Sfila la santa a cui il proconsole recise il seno

Sfila la santa a cui il proconsole recise il seno DA OGGI A LUNEDI', TRE GIORNI DI PROCESSIONI NEL CENTRO DI CATANIA Sfila la santa a cui il proconsole recise il seno WEEKEND Finetta Guerrera NELLA notte la Santa avanza lentissima, sospesa sul bruli�chìo della folla. Sulla «vara» dorata la portantina gremi�ta di garofani e illuminata dai ceri che nulle mani protendono accesi il suo volto di bambina è illuminato da un sorriso non privo di una certa malizia. Il petto della Santa, Agata il suo nome o Sant'Aituzza come ama chiamarla il popolino dei vico�li di Catania, un tempo oggetto di desiderio e di vilipendio, rifulge ora di gemme che la devozione popola�re ha fittamente appuntato a forma�re una veste di abbagliante splendo�re e spagnolesco fasto. Ed è dal tremolìo liquido le sfaccettature delle pietre preziose che solo si può intuire l'annacata, ossia l'im�percettibile oscillazione, l'ondeggia�mento infinitesimo del corteo che tuttavia lentamente procede. Grande festa, quella della San�tuzza catanese, la quindicenne ver�gine cristiana del VI secolo che l'agiografia secentesca rielaborata da una pluralità di narrazioni di natura popolare vuole di straordi�naria bellezza e perciò concupita da Quinziano, proconsole romano della città. Agata lo respinse prefe�rendo andare incontro alla tortura l'atroce estirpazione delle mam�melle e poi al martirio, che per lei fu un letto di carboni ardenti. E dice ancora la voce popolare che il fuoco non riusc�a distruggerne le fattezze, né il velo che ancora si conserva, mentre la terra tremava e la città insorgeva contro Quinzia�no che, datosi alla fuga, finirà per morire affogato nel vicino fiume Simeto. Da allora ogni anno nei giorni del suo martirio, dal 3 al 5 febbraio, Sant'Agata ritorna fra i suoi concit�tadini che l'accolgono con questa festa spettacolare e picaresca, lut�tuosa e tragica che è la rievocazio�ne di quello che secoli addietro fu il suo funerale e che ora assume invece i connotati di un trionfo: per questo si continua a chiamare «va�ra», bara, la portantina che la sor�regge e di bianco, l'antico colore del lutto, sono ancora vestiti i devoti che a mezzo di gigantesche funi la trascinano, in un corteo funerario lungo tre giorni e tre interminabili notti. Soprattutto quelle del 4 e del 5 quando Agata scende in strada per riappropriarsi del suo territorio: il 4 il giro estemo, costeggiando l'anfi�teatro romano di piazza Stesicoro con fermate strategiche sui luoghi del martirio su per la Salita dei Cappuccini dove ora sorgono le chiese di San Biagio, quella di Sant'Agata al Carcere e di Sant'Aga�ta la Vetere; infine, attraverso la rutilante e picaresca via del Plebi�scito giù fino alla Pescheria e alla Calata della Marina, con i fuochi alla Civita, l'antica civitas: e la tradizione vuole che, al passaggio, il volto della Santa si sbianchi e si addolori al ricordo delle pene su�bite e per questo quel giorno l'ad�dobbo di fiori sulla «vara» sarà rosso in ricordo del suo sangue versato. Il 5 il giro intemo per celebrare la sua verginità e perciò con i fiori rigorosamente bianchi e il passaggio lentissimo attraverso il salotto buono di Catania, la famosa via Etnea di Vitaliano Brancati con l'omaggio dei nobili e delle Confra�ternite e, a notte fonda, la spettaco�lare e ripidissima salita del Marche�se di Sangiuliano quando i portato�ri stremati prendono l'ultima rin�corsa e trascinano in cima la Santa quasi per sottrarla alle Istituzioni al clero, alle autorità e tenerla ancora un poco con sé. Per affer�marne il possesso; per postergare, dopo il delirio infinito di invocazio�ni, di fuochi e di cera, quell'ultimo atto che il cerimoniale prevede: il rientro di Agata nel suo sepolcro, nella cella che la custodirà in Catte�drale per altri lunghi dodici mesi. E perciò di anno in anno la processione sempre più si fa lenta, . il ritardo si somma al ritardo e la riconsegna di Agata fra gli scoppi pirotecnici la muschittaria che incendiano il cielo, avviene sempre più tardi e travalica al mattino del giorno successivo quando la città si è svegliata, i mercati si animano e una nuova giomata di lavoro è già cominciata. Ed è in questo che la festa catanese differisce da tutte le altre nel mondo: perché, nell'imma�ginazione popolare, non è un simu�lacro che si porta in giro, ma Sant'Agata stessa che, rediviva, tor�na a visitare i luoghi della sua fanciullezza, la sua città, la sua gente. E perciò nessuno, che non sia ammalato o moribondo in quei giorni resterà a casa: usciranno tutti ad incontrarla, giovani e anzia�ni, ricchi e poveri, giornalisti, curio�si e turisti in un tripudio sacro e profano di voci, colori, richiami di venditori che calia e simenza gridano che sono ceci e semi di zucca arrostiti, o zucchero filato che si avvolge in nuvole vaporose e si dissolve subito in un appiccicume stucchevole. Sacro e profano che si fondono e si confondono nel tumulto, nelle lacrime, nelle invo�cazioni gridate come nelle saelas sivigliane: «Dicimuccillu quantu a vulemu bene», o «Taliàtila quant'è bedda, avi du' occhi ca parunu stiddi». Suppliche ingenue, appas�sionata contemplazione e atti sacri�ficali di una città che esibisce nel millenario coacervo di stratificate liturgie, pratiche devote e culti ancestrali la propria anima popo�laresca e aristocratica. La bellissima Agata, vergine cristiana che rifiutò le sue grazie al dux romano e fu martirizzata sui carboni ardenti Sant'Agata in processione

Persone citate: Catte, Civita, Guerrera, Sangiuliano, Vitaliano Brancati

Luoghi citati: Catania, Marche, San Biagio, Sant'agata