Que pigmeo do Salgari di Giovanni Tesio

Que pigmeo do Salgari Que pigmeo do Salgari Tutto incomincia con un articolo che l'inventore della Tigre della Malesia pubblica sull'Arena di Verona dopo una visita al cimitero per onorare la madre. Passeggiando tra le tombe, scopre strane lapidi con nomi provenienti dall'Africa nera :arte ritrovate Giovanni Tesio TUTTO comincia con l'artico�lo su «L'Arena» di Verona del 2-3 novembre 1889, siglato S.E., alias Salgari Emilio, alias Emilio Salgari, il navigatore interrotto, il narratore dell'avven�tura, il capitano delle tempeste inventate. Io scrittore esordiente che ha già pubblicato appendici di successo come La Tigre della Male�sia o La Favorita del Madhi e che tre anni dopo approderà a Torino per passarvi gli anni più fecondi di una vita costellata di tormenti. S.E. ha appena fatto visita alla tomba della sua «povera e santa mamma» morta due anni prima, e ora, mentre scioglie alla memoria il cantico dell'effetto «de' figli tuoi e del marito tuo», ignaro dei pochi giorni che lo separano dal suicidio del padre, ne approfitta per ima ricognizione di rito ai monumenti funebri del cimitero cittadino (an�che se non si può escludere che la stia semplicemente desumendo da una pubblicazione a stampa). Dopo aver passato in rassegna o aver simulato di passare in rasse�gna un bel po' di nomi del notabila�to locale^ alla fine del percorso S. E. arriva davanti alle cappelle nobilia�ri dei Canossa e Miniscalchi, mo�strando d'essere so�prattutto attratto dal «modesto co�lombaio» in cui ri�posa scrive «la fredda salma dell'Akkà di Miniscal�chi, il selvaggio mo�retto che strappato alle grandi foreste del Sudan è stato qui spento dal cli�ma europeo». Basterebbe il «selvaggio moret�to» strappato alle foreste dell'Africa più interna per fini�re nella tomba di un nobile veronese ad evocare le più appassionanti im�prese salgariane, del Paese degli Ascianti o del cabecero di geletè, del negro Sangro capace di sfuggire a sicura schiavitù o del gigantesco Ongo a cui in sei ore terribili incanutiscono i capelli. Per come si è espresso, è del resto evidente che Salgari allude ad un fatto che nella Verona dello scorcio del secolo doveva essere di pubblico dominio, tanto più che subito dopo annota: «Il suo compa�gno è oggi un nero bersagliere; lui, infelice, è morto». Non senza lasciaUn ritrattodi Chail pigme itografico -Allah o minore re l'impronta inconfondibile del suo tocco di esotismo: «Passando dappresso a quella tomba inviai al povero africano il tradizionale salu�to del suo paese: Gasegié mokuoku? (Ti saluto, come stai?)». Sarebbe bastato molto di meno a stimolare l'indagine di Gian Pao�lo Marchi, docente dell'Università ve�ronese, agguerrito verghista e bene�merito salgarologo. Per nostra for�tuna il professor Marchi non ha mai esitato ad applica�re i rigorosi stru�menti del suo meto�do filologico ad epi�sodi di storia lette�raria da cui altri accademici di naso più stretto si aster�rebbero con disde�gno ed è cos�che in uno dei suoi cin�que «percorsi salga�riani» raccolti nel libro La spada di sambuco, appena uscito presso le Edizioni Fiorini (pp. 130, L. 25.000), ritroviamo la vicenda de�gli akka o pigmei di Verona ricono�sciuta passo dopo passo. Lo scenario rimanda all'Italia coloniale dell'altro secolo, fitta di geografi, esploratori, pionieri, mis�sionari, di rotte percorse in gara, di competizioni nazionalistiche, di esplorazioni rischiose (chi non ri�corda la missione di Stanley manda�to in cerca del Livingstone perduto e ritrovato a Ujiji sulla via del Iago Tanganica?), insomma di un mal d'Africa che tra scienza e politica, tra missione e avventura, tra Vitto�rio Bottego, Romolo Gessi e il cardinal Massaia, vive non meno di apostolato che di «magnifiche sorti