Nella Messa dei folli l'asino canta con i Re Magi

Nella Messa dei folli l'asino canta con i Re Magi Canzoni sguaiate, preti vestiti da donna: uno spettacolo rievoca gli antichi riti pagani e medievali di inizio anno Nella Messa dei folli l'asino canta con i Re Magi Sandro Cappelletto VERRANNO, tra questa not�te e domani, i bei bambini vestiti da Re Magi e cante�ranno canzoncine dolcissime e chiederanno due soldi di ringra�ziamento; poi, sulla porta di casa segneranno col gesso le iniziali dei Magi, incorniciate ai lati dalle cifre dell'anno in corso: 20 G(aspare)M(elchiorre) B(althazar) 01. Se ne andranno gentili e il ciclo festivo iniziato a Natale, lo spazio più antico e imponente dedicato dalla civiltà occidentale alla festa, sarà chiuso, sigillato dalla pesantezza dell'ultimo tor�rone. Ma c'è stato un tempo, e molti segnali ci raccontano che se ne avverte ormai nostalgia, in cui queste settimane erano di festa davvero, con tutti gli eccessi, le eterodossie, le necessarie e perico�lose pazzie di ogni rito collettivo. «Kyrie eleison./ Asini haec est dies solemnis./ Christe Eleison, Hinhan eleison»: cominciava cos�la Messa detta dei folli, medieva�le metamorfosi cristiana e natali�zia delle «Feriae Stultorum» di tradizione pagana e romana. Il coro dei fedeli partecipava all'uni�sono imitando a gran voce il raglio asinino. Per ottenere un buon risultato sonoro hinhan, hi-ho non c'era bisogno di parti�colari studi musicali e la parteci�pazione era di massa. Il tutto non accadeva in qualche campo scon�sacrato alla periferia delle città, ma nelle chiese, e tra gli officianti figuravano anche dei religiosi. «I subdiaconi e il basso clero erano poco educati, mal pagati e difficili da disciplinare; le loro rare feste erano un'occasione per divertirsi ed era naturale, anche considerando la bassa estrazione sociale, che perpetuassero anti�che usanze popolari», racconta Philip Pickett, il musicista ingle�se, fondatore del New London Consort, che ha appena portato in Italia, all'Accademia Filarmonica Romana, il suo nuovo spettacolo. La festa dei folli. Bellissima idea, ben recitata e cantata, ma impo�verita dal suo svolgersi in un normale teatro, non nelle Chiese dove invece aveva luogo l'origina�le, certo più travolgente. Si trove�rà mai, oggi, una Curia disposta a fare imo strappo alla regola e a concedere, per un giorno soltan�to, un luogo sacro ai natalizi giochi dei «folli»? Pickett ha lavorato su numero�si testi medievali Officium Circumcisionis di Beauvais, Missel des Fous di Sens, anche i Carmina Burana e cita come momento esemplare della diffusione di que�sti riti una lettera del 1445 in cui Eustace de Mesnil, rettore della facoltà di Teologia dell'Universi�tà di Parigi, si dilunga in dettaglia�te descrizioni di quanto accade�va: preti mascherati che durante la Messa della natività ballano travestiti da donna, montano in groppa agli asini e li portano fin sopra l'altare dove mangiano e bevono e cantano «bibe et ora» (bevi e prega) con modi sguaiati, alternati a intonazioni gregoria�ne, ortodosse nel procedere della salmodia, non però nel testo: «Quantus, Quantus, Quantus,/ Dominus Bachus Habaoth». Non un momento dell'Ufficio canonico sfuggiva alle irriverenti parodie, dove trovavano posto sia dei brani polifonici già scritti, sia l'improvvisazione. I simboli del potere religioso, mitria e bastone pastorale, veni�vano consegnati a un «dominus festi», un signore della festa, scelto tra i ragazzini e al quale tutti dovevano tributare reveren�za, ovviamente in modo grotte�sco. Il rettore Mesnil commenta: «Noi festeggiamo per scherzare semplicemente, secondo la tradi�zione, perché almeno una volta all'anno ci possiamo dedicare alla follia, che è come una nostra seconda natura e sembra innata in noi». Era questa la sua risposta ai tentativi, numerosi ma ancora senza successo, di limitare o perfi�no abolire «Le Noèl des fous». E lungo