ARCIPELAGO ITALIA di Barbara Spinelli

ARCIPELAGO ITALIA Nuova edizione del capolavoro di Solzenicyn: un viaggio nel male del Gulag che oggi nessuno può più negare ARCIPELAGO ITALIA Barbara Spinelli TT A storia italiana dell'Arcipetogoè diversa da quella franceJLrfse: lo scrittore venne sminui�to, schivato, in genere ignorato. Più intelligente e astuto dei compa�gni francesi, il Pei seppe costruire un muro, attorno alla figura del dissidente e alla, sua opera, che lo teneva a distanza e lo rendeva leggermente sospetto. Era troppo russo, troppo sferzante, troppo cre�dente, per entrare nei miscredenti salotti di Milano o di Roma. Il muro era fatto di un singolare impasto di ben ton e di arrocca�mento ideologico, di relativismo etico e di fatica di leggere, di giudizio sull'opera mescolato perfi�damente all'opinione sulla perso�nalità dell'autore. Solzenicyn di�sturbava i revisionismi sfumati e le strategie di potere del comuni�smo italiano, e per di più aveva una serietà che stonava: pochi resistettero al conformismo di un'intelligencija che a differenza di quella francese non stava discostandosi dal partito comunista, neglTànni in cui venne pubblicato l'Arcipelago, ma ritrovava anzi le virtù del fiancheggiamento. Il 1975 e 1976 erano anni glorio�si per il Pei, era l'epoca di Berlin�guer, del compromesso storico, della lotta al terrorismo brigatista. Le rare fiammelle di contestazione che si erano accese nel Sessantotto si spensero in quell'epoca, per esser riassorbite speditamente dal�la casa madre. Alla paura di perde�re la fede ideologica si aggiungeva poi qualcos'altro: un'oscura, segre�ta attrazione per l'ordine e la stabilità, garantito dal sistema co�munista: fenomeno non meno sin�golare, per intellettuali che ambi�vano a essere anticonformisti. Mol�ta parte dell'avversione contro Sol�zenicyn, a sinistra come a destra, nell'intelligencija come nella clas�se politica, nasceva da un impulso conservatore. Sarebbe stato infini�tamente più accetto un Tolstoj che diffida delle libertà individuali, piuttosto che un Solzenicyn che esplora le scabrose solitudini del pensiero indipendente. Può valere come esempio la vicissitudine di Dante Cornell, l'operaio comunista che combatté il fascismo e successivamente si rifugiò in Urss, dove per ventiquat�tro anni tra il 1936 e il I960 venne relegato nei Gulag di Vorkuta e della nuova città polare di Igarka. Quando rientrò in Italia, nel 1970, faticò parecchio a far stampare le proprie memorie. Nes�suna casa editrice borghese giudi�cò interessante la storia di un antifascista itahano che aveva pas�sato in carcere più tempo di qualsi�asi altro, fino a quando, nel 1977, il testo fu accolto da un piccolo editore comunista. La Pietra. Ma l'ospitalità non era incondiziona�ta, e Gomeli fu adoperato come un'arma per neutralizzare Solzeni�cyn, di cui erano già usciti in Italia i due primi volumi dell'ArcipeZago. Le memorie erano corredate da un commento, oltre che da una postilla di Umberto Terracini, che falsavano il resoconto dell'autore e la natura stessa della sua dissi�denza. Nella quarta di copertina, l'edi�tore traccia il ritratto di un uomo che a dispetto dei Gulag è «uscito miracolosamente integro, conser�vando la stessa visione del mondo che nel 1921 lo fece diventare comunista». Conclusione: «I campi di Stalin non furono dunque la negazione totale. Comeli li raccon�ta come fatto pohtico e umano, durissimo, ingiusto, arbitrario, ma non tesi alla liquidazione globale dell'uomo per una nuova barbari�ca visione distruttrice, come furo�no invece i campi del capitalismo hitleriano». Visti dall'interno delle convinzioni comuniste, i Gulag acquisivano im'altra fisionomia, e la fede nell'Idea non ne era conta�minata. A ogni costo bisognava appro�priarsi dell'esperienza di Comeli, se si voleva con più efficacia de�prezzare l'Arcipelago. Tale era l'obiettivo esplicito dell'editore: «Se un altro testimone come Vintellettuale Solzenicyn racconta di avervi scoperto il lavoro manuale come controvalore alla negazione della sua umanità, l'operaio Comeli continua invece a vivere nei campi da combattente proletario che non scopre niente che già non sapesse. La sua esperienza, per quanto traumatizzante, rimane quindi unitaria: non si crea in lui quella frattura che spingerà il pic�colo borghese