«Provenzano a 200 metri», ma l'arresto saltò di Francesco La Licata

«Provenzano a 200 metri», ma l'arresto saltò «Provenzano a 200 metri», ma l'arresto saltò Polemica fra Ros e polizia dopo il caso della pista bruciata Francesco La Licata ROMA Il superlatitante Bernardo Provenzano, «numero uno» di Cosa nostra sicilana, stava per essere catturato il 30 gennaio sorso, giorno in cui la squadra mobile di Palermo arrestò il boss Benedet�to Spera, nel corso del blitz bggi al centro della polemica scatenata dalli accuse lanciate alla polizia dal comandante del Ros, Sabato Palazzo. Il «padrino», quella mattim, si trovava a poche centinaia di metri dal casolare di Mezzojuso dove fecero irruzione i poliziolti della sezione «catturandi» della squadra mob le, convinti di stare per . metter le mani sull'uomobbe sta in cima alla lista dei criminali più ricercati. La certezza che in qui Ha casa di campagna si sarebbe dovuto trovar^ anche Provenzano è giunta agli investigatori ( ella squadra mobile due giorni dopo il blitz di ine gennaio, quando intercettando i dialoghi li alcuni mafiosi tenuti sotto osservazione nell'ambito delle indagini su Provenzano hanno sentito alcune battute che non lasciano spazio a dubbi. A parlare erano in due. Il primo: «Chiddu era dà vicinu». L'interlocu�tore replica, preoccupato: «Ci mancava picca ca pigliavanu pun�a iddu». Il commento dell'altro: «Vitti movimentu e s'inniu». Già, ha visto il movimento e se n'è andato. L'intuizione, dei segugi della polizia, dunque, era esatta. Il lavoro di osservazione svolto in quelle campagne, infatti, li aveva portati a conclu�dere che era l�il luogo prescelto da Provenzano per sottoporsi al periodico controllo medico e al recapito della corrispondenza. Compiti che per lungo tempo erano stati svolti da due personaggichiave della latitanza di «donBinnu», arrestati il 30 gennaio insieme con Benedetto Spera, luogote�nente del «capo»; il primario endocrinologo Vin�cenzo Di Noto (il medico che aveva già visitato il «padrino») e quel Nicolò «Colo» La Barbera che per Provenzano faceva il vivandiere e il postino, come dimostra il fatto che aveva in tasca quattro lettere da consegnare al boss, inviate dai figli, dalla moglie e dal fratello. In precedenza le microspie installate nel casolare avevano rivelato la presen�za di un personaggio importante che si incontrava con Di Noto, fino ad of&ire la certezza che quelle visite erano periodiche e non rimaneva, dunque, che aspettare la successiva. Per questo i poliziotti, straconvinti di star dietro a Provenzano, durante il blitz ebbero un moto di sorpresa riconoscendo nella persona appena catturata un uomo diverso dal «padrino». Rimane da chiarire se «don Binnu» si trovasse in qualche altro casolare, magari in quello poco distante del fratello di La Barbera, oppure se giunto in ritardo rispetto a Benedetto Spera sia stato «salvato» dal clamore del blitz già scattato. Le indagini, in questo senso, sono tutt'al�tro che concluse e c'è da registrare la concessione di ima delega completa alla squadra mobile da parte della Procura della Repubbhca di Palermo. Se è vero che stanno cos�le cose, si capisce perché il procuratore Piero Grasso abbia voluto precisare una realtà un po' diversa da quella prospettata nella lettera del generale Palazzo. L'alto ufficiale attribuiva al mancato coordina�mento di due organismi diversi ed autonomi, la vanificazione di una pista (quella di La Barbera) che avrebbe portato alla cattura di Bernardo Provenzano. A queste osservazioni ha replicato Grasso, ricordando che «i carabinieri erano al corrente dell'attività che aveva in piedi la squadra mobile».. C'è semmai da rammaricarsi, e questo aspetto è stato sottolineato anche durante un serrato confronto interno alla polizia, che i poli�ziotti impegnati in quella indagine non abbiano segnalato tempestivamente (sembra neppure ai propri vertici) la probabilità di una accelerazione del blitz. Questa mancanza di comunicazione ha in parte spiazzato (nei confronti della polemica suscitata dal generale Palazzo, tra l'altro all'indo�mani dell'intervista con cui il generale Mori toma su vecchie questioni tra Ros e Procura) i vertici della magistratura palermitana. Ed ha offerto il destro per ribaltare i termini di antichi dissidi che hanno visto al centro di accese discussioni il cosiddetto «metodo Ros», spesso giudicato troppo disinvolto: la mancata perquisizione nella villa di Riina, l'utilizzazione di colloqui investigativi co�me quelli intercorsi con i collaboratori Balduccio Di Maggio e Angelo Siino, il suicidio del marescial�lo Lombardo, la «trattativa» col medico mafioso Antonino Cina e con l'ex sindaco Vito Ciancimino per far cessare gli attentati, i dubbi sull'esistenza del cosiddetto «papello», cioè un elenco di richie�ste avanzate da Totò Riina in cambio di ima tregua alla sua linea stragista. Tutti episodi che hanno fatto molto discutere, anche all'interno della stessa Arma dei carabinieri. Come quando il maggiore «Ultimo», che chiedeva più uomini e più mezzi proprio per poter coprire al meglio l'attività investigativa su Nicolò La Barbera, si disse costretto ad abbandonare l'obiettivo per l'insensi�bilità dei vertici del Ros a comprendere l'impor�tanza di quella indagine. La pista fu «ereditata» dalla polizia che l'ha coltivata per più d'un anno. Fino al blitz del 30 gennaio che, come si è visto, non è stato del tutto un fallimento. 1A IETTERÀ Il30gennaio scorso la polizia di Stato ha arrestato il mafioso Spera e l'indagato La Barbera... L'intervento della polizia ha avuto luogo a breve distanza dall'area sottoposta a osservazione tecnica e ad ascolto da parte del Ros ... L'arresto di La Barbera ha vanificato tale opportunità (cioè l'arresto di Bernardo Provenzano), in virtù di una sostanziale sovrapposizione operativa sull'obiettivo di indagine già coltivato dal Ros e in assenza di una condivisa valutazione della situazione venutasi a determinare Domenico Sabato Palazzo Domenico Sabato Palazzo

Luoghi citati: Mezzojuso, Palermo, Roma