I RISCHI DEL BRACCIO DI FERRO di Enzo Bettiza

I RISCHI DEL BRACCIO DI FERRO I RISCHI DEL BRACCIO DI FERRO Enzo Bettiza IL braccio di ferro ingaggiate dal governo italiane nel consesso Na�to contro gli Stati Uniti rischia di coprire di ridicelo e di gettare nel discredito i maggiori responsabili della nostra politica estera e milita�re. Chiedendo la messa al bando delle munizioni all'uranio, in un frangente che non vede nessuna armata occidentale impegnata in una guerra, l'Italia dà l'impressione di gonfiare i muscoli su un false problema che ha già ricevuto una doppia e anzi tripla bocciatura: una solenne e di fatte unanime in sede atlantica, l'altra in sede Onu deve ormai si certifica l'assenza di rischi radioattivi nel Kosovo, la terza e più autorevole nell'ambito del monde scientifico che fra l'altre ci informa che il «fondo naturale radioattivo» è molto più elevato a Roma che a Pristina. Naturalmente i morti e gli amma�lati che hanno prestate servizio militare nei Balcani meritano, in questa fase di allarme e indagini parlamentari e sanitarie, tutta la nostra considerazione umana. Ma certo non meritano che su tanta sventura s'imbastisca, con incredi�bile leggerezza e incompetenza, una campagna di disinformazione che va ben al di là del loro triste caso personale. L'eminente ematologo Giuseppe Leene, decente all'Univer�sità Cattolica di Roma, ha precisato: «Nove morti su un totale di sessan�tamila uomini che sono passati in Bosnia e in Kosovo non hanno rile�vanza scientifica: siamo di fronte a un esempie evidente di irrilevanza statistica». Un altre luminare, Cor�rado Testa, direttore del Centro Radiechimico dellUniversità di Ur�bino, ha specificato che «il pericolo è zero per chi maneggi proiettili all'uranio, viste che la testata è coperta di metallo, ed è basse se si viene in contatto diretto con fram�menti dopo la deflagrazione. Lo si deve inalare e ingerire in notevoli quantità, almeno un grammo, per provocare danni genetici all'organi�smo». Che senso possiamo conferire allora a questa allarmistica «Sindro�me dei Balcani», che viene negata dagli alleati angloamericani, smen�tita dall'alte rappresentante france�se dell'Onu nel Kosovo, vanificata dalla maggior parte degli uomini di scienza italiani? L'unico senso che purtroppo dobbiamo darle è politi�co e demagogico. Non dimentichia�mo che la maggioranza governativa di centrosinistra è sotte pressione eletterale. Facendo mostra dibatter�si per la moratoria dell'uranio, la cui presenza negli arsenali atlantici era ed è nota da almeno quarant'an�ni, in realtà si desidera indulgere ai risentimenti emotivi dell'opinione pacifista e antiamericana: la campa�gna contro il supposto killer radioat�tivo ricicla, in termini patologici, lo stesso virus antioccidentale e fileserbo già cos�diffuso nei giorni dell'intervento in Kosovo. Ma c'è, in più, un altro elemento di perplessi�tà e di dubbio. Come mai si è cominciate a sollevare il polverone «radioattivo» proprio alla vigilia del�le decisive elezioni serbe del 23 dicembre scorse che hanno decreta�to la fine della tirannia di Milosevic? Come e perché mai il polverone s'è poi gonfiate nei giorni in cui il nuovo potere belgradese di Kostunica e di Djindjic, premute dal Tribu�nale dell'Aia, faceva capire che Milesevic poteva essere incriminato e processato in Serbia? L'uranio impoverito sembra ri�mettere in causa non solo le ragioni morali e politiche della campagna umanitaria per la salvezza dell'et�nia schipetara, non solo vanificare la legittimità dell'Alleanza e dei bombardamenti che hanno interrot�to l'ultimo mostruoso genocidio panbalcanico, ma sembra voler an�che riscrivere la storia recente con la mannaia degli assassini anziché col sangue delle vittime. Non è, non sarà certo questo il modo migliore per conservare il rispetto intemazio�nale conquistato dall'Italia e dal governo D'Alema durante gli esem�plari 89 giomi del 1999.

Persone citate: D'alema, Djindjic

Luoghi citati: Italia, Kosovo, Roma, Serbia, Stati Uniti