Solzenicyn a cercare spiegazioni totali e contrapposte al comunismo, in una visione irrazio�nale che perde ogni dimensione critica utile a comprendere la real�tà». In appendice all'edizione delle memorie di Comeli ripubblicate nel 2000 dalla Fondazione Liberal, Marcello Braccini, amico del redi�vivo di Tivoli, smantella la leggenda edificante del combattente pro�letario nei Gulag: ventiquattro an�ni di deportazioni non avevano lasciato integro il credo di Comeli, e contrapporre quest'ultimo a Sol�zenicyn era ingannevole oltre che tendenzioso. Comeli aveva rotto con il comunismo e, se aveva criticato Una giornata di Ivan Denisovic di Solzenicyn, era per�ché la rappresentazione dei Gulag gli era parsa fin troppo indulgente: la critica andava «nel senso di Salamov, [secondo cui] quello di Ivan Denisovic era un campo spe�ciale, quasi da privilegiati». Ancbe la postfazione di Umber�to Terracini aveva irritato Comeli, nonostante l'aiuto che il senatore aveva dato per il suo rientro in Italia. Fedele come qualsiasi diri�gente comunista alla formula eso�terica dell'impenetraiiZitd, il presi�dente del gruppo senatoriale del Pei ammetteva l'esistenza di un «mondo di orrori» troppo a lungo nascosto ai compagni italiani, ma si felicitava con lo scampato di Vorkuta per il «tono pacato delle memorie» cos�differenti da chi si faceva «trascinare da una rabbiosa giustificata bufera di passione» e per la scelta di «spendere soldi tuoi, senza appoggiarti a case edi�trici e centri di diffusione. Ne consegue che i tuoi scritti restano in brevi cerchie concluse». E la postilla conclude: «Penso che tu abbia adottato e prosegui questo metodo perché non vuoi che la tua opera venga sfruttata dalla solita immonda canaglia contro il parti�to e il movimento operaio. E te ne faccio grande merito». Era anche questo un mentire consapevole, non scevro di accenti minacciosi: Comeli non desidera�va l'inserimento nel volume della lettera di Terracini, e avversava l'idea delle brevi cerchie concluse. Rientrato in Italia, aveva invano tentato di pubblicare i suoi ricordi, ed era stato respinto dalle maggio�ri case editrici: da Rizzoli l'S set�tembre del 1970, da Mondadori il 9 ottobre del 1970, da Rusconi il 5 maggio del 1973. Assai più facile e naturale era stato uscire in Fran�cia, dove il manoscritto venne accolto con entusiasmo da un auto�revole editore, e pubblicato nel 1979. Condividere l'idea di una somiglianza fra le due utopie mor�tifere del Novecento quella nazi�fascista e quella comunista era e resta ben più arduo in Italia, dove non si sono fatti i conti con il passato mussoliniano, con le robu�ste affinità iniziali tra partito fasci�sta e comunista, con il fenomeno dei/oscisti rossi, con l'interruzio�ne dell'attività resistenziale impo�sta da Toghatti durante il patto Hitler-Stalin, con il dispregio che il segretario generale mostrò di pos�sedere per le vite umane, per le norme dell'amicizia, per le regole basilari di civile decenza. L'intelligencija benpensante non ebbe nulla da dire quando fu rivelato l'atteggiamento del leader comunista verso gli alpini dell'Ar�mata italiana in Russia. (Arrnir), che sul fronte del Don erano stati catturati dall'esercito sovietico, nel gennaio-febbraio 1943, e spedi�ti in gran numero nei Lager siberia�ni. «La nostra posizione di princi�pio rispetto agh eserciti che hanno invaso l'Unione Sovietica è stata definita da Stalin e non vi è più niente da dire», aveva scritto Toghetti il 15 febbraio 1943 a Vincen�zo Bianco, delegato itahano presso l'Intemazionale, in ima lettera rin�venuta quasi cinquant'anni dopo dallo storico Franco Andreucci nel�l'Archivio di storia contempora�nea a Mosca. E ancora: «Io non sostengo affatto che i prigionieri si debbano sopprimere, tanto più che possiamo servircene per ottenere certi risultati in un altro modo; ma nelle durezze oggettive che posso�no provocare la fine di molti di loro, non riesco a vedere altro che la concreta espressione di quella giustizia che il vecchio Hegel dice�va essere immanente in tutta la storia». La lezione che se ne può trarre è che i crimini del Gulag non sono remoti: riguardano l'Italia diretta�mente. E non concemono soltanto il suo comunismo ma le sue élite intellettuali, che regolarmente per mimetismo, per paura della solitudine, per ammirazione della