Viaggio attraverso Hitaloshima, il Bel Paese diventato Bestiario

Viaggio attraverso Hitaloshima, il Bel Paese diventato Bestiario Viaggio attraverso Hitaloshima, il Bel Paese diventato Bestiario RECENSIONE Valerio Magrelli L 9 ottobre 1997, dalla diga del Vajont, la Rai trasmise il raccon�to teatrale dedicato da Marco Paolini e Gabriele Vacis alla trage�dia di trentaquattro anni prima. Fu un avvenimento di rara intensità, in cui la narrazione si dispiegava sul luogo stesso del martirio, ottenendo un effetto lancinante e irreale. Il video di quello spettacolo apparve in seguito nella collana Einaudi Stile libero, accompagnato da un libro. Quaderno del Vajont, in cui lo stesso Paolini, insieme a Oliviero Ponte di Pino, ricostruiva la nascita dell'ope�ra. Adesso, dopo altre esperienze notevoli come I-TIGI Canto per Usti�ca (dramma-orazione su testo scrit�to da Daniele Del Gudice), la stessa collana presenta l'ultima produzio�ne dell'autore. Composto da un video e dal volu�me intitolato I cani del gas, questo Bestiario italiano ha molti tratti in comune con Vajont. Innanzitutto il molo del protagonista, voce narran�te che fila e cuce storie ricorrendo ai materiali più diversi. Poi, ovviamen�te, il tono di fondo, dove l'amarezza e il sarcasmo finiscono per mescolarsi in un profondo sentimento di pietà per gli umili, gli inconsapevoli, le vittime. Molte, però, e sostanziali, risultano le differenze tra i due percorsi. La prima riguarda l'argo�mento, ma si riflette sulla struttura stessa dell'azione scenica. Mentre nel caso del crollo della diga (come in quello dell'incidente aereo), tutta la trama tendeva verso la catastrofe finale, adesso l'appassionata «orazio�ne» di Paolini assume piuttosto un andamento lineare. Alla frattura suc�cede la continuità, alla progressione drammatica subentra un racconto disteso. Il primo esito di questo cambia�mento di prospettiva, si coglie nel ruolo dell'osservatore. Mentre pri�ma c'era una pista da seguire, illu�strare, illuminare, ora egli sembra concentrarsi sul dettaglio significati�vo. Il suo scopo, difatti, consiste nell'individuare le prove di una meta�morfosi etologica e al contempo onto�logica, come se, oltre che l'ambiente, l'umanità stessa si trovasse minac�ciata da una mutazione irreversibi�le. I cani del gas si presenta alla stregua di una ballata su quello che un tempo fu il Bel Paese. «E' un viaggio», viene detto nello spettaco�lo registrato, «ma non da casello a casello, bens�da teatro a teatro». Tra reportage e diario di tournée, tra scrittura e dizione, i materiali di questo suggestivo e irregolare pro�getto di «educazione civica» si intrec�ciano in forma di satira politica, denuncia so�ciale, compianto antro�pologico. Il tutto bre�chtianamente scandito da canzoni, ed intessu�to da un'ampia scelta di versi. Sono infatti i poe�ti a far da guida a ciò che Paolini stesso ama chiamare «un paesaggio di parole». L'antologia personale è viva, ric�ca e linguisticamente assai screzia�ta. Si va da Giorgio Caproni a Andrea Zanzotto, passando per Dino Campa�na e Umberto Saba, Pier Paolo Pasoli�ni e Mario Luzi, Alda Merini e Toti Scialoja (la cui smagliante quartina «orvietana» è però riprodotta in ma�niera scorretta). Molte e notevoli le presenze dei dialettali, con Biagio Marin, Federico Tavan, Ignazio Buttitta. Salvatore Di Giacomo, Fernan�do Russo, Edoardo Firpo, Carolus RECENVaMa Luigi Cergoly, Claudio Grisancich e l'amato Emesto Calzavara, dedicata�rio dell'intero libro. Voci e lingue, insomma, si accavallano, ma sem�pre ritomando alla figura centrale dell'interprete, che qui riceve una bella definizione di carattere «costi�tuzionale», oltre che latamente politi�co: «L'attore