Quine, la verità non è dogma

Quine, la verità non è dogma Quine, la verità non è dogma DALLA PRIMA PAGINA Richard Rorty L/ACCUSA di sterilità è però ingiusta. Al contrario, la sfi�da di Quine a Carnap (insie�me a quelle complementari portate alle idee di Thomas Kuhn e Ludwig Wittgenstein) ha aperto la porta a una lunga serie di originali e fruttuose riconsiderazioni delle descrizioni tradizionali del rappor�to tra linguaggio e realtà, 'tra conoscenza ed esperienza sensoria�le, tra scienza e filosofia. Queste riconsiderazioni hanno sollevato dubbi sulla convinzione di Quine che le scienze naturali sono l'area della cultura in cui la verità sulla realtà è più chiaramente e più ovviamente raggiunta e la raziona�lità dà il meglio di sé. Molti filosofi che riconoscono un debito profon�do con Quine sono ora meno incli�ni a elogiare le cosiddette scienze dure come paradigma della cono�scenza. Mentre Quine pronunciò la famosa frase «La filosofia della scienza è filosofia quanto' basta», questi pensatori neo-quiniani ten�dono piuttosto a vedere la ricerca scientifica meno diversa dal resto della cultura di quanto non l'abbia portata a essere Quine. Quine non si scostò mai dall'af�fermazione che il lessico della logica e delle scienze fisiche, cor�rettamente disciplinato dalla filo�sofia, potesse rivelare quella che lui chiamava «la vera e ultima struttura della realtà». Ma molti filosofi analitici contemporanei concordano piuttosto con Nelson Goodman, che fu collega di Quine nei dipartimento di filosofia di Harvard, che non esiste una strut�tura del genere che non esiste, come disse Goodman, un unico modo di essere del mondo, ma soltanto svariate sue descrizioni altemative. Alcune servono ad al�cuni scopi, altre ad altri, ma nessu�na è più vicina alla realtà o più lontana di un'altra. L'idea di Good�man ricorda l'approccio alla filoso�fia di John Dewey, in particolare la sua volontà di trascurare il rapporto tra pensiero e realtà per concentrarsi sull'utilità pragmati�ca di modi altemativi di pensare. Molti tra i migliori studenti di Quine (come Donald Davidson) e tra i suoi più ferventi ammiratori (come Hilary Putnam) cercarono di convincerlo ad abbandonare o alleggerire il suo scientismo, ma senza successo. La dottrina secon�do cui le affermazioni su ciò che gli uomini credono e desiderano non rappresentano nulla di reale, men�tre le affermazioni sulle stelle e le molecole sì, rimase centrale nel pensiero di Quine. Davidson, Put�nam e altri hanno passato molti anni cercando di estendere e radicalizzare le idee di Quine, eviden�ziando le apparenti incoerenze e cadute in errore del suo pensiero, implicitamente (ma ogni tanto an�che esplicitamente) criticandolo perché non valutava nella loro giusta portata le implicazioni del�la sua stessa svolta teorica. Va a merito loro e di Quine se queste critiche, che andarono davvero in profondità, non portarono mai né ad antagonismi personali né alla frammentazione della filosofia analitica in scuole di pensiero in guerra tra di loro. Al contrario, il rispetto, creato da un profondo senso del debito che aveva con lui, che Quine ha mostrato per Camap, pur facendo del suo meglio per demolire alcune delle sue idee più care, è stato pari all'onore che giustamente gli riservano quelli che cercano di demolire alcune delle sue. Il rapporto tra Quine e David�son era particolarmente stretto e Davidson, che ancora oggi, a 83 anni, produce originali e provoca�torie idee filosofiche, ha ereditato da Quine la posizione di decano. Davidson ha riassunto la sua radicalizzazione dei dubbi di Quine sulla distinzione tra linguaggio e fatti dicendo che «abbiamo cancel�lato il confine tra conoscere un linguaggio e conoscere la nostra via nel mondo in senso generale... Io concludo che non esiste una cosa come un linguaggio, se un linguaggio è qualcosa di simile a ciò che molti filosofi e linguisti hanno ipotizzato. Non esiste per�ciò una cosa del genere da impara�re, padroneggiare o avere innata. Dobbiamo rinunciare all'idea di una strattura condivisa chiara�mente definita che gli utenti del linguaggio acquisiscono e via via applicano». L'iper-quineanesimo di David�son non solo offende Noam Chomsky (che lo considera un dogmatismo a priori, mostrando disprezzo per la linguistica empiri�ca) ma getta nella costemazione coloro che pensano