Erika, un mese di mezze verità

Erika, un mese di mezze verità Erika, un mese di mezze verità Il massacro di Novi tra confessioni e bugie Brunella Giovara Inviata a NOVI LIGURE «Nell'immediatezza dei fatti raccontava di essere scampata miracolosamente alla furia omicida di due individui non travisati che, nel corso di un tentativo di furto, avevano aggredi�to ed ucciso la madre ed il fratello e tentato di uccidere anche lei». Era la grande bugia di Erika De Nardo, era un mese fa, 21 febbraio 2001. «Sono stali gli albanesi, hanno ammazzato mamma e Gian». Queste le prime parole. Ma il verbale dei carabinieri prosegue così: «La rico�struzione della ragazza appariva subito non coincidere con quanto la scena del delitto faceva trasparire». Valerio Genovese, comandante del Reparto Operativo dei carabinieri di Alessandria, ricor�da di aver avuto i primi dubbi subito, appena entrato nella casa di Novi Ligure. Ricorda anche bene che quel sospetto non gli diede alcuna soddisfazione investigativa: l'intuizio�ne di una cosa diversa da una rapina finita male, quella notte, valeva come una bestem�mia. La ragazza appare traumatizzata. D padre, seduto sul gradino della sua casa devastata, è un uomo sconvolto. Genovese li osserva, poi prende da parte il tenente Fabio Longhi. U sospetto è lo stesso. «I conti non tornavano per niente... e la storia degli albanesi non stava proprio in piedi». Con il passare delle ore l'ufficiale se ne convince ancora di più, l'indagi�ne punta dritta all'ambito famigliare. La matti�na dopo, quando «gli albanesi» sono ancora ufficialmente accusati della strage, Erika ed Omar vengono intercettati una prima volta. Si dicono poco, quella mattina, ma tanto basta per convincere il procuratore Carlesi ad autorizza�re «una nuova attività investigativa», «al fine di colmare ogni eventuale dubbio in merito alla loro colpevolezza». U giorno dopo è il giorno del fermo. Sono passate 48 ore dagli omicidi. U pomeriggio i due vengono videoregistrati a loro insaputa, e in quelle parole c'è già tutto: la preoccupazione per le tracce lasciate («...se il tuo Dna è mischia�to a quello di mio fratello...»). La confessione di Erika ((d'ho buttato per terra e l'ho taghato», e anche «sì, gliel'ho data qua!», con i caòrabinieri che annotano: «Nelle riprese video si nota la giovane indicare il petto». La confessione di Omar: «Io sono tuo complice!». L'inizio delle' accuse incrociate: «Vieni qua assassina...», elei: «Assassino sei tu!». U colloquio chiarisce ogni cosa. U procurato�re annuncia «il caso è chiuso», e passa la mano aUa procura presso il tribunale dei minori. Da quel giomo chi segue l'inchiesta assiste ad un gioco dei peggiori. DaU'alto dei rispettivi interrogatori, i due ragazzi si scambiano t'accu�sa di aver ucciso. Con la differenza che Omar ammette di aver colpito una volta sola la madre della sua fidanzata. Erika no: «Ha fatto tutto lui, io ho solo sentito le urla». Curiosamente, entrambi si chiudono nel bagno del pianterreno, per dimostrare che non possono aver fatto, ma possono invece aver sentito l'altro mentre faceva. Entrambi raccon�tano di essersi sentiti male: lui al piano di sotto, mentre la ragazza uccide il fratello. Lei in bagno, davanti al fratello moribondo, (ani è venuta voglia di vomitare, ho dovuto sedermi sulla vasca da bagno». Nella vasca c'era Gianlu�ca. Bambino di 12 anni ammazzato in un modo che ha fatto star male davvero i magistrati, i carabinieri, gU esperti della scientifica, gli ad�detti delle pompe funebri che lo hanno raccolto. Un mese dopo i fatti, nessuno sembra ricor�darsi di come si è difeso Gianluca, di quel ciuffo di capelli che gU hanno trovato stretto nel pugno, dei morsi (la mano di Omar) che ha dato mentre cercava solo di sopravvivere, dei tagli suUe braccia. I ragazzi che scrivono lettere ad Erika e Omar lo hanno dimenticato, scrivono ((spero che tu stia meglio», ma anche «sono solidale con te, anche i miei genitori sono tremendi)). Un mese dopo i fatti, ci sono dei genitori ancora increduli. Quelli di Omar, che al momen�to è quello che ha raccontato più verità. Quello di Erika, Francesco De Nardo. Qualcuno dice che quest'uomo si è aggrappato all'unica cosa che gli è rimasta, cioè Erika. Altri pensano che sia oppresso dal rimorso di non aver capito prima quella figlia sveglia, ribelle, insofferente della famiglia. Ma lui ha scelto, né deve rendere conto a chissà chi. La sUa casa è diventata un altare, qualcuno ha appoggiato sul muro del giardino una madonna di plastica piena di acqua di Lourdes. Nessuno la toglierà, nessuno si illude che l'acqua santa serva a qualcosa. Oggi l'inge�gner De Nardo fa celebrare la messa di trigesi�ma per Susy e Gian. Erika non c'è, ma per lui è come se ci fosse. Qualcuno ha appoggiato sul muro della casa una Madonna di Lourdes Omar e Erika, mentre escono dalla villetta del massacro

Persone citate: Brunella Giovara, Carlesi, De Nardo, Erika De Nardo, Fabio Longhi, Francesco De Nardo, Valerio Genovese

Luoghi citati: Alessandria, Erika, Novi Ligure