i fiumi tedeschi, navigava la «Narrenschiff», una Nave dei folli cui era consentito di attracca�re per brevi periodi di festa e di scandalo, prima di essere costret�ta a riprendere il viaggio senza fine, con il suo equipaggio dove i pazzi spesso erano in compagnia di liberi pensatori, di eretici. «Secondo la tradizione», infor�ma Mesnil. Dettaglio importante, se davvero questi rituali affonda�no le proprie radici nei Satumalia e nelle Kalendae Januariae della romanità. L'inizio del nuovo an�no, coincidenza di morte e di rinascita, offriva l'occasione per sovvertire i valori, i ruoli sociali, e l'animale più adatto alla festa era l'asino: simbolo di potenza virile, di fertilità, di forza, ma anche di stupidità. Perverso e ben addentro a pratiche magiche per Apuleio, responsabile col bue del riscaldamento di Gesù Bambi�no. E nelle feste, pagane come cristiane, mai mancavano i bam�bini: come accade ancora oggi per la nostra meno pazza Befana, i doni erano per loro, a loro si tributava omaggio, perché sono i fanciulli la prediletta via di comu�nicazione con noi delle «larve», le immagini dei defunti che voglio�no tornare a farci visita, rinasce�re. Il dono li placa, il sorriso del bambino scioglie la nostra ango�scia per la loro assenza. La Chiesa cattolica ha-a lungo assorbito queste tradizioni, pro�ponendosi, anche grazie alla mas�siccia diffusione dei Vangeli apo�crifi, come luogo sincretico di accoglienza e tolleranza. Una di�sponibilità che termina con la Controriforma. Nel 1579 Carlo Borromeo, arci�vescovo di Milano, «condannò nel Sinodo provinciale molti riti di passaggio del ciclo festivo popo�lare e del ciclo della vita, quali le combustioni di fantocci, le corse notturne, le finte nozze, le batta�glie, gli eccessi... Il cardinale milanese proib�al suo clero le maschere, i balli, le giostre, le commedie ed ogni tipo di spetta�colo, come i conviti, le danze, i giochi celebrati in occasione delle prime messe», scrive Claudio Ber�nardi nel primo volume della Storia del teatro moderno e con�temporaneo, da poco pubblicato da Einaudi. Il suo saggio, la festa e la sua metamorfosi, non è l'unico dedicato alla riscoperta dei riti di piazza più irregolari e smodati, veri e propri traitd'union tra l'antichità e la cristia�nità, collettivi luoghi spettacolari dove teatro, danza e musica con�vivevano sotto l'insegna della derisione. Nella Cantata dei pastori (Ei�naudi, 2000) Roberto De Simone ricostruisce le vicende di questa sacra rappresentazione parteno�pea, che veniva replicata da Nata�le all'Epifania, e rintraccia persi�stenze di scandalose interpolazio�ni, quasi sempre improvvisate, fino a tutto il Settecento: perso�naggi come Razzullo e Sarchiapone ne erano i motori e «senza le loro diavolerie la Cantata non rappresenta proprio niente». Qualche cerimonia sopravvi�ve ancora. Chi, nella notte tra il 5 e il 6 gennaio, andrà a spasso tra le colline venete, facilmente vedrà innalzarsi fino all'alba dei falò. Al grido di «brusemo la vecia» (bruciamo la vecchia) si celebra il rito propiziatorio del «pan e vin»: un fantoccio di Befana l'etimologia rimanda a «epifania», apparizione arde�rà sopra una fascina di legna. I «veci» (ormai introvabili, però) caveranno dalla direzione pre�sa dalle fiamme vaticini per l'anno nuovo, mentre il pane e il vino simboleggiano la rinasci�ta del cibo e della fertilità, ora sepolti sotto la terra gelata dell'inverno. Ballando, cantan�do e bevendo, chi avrà freddo saprà come scaldarsi. In Veneto questa notte si alzeranno ifalò per l'antica usanza di «bruciare la vecchia», ossia il fantoccio della Befana Il presepe napoletano Ricciardi, del Settecento. In basso a sinistra, i Re Magi in un particolare dei mosaici di S. Apollinare Nuovo a Ravenna. E'una delle loro primissime raffigurazioni: hanno ancora le vesti usate nell'antichissimo culto di Mitra

Luoghi citati: Italia, Milano, Parigi, Ravenna, Veneto