Sei frammenlì per tre omicidi di F. Poi.

Sei frammenl�per tre omicidi I TtóT DEL PERITO BALISTICO Sei frammenti per tre omicidi Inviato a PADOVA Tratta i proiettili come se fossero impronte cBgitali, dove al posto di un uomo c'è la pistola impugnata. Tratta i proiettili guardandoli a due a due, a tre a tre e anche di più, con un macrocomparatore elettronico che s'è costruito da solo, l'unico in Italia, insieme ad un ingegnere che collabora con lui da anni. Senza muoversi dal suo ufficio all'Istituto di Balistica Forense dell'Università di Genova, il professor Luciano Cavenago ha risolto decine di omicidi. Ha visto i proiettili che hanno ammazzato gente qualunque, magistrati e politici finiti nel mirino del terrorismo e pure Marta Russo. Adesso sul suo tavolo ci sono sei frammenti di proiettili, calibro 7 e 66 e calibro 32. Sono quelli con cui sono stati ammazzati a Padova il netturbino Furio Dubrini, il tassista Pierpaolo Lissandron e l'immobiliarista Walter Boscolo. Negli ultimi due casi si sa già che sono stati sparati con la stessa arma. Per dire-l'ultima parola sul netturbino, aspetta di eseguire le prove di sparo su una delle tre pistole sequestrate nel garage di Michele Profeta, quello che negli annunci che dettava alla polizia si faceva chiamare il tornitore. E invece era solo un assassino due volte. Se non tre, manca ancora l'ultima parola. La certezza matematica. Quella che è stata chiesta al professor Cavenago, che in settimana avrà le tre pistole sequestrate a Michele Profeta nel suo garage di Mestre. Anche se è domenica il professor Cavenago lavora nel suo laboratorio. Al telefono, è gentile ma inflessibile: «Ho già comunicato ai magistrati i pruni risultati del mio lavoro, nei prossimi giorni presenterò una prima relazione. Naturalmente non posso dire nulla. E' un caso dehcato, più che proiettili sono rimasti dei frammenti...». Non lo dice, ma lo sanno tutti che gli basteranno. E' un pò come le impronte digitali. In Italia basta che una comparazione dia 17 punti di contatto, per dare un nome e cognome a chi ha lasciato la sua firma dattiloscopica. Negli Stati Uniti ne chiedono 21. A un perito balistico in Italia, nemmeno uno: «Ho inventato una scala di valori. Più punti di ' contatto ci sono meglio è, l'esito della perizia è più affidabile. Quanti punti ci vogliono? Non lo dico». Si sa che a uno come al professor Luciano Cavenago basta lavorare su un frammento di proiettile che abbia almeno il 5007o di superficie comparabile. Che fanno un niente di grammi di piombo e poco più di un niente di micron: «La comparazione balistica non dà mai rimltati certi al mille per mille. Ci vorrebbero dei proiettili perfettamente integri». Quelli li ottiene quando è lui a sparare. Trovano delle armi da analizzare e gliele portano nel suo laboratorio. Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa gli mandava le mitragliette dei terroristi. L'allora procuratore capo di Palermo Giancarlo Caselli, quelle dei mafiosi. Il pubblico ministero di Padova, Paolo Luca, quelle trovate a Michele Profeta: il ferro vecchio che non ammazza più nessuno, la calibro 6 regolarmente denunciata che non sembra c'entrare mente. E poi quella copia artigianale di una Smith SWesson a tamburo a sei colpi, un'arma artigianale calibro 32. Quella che il professor Cavenago impugnerà come ba fatto mille volte, sparando in un tunnel dove i proiettili non si deformano. Lasciano la firma, che poi è la rigatura della canna impressa sul proiettile. Indelebile più di un'impronta digitale. Risolutiva se non più, almeno quanto l'analisi sul normografo, sulla carta usata per i messaggi, sulla saliva di chi ha inviato le lettere chiedendo 12 miliardi e non si sa ancora perchè. [f. poi.]

Luoghi citati: Genova, Italia, Padova, Stati Uniti