Un palazzo di passioni e di misteri di Pierluigi Battista

Un palazzo di passioni e di misteri Un palazzo di passioni e di misteri Pierluigi Battista PREGIUDIZI antiamericani, profondi rancori, ambizioni frustrate: tutto questo ha contribuito negli anni a creare attorno al grande palazzo che su via Veneto ospita l'ambasciata de�gli Stati Uniti in Italia una leggen�da di segretezza e di mistero, un grumo di passioni che da sempre condiziona i rapporti tra il nostro Paese e l'America. Ed è curioso che il giudizio più feroce provenga da Sergio Romano, ex ambasciato�re e commentatore non certe so�spettabile di preconcette antipatie antiamericane, quando sferza con sarcasmo «lo status dell'ambascia�tore degli Stati Uniti, l'unico a cui molti uomini politici facessero vi�sita regolarmente per accattivarsi la benevolenza del governo ameri�cano o questuare un viaggio negli Stati Uniti». In realtà, quell'edificio sempre Drotetto da ingenti forze di polizia ia emanato nel corso del tempo una forza simbohea multiforme e variegata. Negli anni ruggenti del�la «dolce vita» rappresentava una componente imprescindibile nello scenario di brivido e spensieratez�za che via Veneto materializzava. E' il luogo dove mighaia e migliaia di romani si sono avvicinati per ottenere il visto per gli Stati Uniti. E* la meta di manifestazioni di ogni genere purché mantenute a rispettosa e debita distanza. Solo ima, nel 1967, scappò di mano al Pei che aveva organizzato un sitin contro la guerra del Vietnam: arrivarono i gruppi del «Centro Che Guevara» che per la prima volta contestarono apertamente la linea legalitaria di Botteghe Oscu�re e tentarono addirittura il colpo grosso dell'assalto all'ambasciata yankee. Negli ultimi anni, poi, finita la guerra fredda, le stanze dell'ambasciata americana sono diventate luoghi di una nuova mondanità politica, del pellegri�naggio dei nuovi potenti che cerca�no oscuramente in quel palazzo blindato una simbohea patente di accreditamento. Magari lontani eredi di quella sinistra, soprattut�to di matrice comunista, che l'am�basciatrice Claire Boothe Luce ne�gli Anni Cinquanta trattava alla stregua di nemici irriducibili, in un clima di sospetto che addirittu�ra rischiava di far passare un malessere passeggero dell'ambasciatriee come sintomo di un occul�to sabotaggio ai danni degli Stati Uniti d'America. Del resto, la presenza, il caratte�re, lo stile degli ambasciatori ame�ricani in Italia ha sempre rappre�sentato un termometro dello stato dei rapporti tra Roma e Washin�gton. Basti pensare al ruolo che ebbe nella formazione del primo centro-sinistra un uomo come Fre�derick G. Reinhardt che fu in Italia tra il i 961 e il 1968 e che quando mor�fu sepolto nel cimitero prote�stante di Roma. Oppure alla figura complessa di Richard Gardner nel cuore degli Anni Settanta quando, in linea con il Dipartimento di Stato, nel pieno della glaciazione brezneviana dell'Unione Sovietica e dell'insorgenza terroristica in Italia, rilasciava dichiarazioni che suonavano come un veto nella politica di inclusione nell'area go�vernativa del Pei, ma che poi, anche con la collaborazione di un brillante funzionario come Joseph La Palombara, saggiava il terreno di discreti rapporti d'apertura con gli esponenti meno «dogmatici» del comunismo italiano, a comin�ciare da Giorgio Napolitano. Personalità caratterizzate come quella dell'italo-americano John A. Volpe mandato a Roma da Richard Nixon e che la sinistra ribattezzò ingenerosamente John «Golpe», forse anche a eausa della linea intransigente dei repubblicani che non amavano affatto la duttilità filo-araba dei «cavalli di razza» democristiani. 0 come quella di un altro italo-americano, Peter Secchia, a Roma proprio negli anni della convulsione e poi del tracollo dell'impero sovietico e delle rovi�ne del muro di Berlino. Una figura per certi versi opposta a quella di un Maxwell M. Rabb, personifica�zione di una «neutralità» affettiva nei confronti dell'Italia che certa�mente non giovò nel momento di crisi tra i due Paesi in seguito all'incidente di Sigonella. Con gli ultimi ambasciatori, da Bartholomew a Foglietta, l'edificio dell'am�basciata americana divenne più accogliente e mondano. Prima di questa ultima crisi, senza prece�denti