Quelle tranquille elezioni di Francia

Quelle tranquille elezioni di Francia — ' 'v:.— "■;.. ;' ".":; UNO STILE DIVERSO IMPENSABILI DA NOI LE'MC?ArEDISCUSSlC5Nr DEI PROTAGONISTI Al CROCICCHI CITTADINI Quelle tranquille elezioni di Francia Senza frenesie all'italiana, i protagonisti legati alla realtà Inviato a PARIGI TRANQUILLE apparizioni di pohtici francesi nel giorno delle elezioni. Allegro, diste�so, alle 10 e 20 di mattina, sotto una leggera pioggerellina, Ber�trand Delanoe, protagonista del voto parigino e sempre più plausi�bile sindaco della capitale, sbuca dietro l'angolo di me de Sevres, davanti alla brasserie d'acciaio dell'hotel Lutetia, chiacchieran�do amabilmente con tre o quattro giornalisti: come se fosse la pas�seggiata più normale del mondo. E forse lo era. Al giornalista italiano che per ventura si trovava a passare l�davanti, in vana ricerca di quotidiani (che la domenica a Parigi non escono, tantomeno nella do�menica elettorale), la vista di quel placido gruppo in conversazione, e ancora di più la sua serena normalità, suscitavano un inevi�tabile confronto con quel che accade di norma in Italia le rare volte che i leader politici girano a piedi perle strade delle città. Questi, infatti, con la lodevo�le eccezione bolognese di Prodi hanno sempre attorno nugoli ag�guerriti di poliziotti, o gorilla privati, e cronisti, questuanti, cu�riosi, telecamere, spintoni, impre�cazioni e un grande nulla, in fondo. Il futuro vincitore di ieri, invece, passeggiava rilassato nel�le strade della sua città, senza che nulla attorno a lui lasciasse imma�ginare la vittoriosa dichiarazione letta qualche ora dopo in tv. E attenzione: letta, non recitata, né poi chiosata con battutine, barzel�lette e altre forme di intratteni�mento. Certo che non occorre venire a Parigi per comprendere che la jolitica italiana è malata; che ha a febbre della visibilità e una ormai patologica crisi di legittimi�tà, contrastata con effetti speciah e mezzi artificiali. E tuttavia: viste dalla Francia democrazia per tanti versi vicina se non cugina — le magagne italiane si vedono con una nettezza impres�sionante, molto meglio che re�standosene a Montecitorio, o da�vanti alle trasmissioni di Vespa o di Mentana la sera degli exit-pol�is. Anche qui c'è passione. A France-2, Le Pen fa subito un numero molto pannelliano sui minuti concessi in tv alle sue iniziative. Però intanto è lì, e a differenza di Palmella parla. I militanti del ps di Dunkerque (49 per cento) esplo�dono di entusiasmo, ma nessuno di loro guarda la telecamera, è più importante stare insieme, tra loro. Arrivano intanto le proiezio�ni dei risultati di Tulle, Rennes, La Rochelle e delle tante città della Francia profonda. Ma l'im�pressione generale resta quella di elezioni locali. Ogni luogo è un caso a parte, ogni risultato ha ima specifica motivazione. A differen�za dall'Italia, anche nei commen�ti dei giornalisti (che non si chia�mano l'un l'altro per nome) e degli ospiti in studio, la politica nazionale non cannibalizza il vo�to mimicipale. Questo significa che se, per assurdo, le sue liste dovessero perdere nel modo più eclatante, Chirac non si dimetterebbe mai; come invece s'è dovuto dimettere D'Alema dopo le regionah. Centro e periferia, anche dal punto di vista elettorale, risultano qui due entità ben distinte, non di rado contraddittorie. E infatti l'eletto�rato stanga i ministri che arriva�no da fuori; rifiuta «cacicchi» e personalità esteme di sicura po�polarità; premia invece la compe�tenza, l'impegno sul territorio. Nulla di più lontano dalla mar�mellata italiana che mette sullo stesso piano Palazzo Chigi e le provinciali di Isemia; nulla che penalizzi in modo più evidente una politica che, nel caso dell'Uli�vo e del Polo, si affida