Lo Yankee e il Dandy di Franco Lucentini

Lo Yankee e il Dandy Lo Yankee e il Dandy yCosa hanno in comune Stephen King e Landolfi? Il mistero della scrittura Carlo Frutterò Franco Lucentini NELLO stesso giorno due diversi corrieri-espresso parcheggiano alla megbo davanti ai nostri portoni, suonano imperiosi, ci consegna�no due libri che più dissimili non potrebbero essere. Sono anzitutto divisi dall'età, uno fu scritto nel 1953, l'altro è del 2000, quasi mezzo secolo dopo. Del primo. La Mère du pecheur (pp. 161, L. 28.000) è auto�re l'italiano Tom�maso Landolfi, di cui la casa edi�trice Adelphi, si�nonimo ormai di raffinatezza pe�rentoriamente sistematrice, varistampando tutta l'opera. Il secondo ce lo invia in omag�gio l'editore SperlingfrKupfer, si intitola On writing (Subo scrive�re), e ne è autore la star del suo catalogo, Ste�phen King (pp. 302, L. 32.900). Che c'entrano l'uno con l'altro Landolfi e King? Assolutamente niente, di�rebbe il razzista. Eppure la coincidenza del loro arrivo in casa nostra è troppo bizzarra per non indurci in tentazione. Dopo tutto si tratta di due scritti in prima persona: ((Auto�biografia di un mestiere», è il sottotitolo scelto da King; men�tre Landolfi definisce il suo «una specie di diario». Cos�proviamo a leggerli in parallelo, a sere alterne e la distanza fra i due si conferma siderale. Landolfi appartiene al�la piccola nobiltà di provincia, cresce in un chiuso ambiente leopardiano, si muove tra il palazzetto avito, Firenze, Sanre�mo, Parigi, entra pigramente nella ristretta cerchia dei lette�rati itabani fra le due guerre, pubbbea poco sulle poche rivi�ste ebtarie dell'epoca. King viene su senza padre, con ima madre faticatrice che accetta umilissimi lavori ora in questa ora in quella sperduta cittadina americana. Vive in roulottes o in casa di parenti o in catapecchie sgangherate a fitto bassissimo. I suoi primi precoci contatti col mondo del�l'editoria riguardano le riviste pulp di fantasy, horror, fanta�scienza, cui invia raccontimi per lo più respinti. Scrive mol�tissimo, mentre Landolfi è in perenne crisi creativa, esita, si blocca, non crede in quello che fa, è sempre sul punto di lasciar perdere: «Sono stanco anche di questa mia scrittura, giacché stile non si vuol chiamare, falsa�mente classicheggiante, falsa�mente nervosa, falsamente so�stenuta, falsamente abbandona�ta, e giù con tutte le altre falsità... Per forza, la mia scrit�tura è falsa: falsi e retorici sono in gran parte i sentimenti che esprime». L'americano, al contrario, sguaina la spada: «L'onestà nel raccontare compensa moltissimi difetti stilistici mentre men�tire è il peccato irreparabbe in assoluto». Landolfi racconta due episo�di drammatici che mettono ad�dirittura a rischio la sua vita nella tetra provincia dove nuoticchia giorno dopo tedioso gior�no, e poi rivela sotto i baffi: «Invero queste due ultime gior�nate sono inventate di sana pianta». Autobiografia? Diario? Ma quando mai. «Come preoc�cupante, faticosa, minacciosa è la realtà; come è meglio ciò che non lo è! Somma è veramente la mia ripugnanza della, e alla, realtà». E intanto traduce super�bamente i grandi classici russi. L'altro, nella cittadina di Durham (900 anime) si fa le ossa al cinema, vede e stravede per film come «Ho sposato un mo�stro venuto dabo spazio», «L'at�tacco debe sanguisughe gigan�ti», e mette in piedi alle superio�ri un giornaletto umoristico dal titolo «The villagevomit», pas�sando i suoi guai col preside. Poi, da imo spunto di realtà disgustosa tira fuori un roman�zo disgustoso, che vende per quattrocentomila dollari. Fini�sce