Da KABULsulle montagne minate verso il fonte mujaheddin

Da KABULsulle montagne minate verso il fonte mujaheddin Da KABULsulle montagne minate verso il fonte mujaheddin VALLE DEL PANJSHIR D A Kabul aU'imboccatura deUa VaUe del Panjshir, in condizioni normaili, cioè trent'annifa, ci sarebbero volute due ore d'auto. Tutte in pianura, su strada asfaltata. Adesso ce ne vogliono dieci, in montagna, sa�lendo a 2900 metri d'altezza. La strada diretta è interamente mi�nata. L'ultimo autobus che ha tentato di passare è saltato in aria. Dieci morti. AUora non re�sta che farsi i 120 chUometri di strade sterrate, colabrodi che rammentano battaghe furibonde a colpi di mortaio, voragini, relit�ti di carri armati e gru e blindati. Ferragha. Dalla piana deUa capitale ci s'immerge neUa vertiginosa di�scesa che porta a Jalalabad. Un tempo era una fantastica carrozzabUe, progettata dai genieri cor loniali britannici, asfaltata da re Zahir Shah che andava a passare i fine settimana sul lago di Shomal e non voleva rompersi la schiena. Adesso è un incubo di buche, l'asfalto è sparito, enormi camion multicolori e stracarichi procedono a passo d'uomo, in interminabUi colonne, soUevando ondate di melma o di polvere. Kabul vive dei loro carichi. Chiu�dere questa strada equivarrebbe aUa resa. Ed è per questo che la strada fu sempre aperta, anche ai tempi sovietici, anche se per tenerla le truppe governative do�vevano giocarsi ogni giorno del�l'anno la vita di decine di soldati. Adesso non ci sono combatti�menti. I taleban controUano la situazione, a quanto pare senza problemi. Solo un posto di blocco aU'imboccatura del passo. Ma, appena superato lo strapiombo di 1000 metri che separa l'altopia�no di Kabul daUa pianura fertUe di Jalalabad, si svolta a destra, a Sarobi, verso Tagab, la diga e U lago di Shomal, la lunga valle del fiume Panshir. Cento chUometri in salita e falsopiano, in mezzo a una successione di viUaggi, case di fango, torme di bambini, verso la neve alta del passo. Non fosse per l'ansimare deUa jeep, e per i rari taxi Toyota che s'incrociano, potremmo pensare di essere ritor�nati indietro di 500 anni. Non c'è mai stata luce, qui, né turisti. Il buio deUa notte non è figlio deUa guerra, che abbatte i lampioni: è U buio dei secoli. Niente luce, niente televisio�ne, niente radio. Il mondo qui non arriva, con le sue notizie, i suoi rumori, la sua civUtà. Ma di qui sono passati i carri armati. SuUa vetta, a uno degh ultimi controlli taleban prima di amvare neUa terra di nessuno, c'è un intero cimitero di blindati. Alcu�ni sono «vivi». Si vedono gh uomini dentro le torrette scruta�re le montagne tutto attorno. Poi ci s'incammina verso U valico, con le ruote che affondano nel fango fino al mozzo, in mezzo a bambini carichi come asini, scal�zi neUa neve, superando taleban con fucUe mitragliatore e sacchi di munizioni, che vanno a dare U cambio neUe garitte affondate neUa neve. Anche neUa terra di nessuno brulica la vita. Poi si devono lasciare le auto e proseguire a piedi, un chUometro prima deU'ultimo avamposto. Quattro case appoUaiate, tre tale�ban suUa strada che attendono torvi. Scrutano U lasciapassare con grugniti di disapprovazione. Guardano i nostri scarponi, le nostre facce relativamente gla�bre. Uno ha le unghie colorate di rosso, l'altro ha occhi bistrati. E' normale in campagna, tra i guer�rieri; ma qui, in questo sUenzio gelido, sembra un avanspettaco�lo iireale. Mi chiedo come questi tre disgraziati se la passino in questo posto, con la prospettiva, a ogni momento, di finire ammaz�zati da un commando avversa�rio. Non c'è spazio per la commise�razione. Il kalashnikov del capo colpisce U terreno con un rumore secco del calcio metallico. E' di cattivo umore. Onesti stranieri che passano dall'altra parte non gh piacciono. Questi stranieri che fumano e gh offrono una sigaretta peccaminosa. Eppure gh occhi di uno dei tre sono spenti, come se avesse fumato qualcosa di ben più pesante di una Marlboro. Infine si passa, chinando U capo sotto un pezzo di corda con festoni di nastri di musicassette. Sfregio aU'infedele e monito al fedele che cede aUe lusinghe deU'Occidente satanico. E' la linea di confine tra due presunte civUtà. Ora bisogna affrontare altri dieci,chUometri di strada sterra�ta, cosparsi di casematte deserte, di containers riempiti di sassi piazzati aUe svolte strette deUa stradina per impedire U passag�gio dei mezzi pesanti. Non un viandante, non un contadino. Solo, sui contrafforti deUa monta�gna, un pastore, in mezzo a pecore pericolosamente affaccia�te suUo strapiombo, che canta nel silenzio una nenia incomprensibUe. Su quei costoni non ci sono mine, ma tutto