« Così abbiamo sconfitto In sofforenza»

« Cos�abbiamo sconfitto In sofforenza» « Cos�abbiamo sconfitto In sofforenza» Ipazienti: «Adesso non desideriamo più di morire» reportage IL dolore è questo: fatelo smette�re, fatelo smettere, fatelo smette�re, fate quello die volete ma fatelo, smettere. E siccome non smette, diventa questo: essere tutt'uno con il male e non sentire voci né carezze né stupidi fazzoletti ba�gnati sulla fronte. Il dolore diventa odiare gli altri che stanno l�e ti guardano e non riescono a capire che cosa senti. E alla fine diventa: progate perché possa finire, ksdatemi morire». «Lasciatemi morire». Ma non c'è vogha di morire. C'è urgenza di non sentire più quella fitta che scava il corpo e ustiona i pensieri. Quest'uo�mo ha 62 anni, un tumore diffuso. E non vuole più morire, come in quelle notti impazzite: «Sto atavola con i familiari, quando vengono a trovarmi i parenti pranzo con loro, quando arrivano i miei nipotini ho voglia di vederli giocare, anche se non posso partecipare se non dal divano». E cerca di soipre un ranco�re: «Penso a dri mi diceva: di più non si può fare». E' approdato al Centro per la Terapia del Dolore dell'ospedale Molinette, diretto dal professor Mario Maritano. Qui imo dei centri d'avanguardia in Italia gli anestesisti mettono a punto cure personalizzate: antin�fiammatori e analgesia, «oppiodi deboli» (la Codeina) o forti ^come morfina e metadone). Poi antide�pressivi e cortisonid. Passano di qui decine di pazienti ogni giorno. Non sono tutti malati oncologici, d sono per esempio le artrosi deformanti. «La terapia del dolore dice la dottoressa Anna De Luca mira a consentire la vita migliore possibile, ed è arra anche laddove non ci sia possibilità di guarigione. Hai il diritto di non soffrire, è il messaggio». Un altro malato, 58 anni, colpito all'addo�me, con metastasi diffuse, dice: «Credevo che il dolore fosse un passaggio da scontare, quasi un dazio per la speranza. Pensavo a come rassegnarari. Quando è arriva�ta l'Unità antalgica, ho capito che posso combattere meglio». Ma non è tutto: «Avevo il tenore: se mi salvo, divento drogato?». E' uno dei nodi: morfina uguale assuefazione. «Non è così. dice la De Luca -: la morfina si usa quando deve essere usata e si usa su un soggetto che soffile. Si toma alla vita come pri�ma)). Ma prima di tornare alla vita si soffre anche sul piano sodale: «Mi avevano prescritto metadone», rac�conta un malato di 37 armi, che ora si è del tutto ripreso, è fuori perico�lo. «Andava a comprarla mia sorella in farmada con la ricetta. Tornava strana, umiliata. Finché non mi hanno visto, non credevano a ima terapia di questo tipo». Le storie sono simili però mai uguali. Dice la dottoressa Costanza Calia, del reparto del professor Ma�ritano: «Bisogna pensare a che cosa il dolore è andando oltre alla sensa�zione fisica)). E portano prove i malati: «Ho subito due interventi. Ho avuto e ho buone speranze. Ma il male fisico ti taglia fuori: stai a letto, non sopporti chi viene a tro�varti, vorresti solo che se ne andas�se e ti senti in colpa per questo. Sei aggressivo verso tutti, intollerante, egoista: mi accorgevo che il male diventava uno strumento nei rap�porti, unmotivodiira». Dolore totale, lo chiamano gli specialisti. Qualcosa che va oltre quelli bevi, moderati, gravi. Una condizione di vita doppia, un tranel�lo, una prigione psicofisica che tro�va straordinarie risposte in un Ubro, «Il malato tumorale» (C.G. Edi�zioni Medico Sdentifiche) dello psi�chiatra Giorgio Lovera, esperto nel�la assistenza ai malati gravi: dalla diagnosi agh interventi, dalle tera�pie radiologiche o chimiche ai rap�porti sociali e a quelli in casa. Rispondere al dolore fisico è come proiettare la persona in una dimen�sione comunque più facile. E i bambini? Uguali a noi. Gior�gio Ivani, primario di Anestesia e Rianimazione all'ospedale infantile Regina Margherita di Torino, è fer�reo: «Il luogo comune dei bambini che sopportano meglio la sofferen�za è assurdo. La verità è che è più difficile diagnosticare il livello di dolore, ma quel dolore va affronta�to, se necessario, anche con oppia�cei. Cos�come occorre fare attenzio�ne al pianto dei più piccoli: a volte, dopo un intervento chirurgico in anestesia locale piangono disperati. Può essere meglio dargli un biberon che non un calmante». Ma come raccontano loro il dolo�re? «I più piccoli lo disegnano: uomi�ni mascherati e loro in un angolo disperati. I più grandi ne parlano, ma non sempre: hanno paura di deludere i genitori. Usiamo dei test grafid». Qualcuno racconta come può, con una sintesi che fa riflette�re: «Il dolore forte? E' un male che non senti più che cosa ti dicono papà e mamma, che pensi che nem�meno loro te lo fanno passare più. E' come un buio che strilla».

Persone citate: Anna De Luca, Costanza Calia, De Luca, Giorgio Lovera, Ivani, Mario Maritano

Luoghi citati: Italia, Torino