KABUL il potere dei fantasmi

KABUL il potere dei fantasmi Reportage dalla capitale dell'Afghanistan: tra le macerie della guerra, spie, terroristi, guardie islamiche KABUL il potere dei fantasmi Glulietto Chiesa KABUL L5 IMMENSA conca, un crate�re lunare di 100 chilometri di diametro, a 1800 metri di altezza, è coperta di neve. Attorno, vette limpide innevate si innalzano oltre i 3 mila metri. L'aereo delle Nazioni Unite, un piccolo bimotore, scende veloce sulla pista nera scava�ta tra due onde bianche di ghiaccio. Ricordo altri atterraggi su questa pista, a bordo di Tupolev e Hjushin partiti da Dushanbè o Tashkent. Gli aerei sovietici arrivavano allo�ra altissimi sulla conca lontano, all'orizzonte, le vette dell'Indukush e quelle deU'Himalaja e poi scende�vano, velocissimi da togliere il fiato, in cerchi verticali stretti per tenersi lontani dai fianchi delle montagne, da dove poteva partire a ogni istante uno Stinger made in Usa. Il cielo, dietro e sotto le ali, era una fantasmagoria di coriandoli cal�di e luminosi, traiettorie preziose per stornare i missili, fuochi d'artifi�cio dettati dalla paura che attana�gliava tutti, equipaggi e passeggeri. Adesso niente cerchi concentrici, niente razzi termici. La guerra sem�bra lontana, assente. Ma i giornali di Islamabad, da cui siamo partiti, descrivono anzi qualcosa di peggio di una guerra: una catastrofe umani�taria cos�enorme da rendere inevita�bile chiedersi com'è possibile che non ne sapessimo nulla. Che razza di villaggio globale è quello in cui viviamo? «Ehi, buongiorno cari passeggeri! Ma, in confidenza, che ci andate a fare in quell'inferno?». Lo spiritoso pilota danese del bimotore dell'Onu aveva salutato cos�gli otto passegge�ri, tra cui due giornalisti e gb altri, tutti membri di organizzazioni umanitarie e funzionari di agenzie delle Nazioni Unite. Domanda legittima. Le agenzie dell'Onu lanciano appelli a donatori sempre più avari e insensibili, ma non è affatto chiaro come vengono spesi i pochi denari che arrivano. A Islamabad sono ancora concentrate tutte le organizzazioni umanitarie per l'Afghanistan. Molto strano. Tutti sanno che i più ostina�ti, insistenti attacchi alla sovranità e alla pace dell'Afghanistan sono ve�nuti e vengono da influenti circoli politici ed economici pakistani. Non sarebbe tempo di rivedere questa situazione? L'aeroporto di Kabul è ormai un cimitero di carcasse di aerei. Sulle piazzole due Antonov della Ariana Airlines ricoperti di teli, ancora in funzione per radi e autorevoli voli intemi. Le guardie di frontiera non hanno divise, si ri�conoscono dai tur�banti neri. Scruta�no sospettosi passa�porti e visti, senza sorrisi. Gli stranieri nor suscitano entu�siasmo, sono intru�si di cui si farebbe volentieri a meno. Sulla pista, accom�pagnati da un rumo�re assordante, sbu�cati da chissà quale hangar, sfrecciano uno dopo l'altro dueMig21. Obiettivo Ahmad Masud, l'unico rimasto a contrastare gli «studenti pii» ancora circondati di mistero. Come il loro capo, il maulvi Mohammad Omar, che se ne sta gran parte del tempo a Kandahar e che si dice abbia perduto l'occhio destro com�battendo contro i sovietici quando militava nel partito Hezb-i-Islami di Junus Khales, una delle sette fazioni dei mujaheddin che ora gli sono nemiche. Di Mohammad Omar si sa quasi nulla. Non è mai stato intervi�stato da un occidentale, non ci sono fotografie che lo ritraggano. Della shura, o Consiglio, che governa Ka�bul l'età media è di circa 35 anni. Si è detto e scritto che erano capi di moltitudini emerse e formate dalle poverissime madrassas, le scuole religiose islamiche fiorite in Il regime di gche pocMa la pin paliod Pakistan tra i profughi poshtun af�ghani e tra ipashtun che il destino (e la linea Durand dei colonialisti ingle�si) vollero restassero nei confini poi divenuti pakistani. Ma restano trop�pe cose da spiegare. C'è più di un sospetto che, dietro le mitologie create attorno ai taleban vi sia an�che, se non soprattutto, la concretis�sima azione di finanziamento e istru�zione attuata dal Corpo di Frontiera e dai distaccamenti scelti di com�mandos dell'esercito pakistano, sot�to la supervisione del generale Naseerullah Babar, ex ministro dell'Inter�no di Benazir Bhutto. Ma ora, passato il tempo, molte cose si sono sedimentate. Quel dise�gno di assoggettare l'Afghanistan sotto protettorato pakistano risul�ta al tempo stesso sbiadito e pericolo�so. Quei trentenni si stanno rivelan�do non all'altezza dei compiti loro assegnati. Infatti non riescono a unificare il Paese, a riportare la pace, a cominciare una qualche rina�scita. Così, chiusi in angolo, minac�ciano di diventare scomodi anche per i loro mentori. La tremenda crisi afghana rischia di debordare in Paki�stan, come un boomerang. Osama bin Laden, ex agente della Cia, di�chiara gueira agli Stati Uniti dal territorio dell'Afghanistan. Delta Oil, Unocal e altri giganti petroliferi statunitensi, che hanno tenuto bor�done, forse non