e progressive» (a tenerne con�to è Sebastiano Vassalli in alcuni episodi del suo romanzo Cuore di pietra). A Verona c'era già la precedente del nero Bachit Caenda, fatto schia�vo in una razzia fra i Nuba e acquistato in Egitto dal conte Fran�cesco Miniscalchi, che lo aveva aortato in città, lo aveva fatto aattezzare e lo aveva accolto in casa. Episodio non unico se Michele Lessona nel suo Volere è potere (una sorta di vademecum laico di vite esemplari, in cui la volontà vince tutto) racconta la storia del bambino sudanese Quetto, fatto schiavo nel 1832 dalle truppe del Viceré d'Egitto Mohammed Ah, comprato sul mercato degli schiavi del Cairo da un medico di Casale Monferrato, cristianizzato e regi�strato allo stato civile come Miche�le Amatóre, arruolato come volon�tario nel corpo dei bersaglieri allo scoppio della prima guerra d'indi�pendenza, diventato capitano nel corso delle successive guerre risor�gimentali, decorato al valore, con�gedato dopo trentadue anni di più che onorevole servizio, finito z vivere gli ultimi anni completa�mente piemontesizzato sulle colli�ne monferrine di Rosignano. Il caso, questo, di un bell'uomo alto e slanciato, che in nessun modo può essere comunque confuso con il «nero bersagliere» che Salgari cita nel suo resoconto cemeteriale. Alto, anche se più tarchiato è anche Bachit Caenda, almeno per come compare in una bellissima fotografia che lo ritrae con la con�tessa Miniscalchi e con i due pig�mei di cui parla Salgari, che invece risultano decisamente più bassi. A raccontare l'intera vicenda è Cesare Correnti nella relazione che apre (14 giugno 1874) la Conferen�za scientifica sui due pigmei e sulla spedizione italiana in Africa pubblicata sul «Bollettino della So�cietà Geografica Italiana», vera e propria miniera di notizie e di irresistibili curiosità. Milanese, patriota, scrittore, de�putato, senatore, due volte mini�stro dell'Istruzione (fu lui, tra l'al�tro, a sopprimere l'insegnamento religioso nelle scuole secondarie), Correnti ci parla dell'esploratore Giovanni Miani che da tre anni sta tentando il mistero delle sorgenti del Nilo per «rivendicare a sé e all'Italia l'onore della più grande scoperta dei tempi moderni». Impresa purtroppo mancata per�ché il Miani muore all'improvviso lasciando un'assortita eredità scientifica e un carico imbarazzan�te di cose disparate che approdano a Khartum: manoscritti, scimpan�zé imbalsamati, rarità naturali ed etnografiche, un plico indirizzato alla Società Geografica e i due pigmei che appartengono a due diverse tribù, il maggiore chiamato Thibaut e il minore Chair-Allah. Particolare assai curioso, a fare da intermediari tra l'eredità del Miani e la società Gaografica furo�no un orologiaio di Torino e un meccanico di Pinerolo (tali Michele Camosso e Lorenzo Spada) lasciati senza provvidenza dalla «patria» co.t me scrive il Corren�ti «in quelle remo�te regioni, dove pur usano spesso italiani...». I due pigmei, confiscati in un pri�mo tempo con tut�te le altre cose del Miani dal Viceré d'Egitto, vengono trasportati al Cai�ro e donati al re d'Italia, Vittorio Emanuele II, che a sua volta li affida alla Società Geogra�fica. Domandandosi sei pigmei di Khar�tum fossero un do�cumento davvero etnografico per cui valesse la pena di spendere e di spendersi, è ancora il Correnti a mostrarsi persuaso del buon investimento scientifico: che i due pigmei, insomma, non fossero capricci di natura, fenomeni da circo Bamum, a cui poteva bastare quel «mostricino milionario di Tom-Pouce», ma veri e propri «campioni di razza». Del resto la questione se si trattasse di «tipi di razza» o «casi di cretinismo» fu dibattuta come un grande dilemma da molti studiosi, fra cui il Lombro�so che solo qualche anno dopo pubblicherà come segno dei suoi