forza stanno in silenzio al cospet�to di simili scandali e complicità nel delitto. La lettera di Togliatti non fu resa pubblica in anni difficili. Apparve sui giornali nel febbra�io 1992, più di due anni dopo la caduta del Muro, quando il Pei già era Pds. L'indignazione durò meno di un mese, mescolata a un tacitur�no imbarazzo generale, fino a quando sopraggiunse la rivelazio�ne che seppell�l'evento e lo cancel�lò. Toghatti non aveva scritto la lettera in quel modo: non aveva detto «0 divino Hegel», ma «il vecchio Hegel». Non aveva scritto «nelle durez�ze oggi che possono provocare», ma «nelle durezze oggettive che possono provocare», e via spadro�neggiando sulle parole. Tutto era perfettamente eguale a prima e al tempo stesso era affatto diverso: «La questione è: chi è che comanda ecco tutto». La storia fin�con l'ostracismo dello studioso che ave�va mal copiato negli archivi mosco�viti, e con una risentita, autocom�piaciuta dichiarazione di Achille Occhetto, che chiedeva «pubbhche scuse» e accusava gli storici di «fare il lavoro dei servizi segreti». Lo sforzo di introspezione di Solze�nicyn, abbattuto dalla propria in�differenza al supplizio del soldato vlasoviano, non aveva qui ragione di sussistere. «Qualunque ufficiale di qualunque esercito sulla terra investito di potere avrebbe dovuto fermare quel supplizio contrario a ogni legge. Qualunque ufficiale, si, ma uno dei nostri?». [...] Ci si può domandare a cosa serva oggi una lettura di Solzeni�cyn. In Europa orientale il comuni�smo si è spento, l'impero sovietico non è più quello degh Anni Settan�ta, e il clima in Occidente è cambia�to in profondità. Intellettuali e partiti di sinistra hanno abbando�nato i miraggi di ieri, fino a confon�dersi quasi con le destre, e da questo punto di vista Frangois Furet non si può dire abbia avuto torto: l'illusione totahtaria ha fat�to fallimento, i suoi tempi sono tramontati. Oggi sembra evidente quel che racconta lo scrittore russo, e incontrovertibili i mah che mette in luce. D'altronde lo sono sempre, e di fronte a una persona umana ferita, dolorante, uccisa, non è possibile dire: «Non esiste». [...] Il bene coUettivo è confutabile -c'è sempre qualcuno che ha ima sua idea discordante del bene, del buo�no ma i mah e gli orrori non lo sono mai, quando li rinvieni o h soffri: sono veri assolutamente, come dice Karl Popper. Tuttavia sembra non ci sia nulla di più arduo dell'evidenza, di meno ac�quisito dell'inconfutabile. L'uomo riesce a non credere nell'oggettivi�tà del male che pure percepisce, riesce a nasconderlo, a nasconder�selo, e per questo è importante leggere ancor oggi Solzenicyn: per ricostruire un'epoca che non volle riconoscere VArcipelago, e per comprendere le ragioni che in ogni momento possono spingere uomi�ni responsabili a vivere e parlare come se la verità non fosse stata detta, resa manifesta. Da questo punto di vista l'Arci�pelago mantiene la sua esemplari�tà, quali che siano i successivi itinerari e le involuzioni del suo autore, divenuto nel frattempo più slavofilo e nazionalista di quanto sia nel libro. Esemplare resta il suo metodo, che è quello di esaminare le sciagure totalitarie partendo dal�l'esame di se stessi, dallo sguardo attento, spesso spietato, gettato sulle proprie omissioni, i propri silenzi, le proprie rassegnazioni precoci. Apprendere tale sguardo sul male, imparare la saggezza di chi dice Madame Bovary sono io, è utile per chiunque, compresi i Rovani che non hanno conosciuto a forza delle menzogne comuniste e non hanno avuto a che fare con il golgota della Lubjanka. Questo non è un libro per rileggere da lontano quel che accadde lungo più di sette decenni, ma per impa�rare a leggere il presente e a pensare il futuro tenendo a mente l'attualità del mondo di ieri. Per rammentare come può aprirsi la strada che dall'indifferenza con�senziente conduce alla coscienza, come avviene il passaggio dalla depravazione dell'inerzia alla ele�vazione e all'ascesa. La requisitoria e le documenta�zioni dell'Arcipe/ago sono tuttora compagne di vita, e sono utili anche all'Europa che sta riunifi�candosi con la sua parte orientale, perché le esperienze dei dissidenti rappresentano un patrimonio ine�stimabile per la costruzione delle democrazie. In molte occasioni come nella guerra panserba nei Balcani, in