gradiscono. Dentro il territorio afghano si addestrano a future diversioni (o come merce di scambio per futuri negoziati) gruppi guerrigUeri desti�nati a coinvolgere le radici islami�che in Tagikistan, Uzbekistan, Kirghizia, Cina. Kabul pullula di strani arabi, di ceceni mascherati da arabi, di tagiki mascherati da taleban. Sia Hezb-i-Takhrir (partito islamico di liberazione) della Kirghizia, sia il Movimento Islamico di Uzbekistan, entrambi illegali in patria, trovano aiuto e rifugio nell'Afghanistan. Gb interessi petroliferi occidentali, che puntano ad aprire il passaggio, attra�verso l'Afghanistan e il Paldstan, delle risorse energetiche del Mar Caspio, bypassando la Russia e l'Iran, non sono ancora stati soddi�sfatti. L'immensa partita per il con�trollo delle vie della droga, che si incrociano in Afghanistan, è ancora tutta aperta e vale 30 miliardi di dollari l'anno. Faccio un giro per le vie di Kabul, dal centro fino al palazzo reale di Darulaman, poi ungo la via Maiwand, un tempo perla dei ricchi commerci di tutta l'Asia centrale, fino al Forte di Baia Hissar: sono tutti ex luoghi, che conservano soltanto il loro nome. Paesaggi lunari di una città distrut�ta. Dall'ottobre 1996, quando vi giunsi, meno d'un mese dopo la vittoria dei taleban sul dilaniato govemo di Rabbani, non è cambiato nulla, non una casa è stata ricostrui�ta, non una strada asfaltata. Eppure nel frattempo, almeno a Kabul, non si è combattuto. Tutto è immobile. Anche l'andiri�vieni caotico e rumoroso della Maiwand, ora divenuta grande po�steggio per autobus e camion, tra le macerie dei negozi di tappeti, dei caffè di un tempo, appare piuttosto come un regresso ai traffici medieva�li di scambio delle merci. Non esisto�no più (o forse si sono rintanati altrove) i ricchi cambiavalute, simili agli antichi banchieri genovesi, do�ve si poteva spendere perfino in tempi sovietici un assegno carta�ceo, in lire, di una banca italiana. Ricostruire è difficile anche per chi volesse provarci. Non c'è più una fabbrica di cemento, né esisto�no materiali per l'edilizia diversi da quelli importati. Non c'è più nemme�no la grande fabbrica del pane, costruita da Daud prima che arrivas�sero i sovietici. Le uniche divise che ancora si vedono sono quelle dei rari vigili urbani agli incroci principali ormai orfani di semafori; vecchi questuanti barbuti, con i loro fischietti afoni, in attesa di qualche mancia. Le altre divise sono quelle del tristissimo esercito dei burqa: cap�puccio che nasconde le donne da capo a piedi, per legge. Allo stadio, quasi ogni venerdì, si mozzano mani e dita e si frustano in pubblico i violatori delle leggi coraniche nell'interpretazione taleban. Ma qui la differenza tra Kabul e Rijad è minima, sebbene l'Arabia Saudita goda di ampie relazioni con tutto il nostro Occidente cos�attento ai diritti umani. Gli «studenti pii» sono il nuovo esercito, con i loro turbanti bianchi o neri. Sono tanti, gli unici cui è permesso portare armi. Stazionano dappertutto, silenziosi e spavaldi, pattugliano le strade dentro macchi�ne civili senza contrassegni, le pun�te dei kalashnikov che emergono dai finestrini. A pranzo, in uno dei pochissimi ristoranti ancora degni di questo nome, dopo essere transita�ti tra due ali di bambini e di burqa questuanti, il proprietario si ricorda e scongiura di uscire in fretta prima dell'ora della preghiera. Pri�ma cioè dell'arrivo della speciale milizia del ministero della Virtù, a verificare che l'esercizio sia chiuso. I taleban hon hanno letto Orwell e non gliene importerebbe anche se sapessero che è esistito. Ma credo di capire, anche da questi piccoli detta�gli, perché i profughi aumentino invece che diminuire, pure in assen�za di operazioni belliche di grande portata. E non solo perché vanno in cerca di maggiore libertà. In queste condizioni l'Afghanistan non potrà risollevarsi, nemmeno mangiare. II pilota aveva ragione: questo è un inferno. Creato da un destino infelice, che ha messo l'Afghanistan in un crocevia dove si intersecano troppi interessi. Da Karmal, creata dai sovietici, fino a Omar, creata da americani, sauditi e pakistani, conti�nua l'antico gioco che da queste parti ricordano come buzkashi. Lo si gioca fin dai tempi di Genghiz Khan, non c'è limite al numero dei giocato�ri e si può entrare in gioco in qualsiasi momento. Si puntavano gli schiavi e i giocatori erano gueirieri a cavallo che potevano ucciderli sotto i loro zoccoli. Quelli che resta�vano vivi erano la posta. L'Afghani�stan è la posta, non importa se vivo o morto, in questo buzìcashi a caval�lo tra due secoli. [L'articolo precedente è stato pubblicato il 16 febbraio] Il regime è in mano a un gruppo di giovani «studenti di Dio» che pochi hanno visto in faccia Ma la partita è ancora aperta: in palio c'è il controllo delle vie della droga e del petrolio Vita quotidiana fra le macerie di Kabul; la capitale dell'Afghanistan è stata conquistata dai taleban nella notte tra il 26 e il 27 settembre 1996