi alcuni pre�giudizi sulla Spagna erede di Isabella la cattolica, ma anche del «Generalisimo». I deputati popolari, che nel parlamento della Regione di Va�lencia hanno la maggioranza as�soluta, decidono di approvare una legge sulle «coppie d�fatto», gay compresi, scatenando una durissima protesta dei vescovi. Il tono dell'appello ecclesiastico ai deputati popolari suona come un avvertimento molto traspa�rente: «La legge è un gravissimo attentato contro il bene comune del quale terremo conto nelle nostre intenzioni di voto». Non si alzano allarmi per l'intromis�sione dei vescovi, ma l'ammoni�mento non scalfisce la coscienza dei deputati popolari che, il gior�no dopo, votano compatti per la legge che equipara i diritti delle coppie omosessuali a quelli ma�trimoniali. Particolare non tra�scurabile, proprio il valenciano presidente Zaplana, cattolicissi�mo, ha presentato a Madrid il suo libro sul «successo della Spagna», citato prima, con la partecipazione dell'arcivescovo di Valencia, Augustìn Garcìa-Gasco, notoriamente in grande ami�cizia con il capo della Generahtat. Lasciamo al lettore l'eserci�zio significativo di immaginare un caso analogo in Italia e di trarre qualche considerazione. Questo esempio non vuol dire che lo Stato non aiuti la Chiesa in tanti settori, come per esem�pio, i finanziamenti alla scuola cattolica o al clero, indica sola�mente la ridotta influenza «poh�tica» che i vescovi spagnoli han�no nella Spagna di Aznar, leader incontrastato del partito popola�re che governa con la maggioran' za assoluta questo paese. Gallardon, presidente della Regione madrilena: cos�le varie amministrazioni hanno investito in opere e non in nazionalismo La questione basca suscita il più grave allarme, ma resta un fatto isolato che non oscura il successo di un modello di Stato ,i<f:'^—... ASTURIE FRANGIA i ^Santiago "de Composteti. CANTABRIA PAESI Santander BASCHI Vitori f GAtIZIA AVARRA Pamp|3Pii ■"■'■'ì'-' LA SPAGNA DELLE AUTONOMIE Lo Stato delle autonomie nasce con la Costituzione post-franchista del 78 (in Spagna c'era infatti la democrazia, la II Repubblica, quando Francisco Franco fece il golpe nel '36). Il Regno è suddiviso in 17 regioni (più esattamente: 15 regioni più due città-regioni, Ceuta e Melilla, le due colonie spagnole sul Mediterraneo marocchino) Nel 79 partono le prime due regioni a statuto speciale: la Catalogna ed i Paesi Baschi, ove l'indipendentismo era molto radicato e dove si parla una lingua autoctona. Ai primi due statuti speciali si sonopoi aggiunti quelli di Andalusia, Galizia, Navarra, Valencia e delle africane Isole Canarie. Queste sette regioni, cosiddette «a via rapida», gestiscono già tutte le competenze in sanità, educazione, trasporti, politiche del lavoro, giustizia. Tutte le altre 10, le autonomie dette «a via lenta», otterranno dal potere centrale gli stessi trasferimenti entro 11-2003. CANARIE 4 Las Palmas m de Gran Canaria i ir ^ Santa Cruz de Tenerife Valladolid Logrqfto# vA-~iJvl CASTiGtlAeXEON Saragozza ARAGONA CATALOGNA ESTREMADURA^ Menda vM f^ADRIO # Madrid # Toledo GASTÌGLtA LA MÀNCHA Barcellona BALEARI VALENCIA Valenza Palma di Maiorca FORZE DI SICUREZZA La «Guardia Civil», corpo militarizzato come i nostri Carabinieri, ' controlla le campagne e le città con meno di 20 mila abitanti. La «Policia Nacional», la polizia di Stato, è competente nelle città dai 20 mila abitanti in su. Però cinque regioni hanno corpi di polizia propri che dipendono dai rispettivi assessorati alla sicurezza dei governi regionali: Paesi Baschi (si chiama «Ertzaintza»), Catalogna («Mossos d' Esquadra»), Navarra (si chiama «Poruzaingoa»), Andalusia e Galizia. Comunque, terrorismo e narcotraffico sono sempre indagati anche da «Guardia Civil» e «Policia Nacional». . SPAGNA ANDALUSIA ♦ Siviglia ; Ceuta ifcL Melilla Murcia* l \murcia' FISCALITÀ' Sia i Paesi Baschi sia la Navarra raccolgono tutte le imposte. Viene quindi determinato il cosiddetto «Cupo», ossia quanto rimarrà nelle due regioni. Il resto viene inviato al Fisco centrale. Nelle altre 15 regioni, è il fisco stesso che raccoglie i tributi. Finora, tutte le regioni, oltre alle imposte locali, ricevono da Madrid il 300Zo dell'ttlrpef», l'imposta sulle persone fisiche. EDUCAZIONE Lo Stato stabilisce nelle materie umanistiche (storia e geografia comprese) il 650Zo dei programmi. Ma in tre regioni, le cosiddette «Nazionalità Storiche» (Catalogna, Galizia e Paesi Baschi, che hanno una lingua propria che è riconosciuta «coufficiale» dalla Costituzione ), la percentuale cambia: il 550Zo dei programmi è fissato dallo Stato, il 450Zo restante dai governi regionali. Jordl Pujol, presidente del governo autonomo della Catalogna ì(l inchiesta (LASSE DEI I^cIBeIWO^