il POETA SEPOLTO nel triangolo rosso

il POETA SEPOLTO nel triangolo rosso il POETA SEPOLTO nel triangolo rosso SONO solo» scrisse tra il 2 e il 20 aprile 1945. «Io guardo/ me stesso/ e mi vedo/ senza specchio». Lo era davvero, solo, in ogni senso. La sera del 27 bussarono alla porta di casa sua, nel centro del piccolo paese di Fabbrico, in provincia d�Reggio Emilia, e lo portarono via a nome del comando d'una brigata Garibal�di. Non tornò più. Il suo corpo verme trovato un anno dopo, in una fossa comune, straziato da evidenti segni di tortura: sulla vicenda di Edgardo Marani, nota�bile fascista che non aveva aderito alla Repubblica di Salò e poeta con due volumi editi da Cappelli e da Guanda, sembrò calato in modo definitivo il sipario della storia. Vittima casuale d'un regolamento di conti, d'una vendetta ideologica e semplicemente di quei giorni dove l'esaltazione per la sconfitta definitiva del fascismo e per la cacciata dei tedeschi si mischiava�no a furiosi rigurgiti di violenza, venne semplicemente «cancella�to» anche dalla storia letteraria, confinato nella memoria e nel dolore dei famigliari. L'italianista Alberto Bertoni ammette senza problemi che nelle sue lunghe ricerche per scrivere il saggio sui poeti emiliani per la storia einaudiana della letteratura non ne txovò la minima traccia, anche se ora sappiamo che non solo era arrivato alla collana di Guanda già curata da Attilio Berto�lucci, ma che ad esempio aveva una dialogo fatto anche di stima reciproca con un grande del nostro Novecento come Biagio Marm. So�lo la determinazione del figlio Francesco, noto giurista modene�se ha fatto s�che proprio Bertoni si sia trovato tutto d'un tratto di fronte a un corpus di testi molto interessanti, da lui poi curati e pubblicati presso Book editore, col titolo appunto «Sono solo» (pp. 242, L. 26.000, a cura di Francesco Marani e Francesca Prandini, in�troduzione di Alberto Bertoni). Si tratta di poesie scritte dal '43 al '45, nei due anni tra la caduta del fascismo e la liberazione. E sono poesie sicuramente importanti, per una serie di motivi: non ultimo il recupero, molto raro nella no�stra letteratura, del linguaggio un�garettiano all'altezza dell'«Allegria». Marani aveva in biblioteca l'edi�zione definitiva, del '42, e ad essa deve essersi rivolto come a uno «specchio», per usare le sue parole di poeta, nel momento più difficile della sua vita, quando si trovò drammaticamente come tanti italiani davanti a una svolta decisiva. Quel libro sembra aver in qualche modo fatto da mediatore, raccordando la sua storia umana e politica a quella di scrittore. C'è, nel dialogo con Ungaretti, il senso di una scelta, che risalta bene nel presagio di morte scritto in una delle ultimissime poesie (sempre dell'aprile '451 questa però, curio�samente, nei toni pascoliani e d'annunziani che avevano caratterizza�to le raccolte pubblicate nel '35 e nel '38, soprattutto la prima. Da�vanti al crollo del suo sistema di valori, Marani pare voler rifiutare una via d'uscita che non sia quella di una radicale operazione poetica e di linguaggio, anche se la sua vicenda, per molti aspetti, può interessare lo storico tout court: è un ottimo esempio d'una delle tante sfaccettature di quegli anni terribili ed eroici. Il 25 luglio '43, mentre guarda dalla finestra di casa (un edificio al centro del paese) la gente in festa per la caduta di Mussolini, il poeta sa benissimo di essere passato dalla parte degli sconfitti. Decora�to durante la prima guerra mondia�le, era stato fin dall'inizio un fasci�sta conservatore diffidente verso le aperture «sociali»; aveva la fa�scia di «antemarcia» (che però era molto diffusa, anche tra quelli che avevano aderito al regime quando ormai era consolidato) era stato segretario del Fascio, vicepodestà e commissario prefettizio, sempre a Fabbrico. Si era successivamen�te dimesso da tutte le cariche per dedicarsi ai propri interessi lettera�ri (e marginalmente alla vasta proprietà agricola), ma era e resta�va l'esponente più in vista e autore�vole del regime nella piccola comu�nità paesana. A 45 anni, tutte le sue certezze erano spazzate via dalla mano della storia. Proprio in quei giorni venne richiamato dall'esercito (col grado di capitano) ma mentre era in albergo a Parma in attesa di una destinazione il cameriere gli era piombato in camera dicendogli: scappi! I tedeschi stavano occu�pando la città, lui di sbarazzò dell'uniforme, accettò gli abiti bor�ghesi dal cameriere e se ne tornò a casa. Da quel momento, cominciò la lunga attesa. Non ader�alla Repubblica sociale, non rinnegò il suo passato, non si schierò con i partigiani le cui operazioni milita�ri col passare dei mesi prendevano piede in tutta l'area tra Modena e Reggio Emilia. Semplicemente, si concentrò sulla poesia. Il figlio, che ha dedicato una sorta di memo�ria-romanzo (inedita) a quei gior�ni, ricorda benissimo come questo atteggiamento del padre non fosse né fatalista né imprudente. Anzi. Edgardo Marano aveva addirittu�ra predisposto due rifugi, affittan�do camere in due case diverse a Reggio Emilia, mettendoci delle provviste. Forse la sua preoccupazione era la guerra, il fronte che si avvicinava, i bombardamenti, i collegamenti precari e rischiosi, e non la lotta partigiana e i suoi probabili sviluppi. Certo, al mo�mento buono quei rifugi non li usò, o non volle usarli. Che cosa aveva in mente, oltre all'ansia per la sicurezza della sua famiglia? Scriveva versi scarnificati; «Il do�vere/ è afono/ e non sa chiamarmi./ La sua bocca/ s'è malata/ e chiusa./ Ora mi parla solo/ una voce/ che mi dice/ di abbandonare tutto/ e di rifugiami/nel silenzio/totale». Op�pure: «Giorni senza luce/ furono tutti questi/ e io rassegnato/ alla morte». 