SCHNABEL pittore a cielo aperto

SCHNABEL pittore a cielo aperto SCHNABEL pittore a cielo aperto L'INCONTRO laura Tansini A Manhattan in West Eleventh Street (a Sud di West Chelsea ed a Ovest di Greenwich Village) Jiihan Schnabel è appro�dato nel 1977. Da principio aveva solo il grande studio; con il tempo ha preso l'intera palazzina. Il pian�terreno è diventato un magazzinolaboratorio. Al secondo piano c'è l'abitazione, teatrale, eccessiva e fantastica come è Schnabel dove coabitano le sue enormi sculture in bronzo, le grandi opere reaUzzate su teloni di copertura dei camion, arazzi del XVII secolo, tappeti e mobili antichi e dove troneggiano due armadi costruiti dallo stesso Schnabel. Una vitale, energica mescolan�za di stili e culture che rispecchia�no perfettamente la onnivora, vo�race curiosità di un artista in costante ricerca, che ha tutte e nessuna appartenenza culturale. Al terzo piano lo studio e l'ufficio. Un grande locale che prende luce dai lucernai e dai finestroni latera�li i cui vetri sono lavati solo dalla pioggia. La vastità di questo spa�zio è «custodita» da opere quasi tutte di grandi dimensioni (alcune superano i sei metri), attaccate alle pareti ma anche appoggiate alla rinfusa ai muri ed alle colonne centrali. Sono opere di diversi periodi, alcune cos�dissimili che a uno sguardo superficiale potrebbe�ro apparire di artisti diversi. Sono presenze estremamente vive e do�minanti; per una volta non è il visitatore a guardare le opere, sono le opere che guardano lui. Nel mezzo della stanza un pianoforte a coda nero, sul piano fogli da disegno parzialmente coperti dai disegni della figlia, gettati in disordine. Quattro poltrone dorate in stile (due solo tappezzate, due ricoperte di velluto blu) aspettano di ospitare un momento di «chiac�chiera». A fianco del piano un grande tavolo da lavoro ricoperto, con un certo ordine, di barattoh e tubetti di colore, vasi pieni di pennelli ancora sporchi, risme di fogli da disegno con prove di colore. Un telefono fisso a una colonna del locale interrompe in continuazione la conversazione. Schnabel, con l'irruenza di chi non cerca scuse né ama rimandare le seccature ma preferisce liquidarle in prima battuta, non resiste a non rispondere alle chiamate filtrate ma non bloccate dai ragazzi che lavorano per lui nella stanza ac�canto, che funge da ufficio e archi�vio. E' periodo particolare, Julian Schnabel è nel bel mezzo del «lancio» del suo film «Prima che venga la notte», presentato e pre�miato all'ultimo Festival di Vene�zia. Sono testimonianze di stima a cui gli fa piacere non sottrarsi, ma anche grane che riguardano la produzione e l'organizzazione, pro�blemi che non lo interessano, ma dei quah deve occuparsi. Si lamen�ta e se ne scusa: checché si dica in giro è una persona educata e rispettosa degli altri. «Mi piace fare il mio lavoro. Solo quando lavoro mi sento bene, in pace con me stesso. Mi piace anche stare con la gente e parlare con gh amici, ma detesto sprecare tempo occupandomi di stupidaggi�ni». Tutto ciò che non rientra in un processo stimolante di creazione o di scambio di idee è per Schnabel «stupidaggine», ma affrontando tutto in prima persona non può fare a meno di occuparsene. Parla del suo lavoro di regista come parla dei quadri: «Fare un film è come fare un dipinto. Non ci sono parole per spiegare un dipinto, per raccontare di cosa si tratta. Io non so cosa sto facendo, non so perché lo sto facendo, non so se è buono o no, mi affido a una sorta di luce divina. Solo il giorno dopo quando mi alzo e lo guardo posso sapere se mi interessa o no». «Quando faccio un film, anche se lavoro con molte persone, l'im�postazione di base del lavoro è la stessa; è astratta, è totale, seguo l'istinto e lavoro 24 ore al giorno sette giorni su sette. Nei dipinti, come nei film, anche se nei film si tratta di una narrazione, non mi interessa raccontare quello che già so. Vedo qualcosa che mi colpisce molto e reagisco all'impul�so». Mentre parla si sposta rapido ed energico verso un gruppo di dipinto e estrae con mano sicura una grande composizione realizza�ta su un fondo giallo. «Vedi, ho trovato questo supporto giallo e ho sentito la necessità di dipingere un quadro giallo, non sapevo cosa facevo, ma volevo vedere la rispo�sta a quell'impulso». La conversa�zione si interrompe più volte per le telefonate e quando si riprende la sua attenzione è tornata al film; è un'idea fissa che in questo mo�mento lo possiede totalmente. «Perché ho fatto questo film? Ho visto in televisione un documenta�rio sul cubano Rainaldo Arenas, naturalmente la sua storia mi ha colpito molto, ho cercato i suoi libri (in Italia editi da Guanda. n.d.r.), li ho letti e quello che leggevo mi mandava delle immagi�ni e ho avuto l'impulso di vedere le immagini che sentivo, di vedere come gli altri avrebbero reagito a queste