I Builders del'900La squadra dei costruttori

I Builders del'900La squadra dei costruttori I Builders del'900La squadra dei costruttori n.tmmmo M'arco Rosei PER un'impresa storica e criti�ca di ampio respiro intema�zionale come questo Diziona�rio dell'architettura del XX secolo (I, A-B, Allemandi, pp. 361, L. 220.000) i dati numerici e stati�stici non sono un elemento estrin�seco al suo contenuto e significato. Quando sarà pubblicato entro i primi mesi dell'anno il quinto volu�me, le 2700 pagine complessive comprenderanno circa 50C0 illu�strazioni e 2300 voci di circa 600 collaboratori, scel�ti con una visione globale fra docenti e operatori di ogni Paese: dallo «stu�dio» di Alvar Aalto, della prima mo�glie Alno Marsio, disegnatrice di in�terni e ammini�stratore della Artek per la produzio�ne e diffusione de�gli oggetti di desi�gn Aalto, e della seconda moglie Elissa Màrkiniemi, continuatrice dello studio, all'ar�chitetto svizzero della seconda me�tà del secolo Jakob Zweifel. Il significato, il metodo, la finalità dell'operazione sono proposti dall'introduzione del coordinatore Carlo Olmo con una chiarezza talora polemica e comunque non conformista: «Quella che emerge è una possibile biografia collettiva di quanti han�no costruito un ambiente sempre più antropizzato e artificiale, co�me quello che caratterizza il XX secolo», elaborata da storici di una generazione in cui è prevalsa una considerazione più culturale che non puramente formale-strutcurale dell'architettura. Ne sono sog�getti «i builders nel senso più ampio», architetti e ingegneri, co�struttori e urbanisti, industriai designer e anche storici e teorici degli scenari ma anche degli imma�ginari urbani e ambientah. «L'architettura di cui si vuole rendere conto è anche quella delle copie, delle repliche, dei modelli, delle translitterazioni, come pure di tradizioni costruttive autocto�ne, divenute affermazioni di diver�sità, forme di resistenza all'omolo�gazione portata da diversi e com�plessi internazionalismi». Dunque non solo le grandi individualità dei «maestri» e dei prota�gonisti ma anche i maggiori e minori collettivi di architetti e di design e i grandi studi intemazio�nali di progettazione e di «enginee�ring»; non solo e non tanto l'egemo�nia, fino alla crisi nella seconda metà del secolo, del «movimento moderno» dell'/ntemational Style, statuita dai grandi testi storici o ideologici, da Pevsner e Giedion a Zevi, Benevolo, Hitchcock, ma l'estrema ricchezza e varietà della continua dialettica intemazionale e nazionale mondiale lungo il seco�lo, l'intrecciarsi e il contrapporsi delle linee e delle ideologie e dei simboli e dei rapporti con le socie�tà e i poteri nazionaU e transnazio�nali, tanto più evidente nel «melting pot» culturale degli ultimi decenni del secolo. All'uniformazione e alla selezio�ne prescrittiva anche del panora�ma fotoiconografico e grafico che caratterizza i testi maggiori e più diffusi e parallelamente anche le maggiori riviste intemazionali di architettura, potente mezzo di trasmissione e di diffusione di model�li globalizzati tipico del secolo (quante sono state le immagini anche a livello quotidiano del Gug�genheim di Bilbao?), il dizionario contrappone mio splendido e varie�gato e innovato ecumenismo nello spazio e nel tempo: se la sovracco�perta del primo volume propone la fronte dell'AEG di Behrens, la se�conda illustra un particolare della Scuola di Architettura di Ahmeda�bad dell'indiano Balkrishna Vithal�das Doshi, allievo di Le Corbusier. Tutto ciò è evidente già ad apertura del primo volume, grazie anche alle leggi non controllabili e non ideologizzabili dell'ordine alfa�betico (avendo s'intende a monte le scelte delle voci): ho già detto dello «studio» Aalto, ovviamente fra le grandi voci; lo seguono con media dimensione il cairota oggi sessantenne Abdelhalim Ibrahim Abdelhalim, anche teorico di un modello progettuale «in progress» ed elastico rispettoso delle caratte�ristiche ambientah e della tradizio�ne ' architettùiiica nazionale del luogo, applicato nel parco didatti�co per bambini nel Cairo del 1992, e la figura egemonica dell'urbani�stica progressista inglese della pri�ma metà del secolo, dalle cittàgiardino alla ricostruzione postbel�lica del London County Council, sir Patrick Abercrombie, E nei lemmi maggiori del volu�me, ad Albini, Asplund, BBPR, Behrens, Berìage, Bottoni si affian�cano il sessantenne giapponese di punta Tadao Ando, il messicano protagonista lungo il secolo Luis Barragàn, il «decostruttivista» te�desco nella seconda metà del seco�lo Giinter Behnisch, il ticinese Mario Botta aUievo di Scarpa, il fondamentale brasiliano Roberto Burle Marx; ma anche il colossale studio di «engineering» OAP, Ove Arup and Partners, con 49 sedi in 17 Paesi, con opere dai Lloyd's di Londra del 1977-86, con un nuovo «Crystal Palace» arrampicato in cima al colossale