che la filosofia analitica sarebbe finita se non potesse studiare proprio quel tipo di strutture linguistiche condivise chiaramente definite che David�son pensa non esistano. Questo iper-quineanesimo non è stato ben accolto "neppure dallo stesso Qui�ne. Quando Davidson sugger�di gettar via non solo la distinzione tra analisi e sintesi, ma ogni altro residuato dell'antica distinzione lockean-kantiana tra il guazzabu�glio disorganizzato fornito dai sen�si e la mente organizzatrice che trae un senso da quel guazzabu�glio, Quine s'impuntò. Nell'articolo «Sull'idea stessa di uno schema concettuale», scrit�to nel 1974, Davidson invitava a mettere da parte la distinzione tra concetti e dati sensoriali, come quella tra i nostri schemi concet�tuali e il mondo non concettualizzato al quale essi vengono applica�ti: «Il dualismo di schema e conte�nuto, di sistema organizzante e' qualcosa "che aspetta di essere organizzato, non può essere reso intelligibile e giustificabile. E' esso stesso un dogma dell'empirismo, il terzo dogma. Un terzo, e forse l'ultimo, perché se vi rinunciamo, allora non è chiaro se rimane ancora qualcosa di distinto da chiamare empirismo». Quine replicò, in un saggio che titolò «L'idea stessa di un terzo dogma», che l'empirismo è troppo importante per essere abbandona�to. Se l'empirismo sparisse, pensa�va Quine, sarebbe scomparso an�che il progetto di naturalizzare l'epistemologia mostrando come, gli esseri umani creino immagini sempre più accurate del mondo a partire dai modesti input fomiti dai loro organi sensoriali. La spe�ranza che Quine riponeva in quel progetto, e nella convergenza che ne sarebbe derivata di filosofia e ricerca empirica, poggiava sulla sua convinzione che il compito della filosofia è quello di servire da ancella delle scienze naturali. Agli occhi di Davidson invece le scienze dure non sono cosi specia�li: è meno sicuro di Quine che le affermazioni sulle particel�le elementari siano più strettamente corre�late alla realtà delle affermazioni sui valori morali e estetici. L'empiri�smo, se è solo il goffo tentativo di Locke di tro�vare una filoso�fia che mettes�se d'accordo i meccanismi corpuscolari di Boyle e Newton, può forse essere autorizzato ad avvizzire. Sei filosofi ana litici di domani smetteranno di segui�re le orme di Davidson e arriveranno a conveni�re con Putnam che lo scien�tismo ha avuto una cattiva influenza sul pensiero filoso fico del XX secolo, allora la filosofia analitica si sarà trasfor mata in qualcosa che Russell e Camap avrebbero difficoltà a rico�noscere. E' probabile che gli stori�ci della filosofia del '900 identifi�cheranno «Due dogmi» con l'inizio di quella trasformazione, ma forse penseranno che Quine fu riluttan�te a entrare su quel terreno che i suoi discepoli invece colonizzeran�no. Se accadesse una trasformazio�ne di questo genere, ci sarebbero alcune (pallide, per ammissione generale) possibilità di una fine del disaccordo ancora amaro e litigioso che divide i filosofi analiti�ci e non analitici sul molo culturaledella filosofia. E' tipico dei primi non riuscire a vedere l'interesse per Heidegger. I secondi, che anco�ra dominano la professione filosofi�ca nella maggior parte dei paesi non-anglofoni, pensano (come me) che da lui ci sia moltissimo da imparare. La maggior parte dei filosofi non analitici non considerano le scienze un modello adatto alla filosofia. Preferirebbero mantene�re la filosofia all'interno delle disci�pline urtianistiche. Sebbene non condividano il disprezzo di Heideg�ger per le scienze naturali, pensa�no che i loro colleghi analitici sopravvalutino la loro importanza. E'tipico dei filo�sofi esterri al�la tradizio�ne anali�tica passa�re più tempo a pensare alla storia delle idee che alle scienze naturali. Tra i loro libri preferiti ci sono ampi resoconti della storia del pensiero, dai greci ai giorni nostri. C'è, ad esempio, il tipo di storie raccontate da Hegel, Nietzsche (in «La nascita della tragedia»), Hei�degger, Hans Blumenberg e Jùrgen Habermas (in «Il discorso filo�sofico della modemità»). Leggere e scrivere questo genere di libri crea un'atmosfera intellettuale molto diversa da quella prodotta dallo studio di saggi argomentativi rela�tivamente brevi e concisi, del gene�re di quelli scritti da Quine, David�son, Putnam. I filosofi non analiti�ci apprezzano