0 ancora: «Sono cancella�to/ e vorrei essere/ cassato./ Non lasciare/ traccia alcuna». C'è una determinazione molto ferma, e nessun lamento. E c'è, implicita, la consapevolezza del momento ecce�zionale, della violenza estema alla casa, luogo protetto e quasi barriccato dal mondo. Anche Fabbrico viene infatti investita dalla guerra e dalla repressione: subisce rastrella�menti repubblichini (con perquisi�zioni nella casa di Marani, che si deve nascondere insieme al figlio tredicenne in un ripostiglio rica�vato in soffitta), vive un momen�to altamente drammatico, ricor�dato ancor oggi come la «batta�glia di Fabbrico»; un distaccamen�to di Brigate Nere e dell'esercito di Salò occupò il paese perché due miliziani erano stati uccisi. Anzi d'uno si era trovato il cadavere, dell'altro nulla si sapeva. Presero come ostaggi i più giovani, dopo aver costretto tutti i maschi del paese a radunarsi in piazza. Tra di loro c'era anche il figlio di Edgardo Marani, che però venne lasciato andare insieme a un com�pagno di scuola perché il padre riusc�a convincere un'ufficiale. «Anche questo, poi, gli fu rimpro�verato» ci racconta adesso il pro�fessor Francesco Marani, che allo�ra cap�e non cap�che cosa stava succedendo. Poi i fascisti si mise�ro in marcia verso Reggio, portan�do con sé gli ostaggi. La colonna venne attaccata dai partigiani, gli ostaggi liberati (sal�vo uno, ucciso dal fuoco incrocia�to) i fascisti costretti a difendersi asserragliati in una casa. Poi arri�varono riforzi, i partigiani tolsero l'assedio e il distaccamento potè andarsene, lasciando però sul cam�po un certo numero di caduti. Ora, e questo è molto significativo di come il gioco dell'appropriazione delle memorie possa essere crude�le, è accaduto proprio l'anno scor�so che un'associazione di ex militaridi Salò abbia chiesto di poter commemorare i propri morti, a Fabbrico. Autorizzazione conces�sa. Il libro coi versi di Edgardo Marani era già in circolazione, ed alcune di quelle poesie vennero lette pubblicamente durante la cerimonia. «Mi ha fatto molto di�spiacere» commenta il figlio. Suo padre è stato ucciso barbaramen�te, da partigiani o da qualcuno che si dichiarava tale. Ma con Salò non aveva nulla a che fare, e a giudica�re dalla sua poesia aveva in qual�che modo affrontato la morte (o la molto probabile eventualità di es�sere ucciso) da solo, senza un segno ideologico, senza nulla. La sua storia, che può ricordare per certi aspetti quella di Federico Garcia Lorca, si concluse tragica�mente a pochi giorni dalla libera�zione. I partigiani lo avevano già arrestato, tenuto in custodia per 36 ore, e poi rilasciato. Tutto sembrava finito, non c'erano accu�se. Poi, a 24 ore di distanza, l'irru�zione in casa. «Colpi alla porta violenti, lui disse di aprire. Forse temeva per me e per mia madre» ci racconta il figlio. Un uomo armato, il viso nasco�sto da una sciarpa, disse che dove�va parlare con Edgardo Marani, che dovevo condurlo per un inter�rogatorio al comando della brigata Garibaldi. Lui non cercò di sfuggi�re, non usò il rifugio in solaio che gli era servito per nascondersi alla perquisizione dei repubblichini, un anno prima. Si presentò. «E capì, credo, che cosa stava per accadergli, perché chiese il motivo di quella sciarpa sul volto. Per non essere riconosciuto, fu la risposta». DUE LIRICHE Guerra famelica Stanchi siamo di andirivieni. Il piede cerca la strada dritta. L'anima nel labirinto si affanna. Guarda la stella coi suoi raggi rettilinei. La guerra muove le sue mascelle di teschio, teschio famelico che chiede cibo, carne umana. Occupa il cielo lugubremente. Ulula nella notte. Empie il giorno di rantoli. La riscoperta di Edgardo Marani, poeta e notabile fascista che non aveva aderito alla Repubblica di Salò, ucciso dai partigiani subito dopo il 25 aprile. Aveva pubblicato da Cappelli e Guanda, Ne rinnova la memoria una raccolta di versi scritti fra il '43 e il '45, con un linguaggio ungarettiano all'altezza dell#«Allegria» ^MAÉ89éà^^iBi'ì^ÌÈi.tfiÉÌ»!?àt a che igiani Guanda, 43 e egria» DUE LIRICHE Guerra famelica Stanchi siamo di andirivieni. Il piede cerca la strada dritta. L'anima nel labirinto si affanna. Guarda la stella coi suoi raggi rettilinei. La guerra muovele sue mascelle dteschio famelicochiede cibo, carnOccupa il cielo luUlula nella notteEmpie il giorno d Edgardo Marani viveva a Fabbrico, un piccolo paese in provincia di Reggio Emilia. Grazie alla determinazione del figlio Francesco, noto giurista modenese, la sua opera, con il titolo «Sono solo», è tornata alla luce per�tipi dell'editore Book (introduzione di Alberto Bertoni). Nella foto grande: i partigiani entrano a Bologna, è l'aprile dell 945