interessi senza frontiere i quanto meno estrosi Studi sui segniprofessionali dei facchini e sui lipomi delle Ottentotte, cammelli e zebù. Preceduti da numerosi articoli apparsi sui giornali e da alcune fotografie che anche l'allora «prin�cipessa» Margherita si compiacque di vedere, Thibaut e Chair-Allah arrivano a Roma sul finire del mese di maggio del '74. Vengono misurati, osservati, studiati da an�tropologi ed etnologi, a cui non sempre si sottopongono vivaddio -con la buona grazia che pretende�rebbero i soloni della ricerca antroponometrica. Accompagnati a Fi�renze, vengono alloggiati all'Hotel de l'Alliance, in attesa che il conte Miniscalchi, che si è impegnato a tenerli durante l'estate nella sua villa sul Lago di Garda con l'inten�zione di studiarne la lingua, venga a prenderli in consegna. Di qui in poi la storia prende un andamento più domestico e a tratti Un ritrattodiThil pigmeo itografico baut maggiore persino edificante, degno davvero di un racconto mensile di Cuore. I due akka veronesi crescono, Thi�baut più mite e adattabile, Chair-Al�lah più indomito e focoso. Nel maggio del '78, Thibaut è un metro e quarantuno, Chair-Allah otto cen�timetri in meno e oltre che più piccolo mostra d'essere più cagio�nevole di salute. Affidati al mae�stro Alessandro Scarabello, impara�no tutt'è due a leggere e scrivere, anche se è Thibaut a mostrare un'intelligenza più pronta, impa�rando anche a suonare e pare non male il pianoforte. Vivono tutt'e due in un ambien�te che mostra nei loro confronti un'evidente simpatia. Il cronista deir«Adige» ne parla come di «figli della fortuna e della gioia, che nei loro primi anni ebbero esistenza sempre minacciata presso alla pen�tola degli antropofaghi di Monibuttu». Non si rinuncia per altro ad esporli alla curiosità popolare co�me riferisce una cronaca dell'«Are�na» nel recensire uno spettacolo di varietà in cui Thibaut e Chair-A^lah si esibiscono come attori e schermidori insieme ai coniugi Si�sti, lui prestigiatore e lei esperta di «pseudo-magnetismo e mnemotec�nica». Ma non pare che l'episodio abbia avuto seguito. Malgrado la sua migliore com�plessione fisica, Thibaut fu il pri�mo dei due a mori�re (di tisi) neH'SS, nove anni dopo il suo arrivo a Vero�na. Suo dunque il «modesto colomba�io» davanti al qua�le si sofferma Sal�gari nel novembre dell'89. Di Chair-Allah, invece, «il nero ber�sagliere» del reso�conto salgariano, sembrerebbero perdersi le tracce, tanto che il profes�sor Marchi ricer�catore tenacissimo finisce per arren�dersi non senza rammarico davan�ti alla resistenza delle carte. Dove sarà finito a combattere l'indomito Chair-Allah? Inghiottito in una bat�taglia? Logorato in una caserma? Congedato dopo onorevole servizio come il bel capitano monferrino Michele Amatore? Un mistero di quelli che rendono le storie anche più belle. Un episodio di esotismo che si trasforma in un episodio di vita militare. Come dire Emilio Salgari che passa la mano e Edmondo De Amicis. Il padre degli eroi al padre dei cuori. Le storie di Thibaut sepolto nella cappella Miniscalchi, e di Chair-Allah che com batté coi bersaglieri Lo schiavo, comperato da un medico di Casale, che imparò il piemontese e divenne capitano LODOVICO KAIS CORSO CAVOUR Un ritratto litografico di Chair-Allah il pigmeo minore .t Un ritratto litografico diThibaut il pigmeo maggiore Nella foto grande: Chair-Allah e Thibaut, i due pigmei "ritrovati" da Salgari con Bachit Caenda, l'africano acquistato a un'asta al Cairo dà! Csnte Miniscalchi e portato a Verona, fotografati con la contessa sua moglie. Sotto il titolo: Emilio Salgari. Negli ovali i due pigmei. Le immagini sono tratte da «La spada di sambuco, cinque percorsi salgariani» scritto da Gian Paolo Marchi per le Edizioni Fiorini di Verona