doti intellettuali come la risonanza storica e la visione sinottica tanto quanto l'acutezza delle argomentazioni. All'interno di una singola disciplina dovrebbe esserci spazio per entrambi i modi di pensare e di scrivere. Purtroppo invece molti filosofi anahtici provano ancora, nei confronti dei loro colleghi no�nanalitici, quegli stessi dubbi che negli Anni 30 Heidegger suscitava in Camap. Immaginano che i loro colleghi nonanalitici siano frivoli e irrazionali e si rifiutino di argo�mentare partendo da premesse chiare e arrivando a conclusioni altrettanto chiare. Molti filosofi non analitici ren�dono la pariglia con accuse ugual�mente infeUci di scolasticismo de�cadente. Essi vedono i problemi cui i filosofi anahtici sostengono di offrire soluzioni come fragili ma�nufatti, periodicamente scartati e sostituiti quando le fameliche ge�nerazioni analitiche si combatto�no tra di loro. I non-anglofoni che si danno la pena di familiarizzare con la tradizione anahtica a volte dicono sogghignando che i filosofi di lingua inglese hanno passato i cinquant'anni antecedenti «Due dogmi» a scalare un cumulo di terra sopra una tana di talpa e i successivi cinquanta a scenderlo. Questi lazzi sono incauti tanto quanto quelli dei filosofi analitici. I critici non si rendono conto che Quine ha spalancato una porta su un mondo di idee molto più ampie. Asserendo che la filosofia può restare fedele allo spirito e ai risultati della scienza modema e ripudiando il dualismo ereditato da Platone, Aristotele, Hume eKant ha aperto nuovi sentieri filosofici, ha condotto i suoi stu�denti in luoghi che nessuno imma�ginava esistessero. Anche se l'im�portanza di «Due dogmi» non sarà mai immediatamente evidente ai profani (come la «Critica della ragion pura» di Kant), chi ha fatto le letture necessarie a comprende�re le idee che Quine combatteva, resterà a bocca aperta davanti alla potenza della sua immaginazione magnificamente iconoclasta. La filosofia avanza, ma non in linea retta. Procede piuttosto sob�balzando contemporaneamente su diversi fronti. Ogni iniziativa ha bisogno di tempo per consolidarsi e di ancor più tempo per integrarsi con altre iniziative. Noi filosofi stiamo ancora riflettendo non sol�tanto sulla morale da trarre da «Due dogmi», ma sulle lezioni 'da imparare dalla «Fenomenologia dello spirito» di Hegel. Io non penso (e qui sono in disaccordo con molti dei miei colle�ghi filosofi) che il progresso-consi�sta in un esame attento e rigoroso delle implicazioni di argomentazio�ni altemative. Può esserlo occasio�nalmente, ma più spesso nasce da qualcuno come Quine, che ricono�sce ciò che Hegel avrebbe chiama�to l'implicita contraddizione che sta nel cuore del sapere convenzio�nale, immaginando come appari�rebbero le cose se una distinzione che è arrivata a sembrare intuitiva e di buon senso venisse messa da parte e poi buttando tutto giù dal tavolo. «Due dogmi», come ho detto prima, mostra grande abilità argomentativa e, ancor più, gran�de forza immaginativa. , Questo tipo di forza, il più raro dei doni dell'intelletto, si trova sia in filosofi anahtici come Wittgen�stein, Quine, Wilfrid Sellare e Davi�dson, sia in filosofi nonanahtici come Nietzsche, Henri Bergson, Heidegger e Jacques Derrida. Ciò che queste figure hanno in comu�ne la capacità di immaginare altemative che nessun altro ha colto è molto più importante di qualunque differenza fra di loro. Cos�(per trarre una conclusione alla quale Quine probabilmente si sarebbe opposto con tutte le sue forze) sarebbe una buona cosa se gli studenti di filosofia di tutto il mondo venissero incoraggiati a studiare entrambi i tipi di filosofia del XX secolo. copyright The Chronicle ofHigher Education traduzione di Marina Verna IL DECANO DEI FILOSOFI AMERICANI SCOMPARSO A 92 ANNI HA APERTO NUOVI SENTIERI, CON GRANDE IMMAGINAZIONE: PERCHE' LA FILOSOFIA AVANZA, MA NON IN LINEA RETTA LA RICERCA DEL PENSIERO PUÒ' RESTARE FEDELE ALLO SPIRITO E Al RISULTATI DELLA SCIENZA MODERNA: NON CI SERVE IL DUALISMO DI PLATONE E KANT ulle particel�ano più orre�delle sui e ri� il vo ���i na mani segui�avidson a conveni�che lo scien� una cattiva ensiero filoso ecolo, allora la ca si sarà trasfor osa che Russell e ero difficoltà a rico�babile che gli stori�sofi esterri al�la tradizio�ne anali�tica passa�re più tempo a

Luoghi citati: Carnap