è un corpo antico, fonda�to sul lavoro, il suo e quello degli altri». La parte più riuscita dell'invenzio�ne di Paolini (solo qua e là appesanti�ta da qualche caduta di ritmo) va SIONE rio elli cercata nello stretto, materico abbraccio con il territorio. In certo modo, qui si mira a una vera e propria «poesia della geografia», tale per cui luoghi e nomi diventano il motore principale di un raccon�to che è insieme paradosso e accusa. Per essere più precisi, alla base del monologare di Paolini troviamo ele�menti di toponomastica («Perché il Rosengarten in italiano si chiama Catinaccio?») e di geologia (ancora sul modello del Vajont). In entrambi i casi, comunque, ciò si traduce in un violento impatto con la presenza umana nello spazio fisico. Altrimen�ti detto, questo è una sorta di procedi�mento minerario, basato sull'estra�zione di senso dalla terra, ossia di storia dalla geografia: «Non ho più storie da raccontare, solo luoghi, fili d'erba. Io sono le città che attraver�so, i prati di pascolo, le rive, sono le voci che sento e che leggo e che porto con me. Il mio vivere è fatto di questo viaggio locale, di distanze intermedie, di scali, di destinazioni non scelte che si susseguono in modo troppo rapido per restarvi indifferente o impermeabile». Jcani del gas vuole essere insom�ma una lettera sulla formazione e sulla deformazione della nostra co�munità, una comunità che si costitui�sce attraverso il sistema orografico e e l'universo ferroviario, il patrimo�nio musicale e il disastro urbanisti�co, l'insediamento industriale e la rete viaria. Perciò, tra i possibili riferimenti, viene soprattutto da pen�sare alla folgorante nozione di «Hita�loshima», coniata da Guido Ceronetti per descrivere il nostro sfascio paesaggistico, oppure al resoconto che Gianni Celati ha offerto di un' Emilia devastata da «marzianismi e villette geometrili». Sulla traccia di questi illustri precedenti, l'Italia del�le meraviglie che emerge dai sopral�luoghi di Paolini ci narra ora della spiaggia caraibica di Solvay, ora della ricca popolazione di puttane nero-toscane, ora del velenoso arco�baleno di Porto Marghera («i fanghi di bauxite sono rossi, il parco dello zolfo è giallo, il magazzino del sale è bianco come la neve»), ora della Cina nostrana tra la Sesia, il Ticino e il Po, «un paesaggio tutto artificio, fatto a mano, anzi, col trattore dalle mote dentate, solo ferro, niente gomme, per andare dentro l'acqua». Proprio per sottolineare l'inestri�cabile nodo fra storia e geografia, fra uomo e ambiente, ossia l'ibrido espresso dalla burocratica nozione di «paesaggio antropizzato», Paolini, in una fra le sezioni più toccanti del testo, crea il neologismo «zoopaesaggio«. Si tratta di un punto cruciale. Qui, infatti, l'esperienza on the road si fa elegia, mentre l'orrore per lo zoopaese si muta in atto d'amore: «Oggi piove su questo piano inclina�to chiamato Italia, dove anche l'uni�ca pianura è irregolare, segnata di morene, di vulcani spenti diventati colline diventate basi militari Nato, di fiumi che scavano gole che l'auto�strada scavalca all'improvviso rega�lando vertigini inattese che rompo�no la monotonia del piano da Padova a Milano». LO «ZOOPAESAGGIO» DI PAOLINI, TRA ELEGIA E ORRORE PER UNO SFASCIO URBANISTICO E ANTROPOLOGICO DESCRITTO CON LE PAROLE DEI POETI, DA SABA A ZANZOTTO Marco Paolini racconta in «Bestiario italiano» il suo viaggio attraverso città e campagne, paesaggi, dialetti e memorie, per osservare com'è cambiato (in peggio) il nostro Paese ótif". Marco Paolini Bestiario italiano Einaudi, cofanetto con libro dipp. 170 e video di 124', L 35.000 VIDEORACCONTO

Luoghi citati: Cina, Emilia, Italia, Milano, Padova, Vajont