la fame, la miseria, si può cambiare la macchina, mettere il telefono, comprare le medici�ne per i bambini e fare regab aba mogbe Tabby, scrittrice anche lei e solida, unica compa�gna fino a oggi. Landolfi, tremulo, tortuoso seduttore, tiene a bada tre o quattro donne di cui non è affatto innamorato, le cerca, le respinge, le fa ingelosire, le uimba, ne riceve straziate (e inventate) lettere, passeggia so�litario nella notte invernale di Forte dei Marmi, assiste a un penoso incidente, il cagnetto di una debe sue precarie amiche viene travolto da una macchi�na. C'è un incidente di macchi�na anche nella vita di King, ma la vittima è lo stesso scrittore, travolto da un furgone (con dentro un rottweiler) mentre faceva jogging in campagna, nel 1999. Vivo per miracolo, ma pronto, dopo mesi di fisiotera�pia, a rimettersi a tavolino. Landolfi continua a pestare l'acqua nel suo mortaio crepu�scolare, nella sua «diuturna morte», si perde in digressioni, osserva un micino assibato dal�le rondini in una piazza Santa Croce deserta, confida al letto�re «mi annoio, mi annoio». Ha un'unica cosa in mente: racco�gliere abbastanza soldi per andarseb a giocare al casinò. E' qui forse b punto di contat�to tra Landolfi e King? L'uno col vizio del gioco, l'altro del bere. Sul suo demone Landolfi scrive pagine giustamente fa�mose, presso i suoi 240 lettori. King, ai suoi 240 milioni di ammiratori racconta con secca sincerità del suo abisso e dei bizantinismi giustificatori che per anni gli impediscono di riconoscerlo come tale. Due personalità spinte all'autodi�struzione? Lo squisitissimo, col�tissimo, somionissimo intellet�tuale europeo che va a fondo come il rude, pragmatico, palestrato yankee? Il primo non vende niente, si debzia di cita�zioni sublimi (da Giuseppe Giacosa): «Ugo: "Dirò di Brandimarte e di sua Fiordiligi/ perdu�to, essa lo cerca invan fuor di Parigi/ morto al fin lo ritrova e l'uccide il dolore". Diana: "No, quella non la voglio: è una storia d'amore"» Per King, coi suoi miboni di dollari in banca, il massimo resta una similitudine di Geor�ge Higgings, scrittore del gene�re noir negli Anni Quaranta: «Faceva più buio di una carret�tata di buchi del culo». Ma entrambi stanno solo scherzan�do, entrambi in realtà sorrido�no maliziosi abe spabe dei pro�pri enunciati, non si prendono sul serio, allora? E' qui che si incrociano il tormentato distil�latore di alta prosa e il macina�tore di migliaia di pagine vendu�te, comprate (e filmate) a scato�la chiusa? King però, ed è certo sincero, dice di non aver mai scritto una riga pensando ai soldi, nega la possibilità di fabbricare bestseUer a freddo, si sforza di smontare il proprio mestiere, di illustrare ai giovani i suoi at�trezzi come farebbe un fale�gname, gira prosaico attorno a concetti come ispirazio�ne, creazione, cerca a ten�toni di spiegarci che cosa lo spinga a raccontare. Landolfi neppure ci pro�va («mi annoio, letto�re, mi annoio») ma con tutte le sue dila�zioni, sottrazioni, omissioni, prese di distanza (e per i fondelli), anche lui alla fine rac�conta, deve ob�bedire ab'impulso di rac�contare, non sa perché. Nessu�no lo sa. Antico mistero mai risolto, vana riapertura dell'in�dagine. Ma ci siamo divertiti. Solo una coincidenza unisce «On writing» e «La bière du pecheur»: tra il macinatore di bestseller e il raffinato distillatore c'è una distanza siderale, eppure... ee dye lfi? a sulinclattorte, la cdicrigposseUsmillt 'L^P-. lo spiLandva re,cozbedire acontare, nonno lo sa. 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Luoghi citati: Firenze, Forte Dei Marmi, Parigi