La Livorno di Visconti e del conte di Montecristo

La Livorno di Visconti e del conte di Montecristo QUATTRO PASSI NELLA VENEZIA, IL SORPRENDENTE QUARTIERE CENTRALE DELLA VECCHIA CITTA LAGUNARE TOSCANA La Livorno di Visconti e del conte di Montecristo Quel borgo abitato da prostitute ed ex galeotti a cui fu promesso che nessun principe o tribunale i avrebbe «molestati» ■ WEEKEND Gianni Ranìor�QUELLA è la Capraia. L'altra è la Gorgona. Laggiù, appare la Corsica. Mentre ammira�te il panorama, il Romito, teatrale e fragorosa scogliera livor�nese, gioca con le onde che dalla mattina alla sera lo prendono a spumeggianti schiaffoni. Giochi da ammirare e godere nel tardo autun�no e in inverno, accompagnati dal cacciucco di Calafuria e dal vino di Montescudaio e di Bolgheri. I vapo�ri estivi che offuscano l'orizzonte e la lunga gomena d'auto che nei mesi dei bagni deturpa sino a Querdanella questa costa muscolosa e scapi�gliata, sono scomparsi. Si può sere�namente calare in cinque minuti d'auto su Antignano e Ardenza; e di lì, superata rAccademia Navale, raggiungere a piedi la Terrazza Mascagni, che un tempo si chiama�va Ciano, una piattaforma elegante e vastissima lanciata sul mare. Au�guratevi che tiri il libeccio. Che spettacolo, allora. limare s'incana�glisce, scavalca i parapetti, s'avven�ta sulla strada. Caricati di salma�stro, ci si dirige al museo di Villa Mimbelli, due passi di lì. Giovanni Fattori (1825-1908) vi accoglierà con i suoi colori luce e ombra, le macchie, i suoi buoi maremmani e la Battaglia di Magenta. Amedeo Modigliani (1884-1920) con le sue incomondibili donne che allungano il collo in malinconici sogpi. E poi, c'è un'altra Livorno, un sorpresa. La città lagunare, il vec�chio centro storico, la Venezia, di cui s'innamorarono Alessandro Du�mas e Luchino Visconti. Dumas vi fece sbarcare Edmond Dantès pros�simo conte di Montecristo, fuggito dal carcere, raccolto e rimesso in palla dai contrabbandieri. Dantès trovò in quei vicoli crepitanti di giorno e infilati in silenzi misteriosi di notte, abiti nuovi e un ottimo barbiere; Visconti, l'atmosfera idea�le per il Dostoevskij de «Le notti bianche» ( 1957). Garbuglio di canali d'acqua marina, che qui si chiama�no 1 Fossi, fughe e girotondi di stradine a dondolo su ponti che piantano le radici nelle banchine odorose di triglia e di torta di caci (la copiatissima e ineguagliabile farina�ta livornese), il rione Venezia, oggi ristrutturato, spennellato e lucida�to per offrire le proprie architetture settecentesche ai migliori portafo�gli della zona, merita un lungo e attento weekend d'amatore. Certo, il timbro della vecchia Venezia, cuore e fegato di una Livor�no a maniche rimboccate e lingua di fuoco, s'è in parte, non del tutto, perduto. Ma lo scenario conquista sempre, cos�diverso da qualsiasi altro luogo della costa toscana. Tra il carcere dei Domenicani, che spec�chiava nel tremolio dei fossi le sue bocche di lupo, e i Bottini dell'Olio là dove i battellieri forgiavano il lessico che sarebbe diventato l'ali�mento del Veraacoliere, il giornale satirico di Livorno, succedevano fatti che traducevano il carattere della città. Al Teatro del Pallone il lancio dell'ortaggio era preventivo, avveniva a prescindere. «E' inutile che ti dai da fa', tanto ti si fischia lo stesso» era il più gentile degli inco�raggiamenti rivolto all'attore anche rinomato. «Continua, continua. Quando sorti ti si rompe di botte.» Un pubblico generoso: concedeva al pessimo interprete di proseguire nella recita. Poi, però, all'uscita, legnate da orbi. Al Pontino, punto nevralgico del rione Venezia, si approntavano con virtuoslstica ra�pidità le bussolate. La bussolata consisteva nel comporre una coda d'un paio di metri unendo, tramite cordoncino, barattoli vuoti che ave�vano contenuto salsa di pomodori e altri alimenti. Uncinata al retro delle "signore" sventuratamente cajitate in quei paraggi, la coda di jussolotti provocava irosi scuoti�menti e sobbalzi a scopo liberatorio che altro non partonvano se non l'aumentare d'una sonorità d'infer�no. Segnale magnetico. Il Pontino si gremiva d'una piccola folla plauden�te e la signora a togliersi non soltan�to la coda ma anche gli indumenti. Ora non più. La Venezia, consajevole delle sue ricchezze scenograIche, del fascino dei suoi palazzi che ospitarono i massimi potenti turchi e persiani del commercio, segue colorata ma quieta il passeg�gio dei visitatori attraverso gli occhi di vetrine raffinate. Le botteghe degli antiquari, i negozi di moda hanno sostituito gli uffici dei mer�canti, floridi sino a quando duraro�no a Livorno le franchigie e poi ridotti a vocianti magazzini del pesce. Il rione traboccava di ebrei, soprattutto spagnoli, di greci, olan�desi, inglesi, tedeschi, portoghesi, armeni, levantini e ponentini. Una padellata di razze voluta dalle Leggi livomine, con le quali i Medici sul finire del '500 garantiva�no il totale rispetto di religioni, di usi e costumi a tutti coloro che avessero desiderato popolare la nuo�va città. Mercanti, ex galeotti, pro�stitute abitavano felicemente la Ve�nezia. Gli era stato promesso di «non essere da nessun tribunale o principe molestati». Quell'antico ap�puntamento di razze e di lingue, è adesso non esclusivamente un fasci�noso nido di memorie per turismo da meditazione. Mettici sopra il monumento ai Quattro Mori, la Fortezza Vecchia e quella nuova, vi sarà venuto un certo, anzi certissimo appetito. Il cacciucco (dal kukut dei turchi di allora), le triglie al sughino di pomo�doro e lo stoccafisso con le patate vi attendono con i loro profumi. Vista sul porto di Livorno

Luoghi citati: Antignano, Corsica, Livorno, Magenta, Montescudaio, Toscana, Venezia