immagini, come gli stessi attori avrebbero reagito. Ho senti�to l'esigenza di raccontare alla gente questo terribile problema della mancanza di libertà. Fare il film ha significato dare fisicità alle immagini che avevo sentito, far diventare reale la "luce divina" che mi guidava nel lavoro. Esatta�mente come quando dipingo». Julian Schnabel è nato a New York nel 1951. Nel 1965 si è trasferito con la famiglia in Texas; nel 73 dopo aver compiuto gli studi a Huston tornò a New York con una borsa di studio per un anno del Whitney Museum. Fino al '77 ha vissuto ai margini del mondo dell'arte, che frequentava assiduamente; dipingeva e lavora�va come cuoco. Nel 1977 ha viag�giato in Europa, a Barcellona l'in�contro con Gaudi fu la scintilla per i quadri realizzati dipingendo sui piatti rotti e nell978 a New York Mary Beone gli fece la prima mostra. Da quel momento non aveva più bisogno di fare il cuoco per vivere e lavorare; poteva dedicar�si esclusivamente alla pittura, af�frontando il panico, l'ebbrezza e la vertigine della libertà, la liberta dello spirito, la libertà di pensare; si accorse presto che era una libertà da difendere dalle costrizio�ni e mediazioni del sistema: i critici che rifiutano di "vedere" perché suppongono di sapere e escludono ciò che non rientra nei loro schemi, i galleristi delusi ogni volta che la sua arte "cambiava strada". Questa stanza ha visto nascere molte opere; in questa stanza Schnabel ha aggredito e accarezzato i materiali per rag�giungere la "luce divina" che lo guida. Ha usato linguaggi e mate�riali diversi, talvolta materiali di scarto, rovesciando la scala delle priorità e caricandoli con la delica�tezza di significati della poesia e della bellezza. Ha mischiato tutto in un vorti�ce di stili che manifestano una inesausta necessità di libertà di scelta, e di intenzioni, per trovare "quello che non sapeva". «La ragio�ne per cui si fa qualcosa è per essere influenzati, per arrivare a conoscere qualcosa, per imparare. Io dipingo per vedere rappresenta�te le mie intuizioni, forse per questo continuo a cambiare stile e linguaggio, non mi interessa ripe�termi, non mi interessano i mate�riali che uso, quello che perseguo è la ricerca dell'emozione che mi ha stimolato». Oggi questa stanza non è più il luogo della nascita delle opere di Schnabel e anche quelle che qui si trovano sono state dipinte altrove, all'aperto. Schnabel, che non usa prendere appunti, fare schizzi e progetti di un'idea ma si misura direttamente con quello che ha scelto o che casualmente diventa supporto dell'opera: tela, legno, velluto, telone usato e malconcio di copertura dei camion che tra�sportano merci, piatti rotti incolla�ti a un supporto (ma questo è un genere che non pratica quasi più anche se gli deve la notorietà sulla scena newyorkese e internaziona�le), dal 1979 rifiuta di avere un tetto sopra la testa quando lavora; dipinge solo all'aperto. Il luogo dove lavora non è più questa stanza, sono quattro pareti, nes�sun soffitto, nel bosco dove ha la casa, a Montauk, (Stato di New York). Schnabel lavora mischian�do i colori con le mani e con le mani dipinge. Lavora sempre all' aperto ma dipingere o meno non dipende dalle condizioni climati�che. Gli elementi naturali; la luce che continua a cambiare, i riflessi e le ombre degli alberi, lo sposta�mento del sole e il passaggio delle nubi non lo disturbano, diventano "strumenti da usare". «Sì, dipingo anche quando pio�ve» e con la rapidità e la leggerezza di un grosso agile felino attraversa la stanza e mi fa toccare la spessa, materica pittura della grande tela alta sei metri realizzata nel 1992 a Palm Beach; vista da vicino la materia appare picchiettata. «Toc�ca, senti questi avvallamenti rego�lari, sono stati fatti dalla pioggia che batteva fitta mentre io lavora�vo». Nel 1983, quando stava a Long Island, il suo studio era il campo da tennis; le tele alle quali lavorava erano incatenate alla re�te di recinzione... Incontro con l'artista concettuale americano nel suo «magazzino-laboratorio» di Manhattan, mentre prepara il «lancio» del suo film «Prima che venga la notte», premiato al Festival di Venezia «Fare un film è come dipingere, lo non so cosa sto facendo, non so perché, non so se è buono o no, mi affido a una sorta di luce divina. Solo il giorno dopo quando lo guardo posso sapere se mi interessa o no». Dal 1979 rifiuta di avere un tetto sopra la testa quando lavora, dipinge solo all'esterno, in un bosco Mescola i materiali più diversi, legno, velluto, il telone di un camion, piatti rotti e incollati "rv-a^' Nella foto a destra, il pittore regista Julian Schnabel, nella sua casa di Manhattan. Sopra e a sinistra due sue opere: "Senza titolo" (La vox de Antonio Milina) e "Ritratto d�Olatz". Schnabel, nato nel 1951 a New York, è rimasto ai margini del mondo dell'arte fino al '77, lavorando come cuoco.