«Non ti arrendere: piuttosto ucciditi» di Giuseppe Zaccaria

«Non ti arrendere: piuttosto ucciditi» IL RAID NELLA VILLA DI DEDINJE LA FAMIGLIASOLA CON DODICI GUARDIE DEL CQRPO «Non ti arrendere: piuttosto ucciditi» La figlia Marija cercava di resistere con la pistola in pugno N reportage Giuseppe Zaccaria inviato a BELGRADO ON ti arrendere a quei "jubrad", non andare, piut�tosto ucciditi! Ucciditi!». Alle quattro e mezza del mattino, quando Marija Milosevic è appar�sa nel salotto della villa avvolta in una tuta grigia, l'aria sconvol�ta e gh occhi cerchiati, Cedomir Jovanovic pensava che la lunga vicenda dell'assedio fosse all'epi�logo. «Jubrad» è il plurale di «jubre», che significa immondi�zia: immondizia, agh occhi della donna, erano i due pohziotti che stavano accompagnando suo pa�dre fuori dalla porta a vetri, verso il giardino. Mira Markovic era stesa su un divano, persa nel nulla. In un angolo l'avvocalo di Milosevic, Toma Fila, parlottava con l'altro negoziatore, Branislav Ivkovic, capo del gruppo parlamentare deir«Sps». «Ceda» Jovanovic, a sua volta rappresentante dei de�putati del «Dos» (l'uomo che per tutto il pomeriggio aveva condot�to le trattative) era incerto sul�l'opportunità di salutare. In quel momento esatto Marija Milose�vic s'ò messa a sparare. «Non ha preso la mira, impugnava la pisto�la e girava il braccio teso come se volesse demolire il mondo...». «Ce�da» Jovanovic si è tuffato sulla moquette marrone, un poliziotto si è accucciato d'istinto prima di lanciarsi contro la donna. Cinque colpi, due contro la parete, uno nel soffitto, uno forse nel giardi�no e l'ultimo conficcato nel qua�dro che domina il salotto. Un ritratto di Mira, uno dei tanti che tappezzano la casa. Adesso Cedomir Jovanovic guarda alla lunga notte della resa con un occhio più freddo, dice che dopo tanta tensione qualcosa doveva accadere. Quel che ilministro degh Interni, Dusan Mihajlo�vic, sta raccontando ai «media» di tutto il mondo («Milosevic faceva pena... Ha tentato il ricat�to, minacciato il suicidio, ha det�to che avrebbe ucciso moghe e fighe...») è roba di seconda mano, frutto dei racconti di «Ceda». Quell'Audi nera che l'altra se�ra aveva condotto fino alla villa l'inviato del «Dos» non trasporta�va il ministro, come s'era detto, ma il più giovane e aggressivo capogruppo parlamentare. Un personaggio politico di rango infe�riore: la scoperta di questo sgar�bo, al momento della visita, ave�va fatto infuriare Milosevic più ancora deUe minacce di incursio�ne armata. «Non avete capito... Mi state trattando come un crimi�nale qualsiasi... La gente qui fuo�ri risponderà», diceva Slobo. E la prima risposta di «Ceda» era sta�ta: quale gente? «Ma tutti quelli che sono c[ui per difendermi...». E dove sono? Lei sente qualcuno che grida, sente slogan in sua difesa? In quel momento Slobo è rimasto a metà di un gesto, lo sguardo perso, col braccio in aria ad indicare un popolo inesisten�te. Cedomir Jovanovic è uomo giovane, massiccio, deciso. Eppu�re adesso racconta che entrare nel salotto di quella villa l'ha intimidito e anche un po' deluso. Si aspettava una reggia. Scoprire un'enorme sala piccolo-borghe�se, giocata tutta sui toni del marrone, un ambiente cupo rav�vivato solo dagli improbabili sor�risi di Mira, dai ritratti appesi dovunque, è cosa non proprio confortante. Chi scrive ricorda quel salotto: Slobodan Milosevic inaugurò a casa sua gh incontri che due mesi fa resero possibihle l'intervista a «La Stampa». Un locale arredato come si faceva negh Anni Settanta, con pochi divani bassi lineari e coi ritratti ossessivamente in giro. Nessuna traccia del Rembrandt che si attribuisce alla collezione di Slo�bo e che invece ha tutt'altra storia. Una leggenda vuole che nella stanza da letto faccia mo�stra di sé il nudo di una donna che impugna un coltello sangui�nante. Ma sulla stanza da letto, non si possono offrire testimo�nianze dirette. «C'era una puzza, l�dentro...». Ecco un altro dettagho che non s'era conosciuto: oltre all'energia elettrica e ai telefoni, la notte di venerd�a casa Milosevic era sta�ta interrotta anche l'acqua. Nes�suno si lavava da un giorno e mezzo. E da quel venerd�notte, la casa si era trasiònnata anche nel teatro di uno psicodramma familiare. L'ultimo a lasciare ca�sa Milosevic, intomo alla mezza�notte di venerdì, era stato Ljubisa Ristic, il più grande uomo di teatro della Jugoslavia, amico personale di Mira e presidente della «Jul». Da quel momento, tranne i negoziatori, nessuno ha potuto più varcare quel cancello. Già venerd�notte però qualco�sa cominciava a vacillare nella mente del Capo. «Slobodan è uo�mo singolare: appare fortissimo, ma