ormai quasi esclusivamente a strategie comunicative, a spot (che qui sono vietati), eventi televisivi, make up e a quegli enormi e costosissimi manifesti tipo Ba�ghdad che deturpano le città ita�liane. Almeno a Parigi i manifesti sono al contrario di piccolo forma�to e bisogna cercarseli con il lumicino. E poi vanno letti, non basta guardarli per restare im�pressionati e magari convincersi. L'immagine, nel senso della fac�cia del candidato, appare quasi secondaria. Quanto all'elabora�zione strategica sulla bellezza. d'altra parte, o sull'età, sul nume�ro di capelli superstiti e più in generale sul carisma dei candida�ti, la Francia appare assai indie�tro rispetto all'Italia. Il massimo della scenografia che i leader si concedono è affron�tare le telecamere come fa il sindaco uscente di Parigi Tiberi avendo maestose statue di mar�mo alle spalle. Il politico resta un politico. In altre parole: in cima ai pensieri di Delanoe, di Séguin o di Tiberi non c'è quello dell'effetto che fanno. Sono così, e basta; non strizzano l'occhione come Buttiglione, o fanno la pemacchietta come Mastella; non smaniano di sagomarsi ai presunti gusti del�l'elettorato. Non fanno i galanti con le signore anziane, né i piacioni. La Parigi che fa tendenza vive semmai la stagione dell'anti-glamour; Delanoe, leader dei borghesi-bohémiens, è lui stesso una specie di anti-glamour, un nuovo modello di leader sottotono un po' come i nostri di una volta che ha battuto scuole, mercati, riunioni periferiche, sempre par�lando di cose che non funziona�no, problemi minuti, piccoli casi che il normale uomo politico ita�liano nemmeno conosce. Il radicamento, la presenza sul territorio, la capacità di ascolto, il contatto diretto, quel concetto di «proximité», o vicinanza alla vita quotidiana dei cittadini, che suo�na come l'esatto contrario del�l'agognata «visibilità», ecco, tutto questo non è sentito come una scocciatura, un'attività di serie B, ma è ancora parte fondamentale della cultura politica francese. Vero è che qui il tessuto sociale è più forte e i partiti ancora reggono. Vero anche che la Quin�ta Repubblica non ha avuto quarant'anni di democrazia blocca�ta, il terrorismo, tangentopoli, la mafia. Mani Pulite e l'intermmabile transizione. C'è insomma una solida cornice entro cui si svolge il gioc 3 politico. Ma questo finisce per innescare una inusita�ta corrispondenza alme�no per orecchie italiane tra parole e fatti. Tutto suona più prudente, mi�surato, equilibrato. E la sensazione è tanto più sconsolante quanto più tra «corvi», «gangster», «nazisti rossi» e «Poi Pot» per restare ai quotidia�ni di ieri continua a imbarbarirsi il linguag�gio pohtico italiano, sem�pre più roboante, ultima�tivo, vagamente paranoide. Ieri sera, in tv, nessu�no dei vincitori ha ritenu�to di prendersi qualche soddisfazione a spese dei vinti. In Francia, comun�que, la televisione arriva alla fine, non detta le regole, né stabilisce i tem�pi, né abbassa il livello della vita pubblica. An�che qui, certo, i pohtici cantano e ballano. Ma guarda caso, il Paese che con Debord, Schwartzenberg e Régis Débray ha più contribuito alla teoria della spettacolarizza�zione e degli artifici seduttivi della pohtica, è anche molto atten�to a rimanere se stesso. Quando una Repubblica è normale o qua�si, non c'è bisogno che i suoi pohtici lo vadano gridando ai quattro venti. Le dichiarazioni sono lette con misura alla tv, senza recita né chiose Il voto rimane locale, ogni collegio è un caso a parte, senza ricadute nazionali I duellanti restano sottotono, un po' come i nostri politici di una volta, radicati al territorio II grande favorito alla mairie di Parigi, Bertrand Delanoe, al momento del voto (a sinistra). Nella foto sotto Jean Tiberi con la moglie Xavière