quella contro la Cecenia, nello sforzo ucraino di preser�vare la propria autonomia da Mo�sca l'E'.iropa dell'Est ha mostrato dìù sensibilità delle democrazie iberah, ed è divenuta la coscienza morale deh'Europa. E' quel che disse Solzenicyn, nel suo discorso all'Università di Harvard del 1978: «Sei decenni per il nostro popolo, e tre per i popoli d'Europa orientale, sono stati ima scuola di spiritualità incomparabilmente più alta di quella conosciuta dal'Occidente». L'esperienza del male diventa in tal modo scuola spirituale, e criterio di giudizio indispensabile jer la costruzione di una civiltà. E' 'unica certezza assolutamente in�confutabile, che una società regola�ta da leggi possa avere. L'Arcipela�go parte da qui, consigliando que�sto tipo di tirocinio e respingendo le utopiche visioni di una felicità universalmente realizzata. Il coro di zek [abbreviativo di zakljucennyj, prigioniero, ndr] che attraver�so Solzenicyn riconquista la paro�la prende commiato per sempre, da due secoli di illusioni sul pro�gresso ineluttabile dell'umanità, e sull'automatico perfezionamento civile prodotto dai trionfi e dalle feste rivoluzionarie della Ragione. Oggi non è più possibile due, senza pensare ai Lager, quel che SaintJust proclamò dalla tribuna della Convenzione, il 3 marzo del 1794: «La felicità è un'idea nuova in Europa». Simili annunci mettono paura, dietro di essi già si intrave�de l'ombra del tiranno. Lo scrittore era troppo russo, troppo «credente» per i miscredenti salotti di Roma e di Milano, disturbava i revisionismi sfumati e le strategie di potere del Pei. Il libro fu sminuito, ignorato Per neutralizzarlo gli si contrapposero le memorie del comunista Dante Comeli, 1 prigioniero per 24 anni in Urss:-:ir?^., corredate da un commento di Terracini che falsava Usuo resoconto 1 e il senso stesso della sua dissidenza Il premio Nobel russo ci insegna a leggere il presente e a pensare il futuro tenendo la mente l'attualità del mondo ^^m di ieri, ci rammenta come può aprirsi la strada che dall'indifferenza I consenziente conduce alla coscienza Arcipelago Gulag entra nel Meridiani Mondadori in una nuova edizione curata da Maurizia Calusio (che ha rivisto la vecchia traduzione di Maria Olsùfieva sulla base del nuovo testo russo pubblicato a Parigi nel 1980 da Ymca Press), con un saggio introduttivo di Barbara Spinelli, di cui in questa pagina anticipiamo uno stralcio. La sconvolgente testimonianza sull'universo concentrazionario sovietico (Gulag è l'acronimo d�Gosudarstvennoe uprmlenje lagerej, amministrazione statale dei campi di prigionia: l'autore ne era stato «ospite» tra il 1945 e ir53) aveva visto la luce in Francia alla fine del 1973, consacrando Aleksandr Solzenicyn come figura di punta della dissidenza russa. Lo scrittore, premio Nobel nel 1970, era vigilato dal Kgb e da tempo costretto a far pervenire clandestinamente i suoi scritti in Occidente. Nel 1973, cinquantacinquenne, ottenuto il divorzio dalla prima moglie ha appena potuto legalizzare il rapporto con Natalja Svetlova, che proprio quell'anno gli dà il terzo figlio. Il 28 dicembre, mentre si trova in una dacia di Peredelkino, ai bordi di Mosca, apprende dalla Bbc che la Ymca Press ha pubblicato le prime due parti di Arci/je/ago («Quale liberazione», commenterà lo scrittore: «di nascosto, nel silenzio, ero riuscito a portare l'opera a conclusione... Non osavamo neppure tenerla in casa ). Il 30 e 31 dicembre tre capitoli escono in traduzione inglese sul New York Times. In Russia si scatena contro Solzenicyn una violenta campagna di stampa. Mentre in Occidente si moltiplicano le traduzioni (la III e la IV parte di Arc/pefogo usciranno in estate), Il l2febbraio 1974 lo scrittore viene arrestato e rinchiuso nel carcere moscovitadi Lefortovo. Privato della cittadinanza sovietica, viene espulso dal paese. Trovaaccoglienzaprimaa Colonia, ospite di Heinrich Boll, poi a Zurigo. Nel 1976 si trasferisce con la famiglia negli Usa, in un piccolo villaggio nei pressi di Cavendish, Vermont, che gli ricorda la sua Russia. Dove non farà ritorno che il 27 maggio 1994. Nella foto a fianco, l'arrivo all'aeroporto di Magadan, accolto con una forma del tradizionale pane russo: per lo scrittore s'inizia quel giorno un lungo itinerario in treno che in 56 giorni lo riporterà a Mosca.