Erika: peccato per la scuola, andavano così bene

Erika: peccato per la scuola, andavano cos�bene Erika: peccato per la scuola, andavano cos�bene Ungiamo senza lacrime nel centro d'accoglienza di Milano Fabio Potetti MILANO A tradire la tensione che Erika ha dentro, c'è solo quel posacenere troppo pieno. Non ima parola, una lacrima, un qualcosa che la riporti alla vita di prima. Anche davanti al senatore dei Ds Febee Besostri, che la vede alle otto di sera nella saletta del Centro di prima accoglienza del carcere minorile Beccaria, Erika parla del suo passato e del suo futuro, come farebbe una delle tante ragazzine della sua età: «Mi dispiace per la scuola, andavo cos�bene. Non c'erano proble�mi, sarei passata in quarta... Ma adesso...». Adesso la vita di Erika De Nardo è fatta di una stanza con la tv spenta e la serratura alla porta di ferro, i poster alle pareti e quattro letti uno accanto all'altro nella cameretta che divide con una ragazzina romena, con la quale parla piano piano e chissà di cosa. «Siamo quasi diventate amiche, sa...», racconta l'altra ragazzi�na al parlamentare, davanti al personale che non porta la divisa perché questo non è ancora un carcere. » Erika ha i capelli castani come si vede in tutte le foto, la faccia pulita di sempre e la tuta scura da ginnastica, che è un po' un'uniforme per quelli che stanno dentro. «Mi trattano bene...», dice prima di andare a tavola, lei e la sua amica. Di là nel reparto maschile ci sono due Rom che hanno preso perché stavano rubando un Tir. Non si possono vedere, tra maschi e femmine. Ed è l'unico muro vero in questa struttura che non è ancora galera ma solo l'anticamera per quelle come Erika, il pranzo lo porta il personale, detenuti e guardie mangiano la stessa cosa di sempre, il menù di ogni carcere che non c'è distinzione: la pasta condita, il pollo bollito con l'insalata, un panino e la mela. Il senatore diessino fa un giro nel carcere, raccoglie le lamentele di sempre, troppo poco personale, troppi pochi mezzi e poi finisce lì, nella saletta dove c'è ima ragazzina che ha quattro mesi meno di sua figlia e che per l'accusa ha massacrato assieme al fidanzatino la mamma e poi il fratello. Basta imo sguardo, al parlamentare: «Mi è sembrata tranquilla, alme�no nell'aspetto. Una ragazzina come tante che si incontrano per strada. Non ho voluto chieder�le niente della sua vicenda e lei non me ne ha parlato. Volevo solo darle un segnale, farle capire che non è stata abbandonata...». n senatore Besostri ci mette molte pause e le parole che escono con il contagocce, prima di dire che «sì, insomma, sembra una che ha rimosso tutto». Dice che è solo un'impressione. un niente che nasce da uno sguardo e neanche dieci minuti di parole. In cui Erika parla della scuola che andava cos�bene, ma non dice niente di sua mamma Susy, del fratellino Gianluca, del funerale a cui voleva andare e alla fine sono rimasti solo i nastri col suo nome accanto ai cuscini di fiori. Non chiede di Omar, mentre lui si era preoccupato per lei, come due fidanzatini per forza lontani. Non chiede del giudice che oggi a Torino dovrà convalidare il fermo, se ci saranno elementi sufficienti. Non chiede di fuori, dei giornali che l'hanno messa in prima pagina e della tv che non fa altro che parlare di lei anche se qui è spenta. Le uniche parole sono per suo padre, che anche ieri è tornato in carcere ad incontrarla, ad abbracciarla, a portarle il cambio, anche lui aggrappato come può ai silenzi di sua figlia. «L'ho visto anche oggi...», e si capisce che le fa piacere che ci sia qualcuno che ostinatamente le creda e che malgrado tutto le sia ancora vicino. E si capisce pure, che lui non voglia parlare con i giornalisti e si infili veloce con la Espace dietro al cancello blindato, dall'altra parte dell'ingresso del carcere perché questa non è ancora una galera e sua figlia per la legge non è ancora un'assassina. Prima di andarsene davanti a quel muro di silenzio, prima di stringere la mano ad Erika, il parlamentare le chiede se ha bisogno di qualco�sa, se vuole un libro, qualcosa da leggere, giornali no perché non può. Lei scuote la testa e ringrazia educata e gentile, poi dice due parole che magari non vogliono dire niente. Ma qui dentro fanno impressione, come quel posacene�re troppo pieno: «Non ho molta voglia di leggere, non ci riesco. Ho provato, ma proprio non ce la faccio..,». .

Persone citate: Beccaria, Besostri, Erika De Nardo, Milano Fabio

Luoghi citati: Milano, Torino