Arafat a Clinton, un sì pieno di condizioni di Aldo Baquis

Arafat a Clinton, un s�pieno di condizioni Arafat a Clinton, un s�pieno di condizioni Sperarne scarse, inviato di Barak in Usa Aldo Baquis TEL AVIV Dopo due sofferti colloqui di alcune ore a Washin�gton, Yasser Arafat ha finalmente dato via libera a Bill Clinton di proseguire la mediazione per la ricerca di un accordo definitivo di pace israelo-pale�stinese. Ma il leader palestinese che oggi discuterà al Cairo il piano Clinton con vari ministri degli Esteri arabi ha condizionato l'assenso a una lunga serie di riserve che si scontrano con le richieste avanzate da Israele. Di conseguenza le speranze che un accordo di massima possa essere raggiunto in tempi brevi sono definite da tutti israeliani, palestinesi e americani molto scarne. Comunque Israele ha subito mandato a Washington il negozia�tore Ghilad Sherm, ed è stato lo stesso Barak ad avvertire la Casa Bianca del suo arrivo. Nel pomeriggio Clinton ha telefonato a Barak per spiegargli nei particolari le perplessità e le osservazioni di Arafat, che deve fare i conti in casa con i messaggi incendiari non solo di Hamas ma anche di al Fatali. Voci di un possibile attentato islamico contro il presidente palestinese si sono diffuse ieri a Gaza, subito smentite da Hamas. Arafat ha polemicamente detto a Clinton che le grandi linee della sua iniziativa tengono in maggio�re considerazione le necessità di sicurezza di Israele e dei suoi coloni che non quelle del futuro Stato palestinese e le esigenze di milioni di profughi sparsi da mezzo secolo. Su queste basi, ha avverti�to, non è possibile edificare accordi di pace stabili. Il punto più dolente per Arafat da quanto è finora trapelato sono appunto i profughi, ai quali deve essere garantita quanto meno la possibihtà di scegliere se rientrare nelle loro aree di origine (e quindi anche in territorio israeliano) o accettare risarcimenti. Il Raiss ha lasciato intendere che una volta stabilito questo principio i leader palestinesi sarebbero flessibili circa la sua realizzazione. Sulle colonie, Arafat ha chiesto di sapere con esattezza quali Israele si accinga a sgomberare. Tre anni per completare il ritomo in patria di 50 mila coloni ebrei gli sembrano troppi: un anno solo dovrebbe bastare a uno Stato che ha saputo in pochi anni accogliere un milione di immigrati russi, ha notato Arafat secondo fonti informate. Il presidente palestinese ha quindi respinto l'idea di ricevere le dune desertiche di Halutza (Neghev) in cambio di porzioni di Cisgiordania che Israele vorrebbe annettere: se Israele vuole scambiare terre, dovrà offrire in cambio aree della medesima dimensione e valore. Anche l'assetto di Gerusa�lemme prefigurato da Clinton non convince Arafat perchè riconosce a Israele un legame storico con la Spianata delle Moschee a cui i musulmani si oppongono, e non garantisce la contiguità delle aree palestinesi. In Israele le prime reazioni sono state caute. Un ministro vicino a Barak ha notato che nelle condi�zioni attuali è già un successo tenere in vita i negoziati. Concretamente, Israele si attende da Arafat che al ritorno da Washington «si rimbocchi finalmente le maniche e si impegni a prevenire gli attacchi terroristici». Intanto a un mese dalle elezioni la campagna elettorale israeliana comincia a scaldarsi. Per Barak è iniziata con il piede sinistro quando l'ex capo di stato Ezer Weizman, «colomba» laburista, ha detto che lui voterà Sharon, il «falco» per antonomasia. «Barak è un ragazzo in gamba ha detto Weizman, dall'alto dei suoi 77 anni ma penso che in testa gli sia saltato qualche circuito elettrico». Barak da parte sua è ricorso a memorie d'infanzia per convincere gli israeliani che è fasulla la recente svolta moderata di Sharon. «Ricordatevi di Cappuccetto Rosso ha detto sotto alle spoglie della buona nonnina c'era in realtà un lupo affama�to». Poche ore dopo Sharon ha reagito congratulan�dosi per la vastità degli orizzonti culturali del premier. Ma anche per Sharon il momento dell'imbaraz�zo era vicino. Aveva appena finito di dire, in un comizio, che «Barak ha portato Israele alla guerra» che un suo attento ascoltatore gli ha lanciato a bruciapelo: (Ah, sì? E allora perchè lo vuole come suo ministro della Difesa?». Sharon è rimasto a bocca aperta, per poi estrarre un patetico: «Penso che con me razzolerà bene». In un'intervista a «Newsweek», Sharon ha affermato che se vincerà le elezioni non si sentirà in dovere di onorare gli accordi di pace. Mentre le strade di Israele sono tappezzate di manifesti che annunciano «Solo Sharon ci darà la pace» collaboratori del leader del Likud hanno reso noto che non soltanto questi ha inviato un messagio di auguri ad Arafat, ma inoltre mantiene da tempo un canale segreto di comunicazione con il numero due dell'Olp, Abu Mazen. lo stridente contrasto di Gerusalemme: una bandiera israeliana davanti alla Spianata delle Moschee. A sinistra, Arafat