dinanzi ai problemi familiari crolla...». Una deUe persone che in questi giorni sono state più vicini al «Capitano» (gh amici lo chiamavano così) racconta scorci di vita della vita assediata. L'uo�mo non vuole essere citato per comprensibili ragioni, ma raccon�ta che venerdì, quando il primo strano «blitz» della pohzia stava per compiersi, in casa Milosevic il clima era ancora disteso, quasi euforico. «Saremmo stati l�in venti, sì, parlo della sera in cui Slobo rispose a una chiamata di radio *B92' per dirgli "Sono qui con gh amici a prendere il caffè^». Da lontano arrivavano gh slo�gan dei socialisti che gridavano «Slobo srbine Srbia je uz tebe». Significa Slobodan, sei un serbo e la Serbia è con te. Lui diceva: «Sentite? Vedremo se questi ven�duti avranno il coraggio di venir�mi a prendere. Sto preparando l'intervista a un giornale israelia�no, ne racconterò deUe belle, li faccio saltare tutti». Mira sembra�va la più euforica. Poi la tv era «BK», la televisione dei fratelli Karic cominciò a parlare sem�pre più spesso della polizia intor�no alla viUa. Mira cambiò di colpo espressione e disse: «Slobo, ci ammazzeranno tutti». Ecco: la Morte. FraiMilosevic il senso della fine tragica, del sacrificio, è stato sempre molto presente. Non solo a causa dei suicidi del padre e dello zio di Slobodan, non per la morte della madre di Mira, partigiana fucila�ta dai nazisti. L'idea della trage�dia appartiene alle dinamiche familiari, si trasforma in collante e barriera, esprime assieme il patto di sangue e il muro comune della famiglia di fronte al mondo. Marija, per esempio: la «pove�ra Marija», come dicevano gh amici. Trentasei anni, cos�somi�gliante alla madre, cos�sfortuna�ta, cos�amante deUe anni. Un primo matrimonio con un diplo�matico, una sfortunata carriera come proprietaria di una tv. Un tempo usava dire: «Non mi spose�rò mai più, non mi posso vedere con un bambino in braccio e una pistola nell'altra mano». Amava molto le armi, la poverina. Sei mesi fa, dopo il crollo, quando il compagno di vita Hadgi Dragan Antic (ex elettricista diventato direttore di «Pohtika») era partito per Cuba in compagnia di ima bionda, lei si era sfogata sparan�do al cane di casa. Dal momento in cui i Milose�vic erano rimasti soli nella villa (soh, come si può esserlo con dodici guardie del corpo?) i deliri di Marija e Mira hanno comincia�to a incrociarsi. Ci ammazzeran�no tutti, diceva la madre. No, al massimo ci ammazzeremo tutti assieme e gliela faremo vedere a quei bastardi, rispondeva lei. U mediatore del «Dos» dice che dinanzi a tale bombardamento Milosevic aveva perso il control�lo, quello deir«Sps» che si è arre�so solo per salvare moghe e figlia. L'ultima scena di cui ci sia testimonianza diretta vede Slobo�dan Milosevic che, dopo la spara�toria, esce con gh occhi lucidi dalla villa cercando di mantener�si dignitoso. Un poliziotto lo spin�ge e gh dice rude: «Aide, brze malo...». Muoviti. «Slobodan è un uomo singolare: appare fortissimo, ma crolla davanti ai problemi familiari» «Ci ammazzeranno tutti», ha gridato la moglie, lui si è arreso In tuta grigia, l'aria sconvolta e gli occhi cerchiati, urlava: «Non cedere a quell'immondizia» Mai gendarmi lo hanno agguantato e portato fuori L'auto sulla quale Milosevic ha lasciato la villa dopo la resa e che lo ha portato direttamente in carcere nel centro di Belgrado J.VÙ .V 'rtMVfiiì.-i-, '^ ' ■" ;.. Cella singola per Slobo Milosevic è rinchiuso nel tetro complesso del «Centralni Zatvor», in un'angusta cella singola In una zona del carcere riservata espressamente a lui e ristrutturata di recente in vista dell'arrivo dell'illustre ospite. «Non avrà né radio né televisione ha detto II suo avvocato -, ma non sarà in isolamento e potrà ricevere visite come tutti gli altri detenuti». Il carcere, costruito nell'immediato dopoguerra, non ha esattamente una buona fama. La disciplina è durissima e le condizioni di detenzione, a detta di quanti lo hanno visitato, sono in generale pessime. In una singola cella possono essere stipati fino a 12 detenuti, che dividono tra loro una toilette alla turca con un unico lavandino. Ogni sera alle 21 vengono spente le luci e al mattino la sveglia è alle 6. Durante il giorno ai detenuti è vietato stare a letto. Il cibo pare sia disgustoso: il menù della casa comprende solo cavolo e fagioli, mai la carne. Nell'ala riservata a Milosevic, che oltre alla sua cella comprende altre due stanze più una saletta per le guardie, è stato installato un avanzatissimo sistema di sorveglianza elettronica. Nella foto sopra, l'Ingresso del carcere al centro della capitale.

Luoghi citati: Belgrado, Cuba, Mira, Serbia