attorno aUa strada ce ne devono essere a bizzeffe, meglio non uscire dal sentiero. L'Afghanistan è terra di mine: si dice che ce ne siano oltre 11 mUiom, quasi una per abitan�te, certamente più di una per ogni bambino. Per gh anni, i decenni a venire, migliaia di af�ghani continueranno a cadere dUaniati, spezzati, mutUati. Ci vonrebbero miliardi di doUari per risanare questa terra e si sa già che non si troveranno mai. Mine piazzate da tutti i con�tendenti che si sono avvicendati in questi 21 anni. Non si salva nessuno. Poi giù verso la piana di Kapisa. Chankar e la base aerea di Bahgram s'intrawedono in distanza. I cannoni suonano lita�nie lente, lontane. Ogni tanto U rantolo terribUe, ansimante, lace�rante d'una katiùsha. Massoud spara sui taleban, che stanno adesso daU'altra parte del fiume. Su un cucuzzolo appaiono i mujaheddin, segno che siamo arrivati daU'altra parte. La prima differenza che si coghe è nel fatto che molti uomini sono armati. I sohti kalashnikov, ma anche vec�chi fucih ad avancarica, che perfi�no i bambini portano a tracoUa. Un distribuzione mortale, ma più «democratica». La differenza non riguarda le donne, tutte rigor rasamente coperte dal burqa. Solo che sono più numerose nelle strade. Intanto si vede bene l'estensione deUe forze di Ahmad Shah Massoud neUa pianura. Pensavo che fosse chiuso neUa sua irta vaUata, invece un bel pezzo deUa pianura è in suo possesso, almeno adesso. Pratica�mente tutto U distretto di Kapisa, e la piana che da Gulbahar, all'im�boccatura deUa vaUe, si spinge fino ai confini di Bahgram. Quanto sia terra sicura e quan�to precaria non è possibUe dire. Si capisce però che è una guerra «contigua», dove le spie, gl'infor�matori, passano ogni giorno U fronte, travestiti da contadini, cioè da se stessi. Proprio come ai tempi dei sovietici, che non pote�vano mai dire con sicurezza se un territorio fosse stato conqui�stato. Qui l'unica presenza stra�niera è di nuovo queUa di Emergency. Miracolo, anzi «scandalo evangelico», come l'ospedale che si sta costruendo a Kabul. Là queUe mura bianche, queUe cor�sie luminose, erano l'unico segno di vita in una città morta. Gino Strada è riuscito dove nessuno sta riuscendo: a convincere i taleban che non può essere un muUah a decidere come si cura e si opera la gente. Qui, daU'altra parte del fronte, sei centri di pronto soccorso di Emergency sono sparsi neUa pianura, coUegati da ambulanze aU'ospedale di Anaba, più su neUa vaUe. E' raro provare orgogho nel sentirsi italiano; ma qui e a Kabul dove si salva la gente, da una parte e daU'altra del fronte, senza chiedergli sotto quale straccio è stata dUaniata confes�so di averlo provato. Ospedah, presidi costruiti con i denari del�la gente italiana e anche (notizia non meno consolante) con U con�tributo deUa Cooperazione Italia�na, del nostro governo cioè: «Due miliardi più mezzo miliardo di materiali», conferma Strada. Ma c'è poco tempo e poche ragioni per gioire. Ripenso al piccolo Khahl, visto su un lettino del�l'ospedale Karte-se, ancora sotto la sigla deUa Croce Rossa Interna�zionale, U migliore mi dicono di tutto l'Afghanistan. Khahl è saltato su una mina neUa regione di Bahmian ed è qui da due giorni. Avrà sei anni, e non avrà mai più la vista, perchè la mipg. gh ha strappato gli ogchi, una parte del viso e quasi tutte le dita deUe mani. Si lamenta con una v.ochia flebUe, chf esce, jjla una bocca ustionata" sotto1 un cumulo di bende sporche. Diffici�le guardare, perchè ci vuole for�za, e sento di non averla mentre guardo le mie scarpe comode e asciutte, su un pavimento lercio, e penso alla mia auto di media cilindrata, parcheggiata sotto una casa lontana dove ci sono sempre l'acqua e i termosifoni e un frigorifera con tanta roba da mangiare, da quando sono nato. AUora distolgo lo sguardo. Ma Khahl tossisce e la sua tosse debole, catarrosa mi ricorda che quel bambino cieco è ancora sotto queUa coperta blu, sporca non solo del suo sangue, e che la mia commozione non cambierà U suo destino. Che in queU'antro squallido sembra essere cos�smi�surato da non poter avere altri padri che AUah U Grande, e qimdi nessun risarcimento, e nessu�na spiegazione. Niente elettricità, niente televisione, niente radio, ma relitti di carri armati in un mondo fermo da cinque secoli Il «miracolo» degli ospedali italiani per le vittime innocenti di una guerra crudele Dopo anni di conflitto la situazione non cambia per le vìttime della guerra: nella foto un gruppo di bambini in uno dei campi profughi che costellano le zone frontaliere dell'Afghanistan

Persone citate: Ahmad Shah Massoud, Gino Strada, Massoud, Zahir Shah

Luoghi citati: Afghanistan, Italia, Kabul