edificio scalare, all'Opera House di Sydney proget�tata da Utzon. IL PERSONAGGIO Mario Fazio DE Carlo, architetto anti�divo e libertario. È un mito per tanti studenti e architetti d'Europa e d'America. Ha insegnato a Yale, al MIT di Cambridge-Bo�ston (che pubblicò il suo Piano di Urbino), all'Università del�la California. Ha ricevuto dal�la regina Elisabetta la «Gold Medal» che distingue i grandi dell'architettura. Persino i col�leghi più gelosi parlano di lui con ammirazione e rispetto. Eppure Giancarlo De Carlo è solitario, isolato nel tempo delle opere spettacolari e del divismo. Non lo inseguono i fotografi benché sia fotogeni�co, né i giornalisti benché abbia la rara dote di parlare chiaro, a volte in polemica con gli accademici e critici «che fanno elucubrazioni di archi�tettura verbale» usando un linguaggio «colpevolmente in�comprensibile, un imbroglio premeditato». De Carlo diceva queste cose già negli Anni Cinquanta. Fu tra i primi a reagire al manieri�smo che traeva linfa dalla crisi del Movimento Moderno in Architettura. Fu tra i fonda�tori dei nuovi movimenti, co�me il Team X. Mai confuso con gli architetti che creano opere gigantesche e monumenti a se stessi, perché crede nella pro�fessione al servizio della comu�nità in armonia e non in contrasto col suo modo di sentirsi un po' anarchico, sul filo della corrente culturale che si rifa a Kropotkin ma anche agli utopisti inglesi, ai maestri anglosassoni come Geddes e Mumford. Forse questo alone di intel�lettuale libertario convinto che l'architettura sia «troppo importante per lasciarla ai soli architetti» (le sue amicizie con Vittorini, Sereni, Fortini) e dichiaratamente fuori degli schemi convenzionali, lo ha reso sgradito a tanti sindaci e committenti pubblici, compre�si quelli che oggi corteggiano i Giancarlo De Carlo, un mito, ma anche il più antidivo e libertario degli architetti Italiani: ha insegnato a Yale, al Mit e all'Università della California progettisti-divi. «Vivo a Mila�no dal 1937 ma in questa città, che è diventata la mia, non mi hanno fatto costruire neppure un canile». Fu grazie a un intellettuale, Carlo Bo, che Urbino gli apr�le porte e divenne la sua città di elezio�ne, dove ha lavorato dal 1958 ad oggi. «Conversazioni con Giancar�lo De Carlo, architettura e libertà» (edizioni Eleuthera, pp. 222, L. 27.000) è il titolo del libro di un suo ex allievo. Franco Buncuga. Non una rassegna di opere con lussuose illustrazioni (me�morabili le diverse sedi univer�sitarie a Urbino, il quartiere popolare Matteotti a Terni, le residenze a Mazzorbo nella Laguna "di Venezia, il «borgo cablato» di Colletta di Castelbianco, i numerosi piani urba�nistici) ma il racconto di una vita intensa. Nato a Genova, scuole me�die in Tunisia, breve esperien�za all'Accademia di Livorno, ufficiale in Grecia, ritomo in patria e primi passi nel movi�mento clandestino antifasci�sta a Milano. Dopo l'otto settembre l'ini�zio dell'attività nella Resisten�za insieme a Giuseppe Pagano (poi arrestato dalla banda Koch e morto a Mauthausen). Fa parte delle Sap (squadre d'azio�ne patriottica), organizza e prende parte a molti «colpi». «Cos�venivano chiamati. Credo di aver spesso rischiato stupidamente la vita. Ma non ho ucciso nessuno. Oggi mi peserebbe moltissimo». Dalle conversazioni sugli anni della Resistenza affiora�no contrasti nei rapporti con i comunisti del Cln, dovuti in parte a illusioni giovanili co�me quelle di rinnovare il mon�do anche facendo lezione su Le Corbusier e Picasso negli accampamenti dei partigiani. Quegli anni sono illuminati dall'incontro con Giuliana, poi diventata la moglie di De Car�lo. «Intelligente, sensibile, bel�lissima. È lei il genio della nostra famiglia, io le debbo quasi tutto quel che di buono sono riuscito a fare». È piuttosto raro leggere con�fidenze e riconoscimenti di questo tenore; ancora una vol�ta si rivela la ricchezza del personaggio, il suo bisogno di aprirsi in contrasto con 1 appa�rente rudezza. Posso dirlo gra�zie a un'amicizia che dura da decenni. Lo conobbi al tempo degli «Amici di Bocca di Magra», il gruppo di intellettuali e scrit�tori di cui faceva parte con Giulio Einaudi, in lotta contro la lottizzazione che minaccia�va di snaturare quei luoghi. Fu immediata la simpatia per quel giovane architetto che difendeva il paesaggio combat�tendo i costruttori. Dal Guggenheim di Bilbao ai giardini del Cairo, dall'AEG di Behrens alla Scuola di Ahmedabad dell'indiano Balkrishna Vithaldas Doshi Il De Carlo che insegnava Le Corbusier ai partigiani Sta uscendo «li Dizionario dell'Architettura del XX secolo», un'impresa storica e critica di ampio respiro internazionale. Tra breve si arriverà al quinto volume: saranno 2700 le pagine complessive con 5000 illustrazioni e 2300 voci di circa 600 collaboratori pgpe 2300 voci di circa 600 collaboratori Alvar Aalto e Le Corbusier Ibi