Abu Salem, il profugo che non dovrebbe tornare

Abu Salem, il profugo che non dovrebbe tornare Abu Salem, il profugo che non dovrebbe tornare Abraham B.Yehoshua STA diventando sempre più evidente che un eventuale ac�cordo tra Israele e l'Anp po�trebbe fallire in seguito al nfiuto dello Stato ebraico di accettare il diritto al ritomo dei profughi pale�stinesi della guerra del 1948. Su Geru�salemme è possibi�le trovare una solu�zione che stabili�sca una divisione della città, la ver�tenza riguardante la sovranità della Spianata delle Mo�schee potrebbe es�sere risolta a livel�lo simbolico e prati�co, la controversia sulla presenza di insediamenti è ormai appianata con i palestinesi (che riceverebbero in cambio alcuni territori apparte�nenti allo Stato di Israele), la sicu�rezza dello Stato ebraico potrebbe essere garantita dalla presenza di una forza intemazionale e.cos�via. Tuttavia la questione del ritomo dei profughi del 1948 rimane un nodo irrisolto e un casus belli per tutti gli israehani. Alcuni giorni fa alcuni fra i maggiori e più rappresentativi so�stenitori della pace hanno sotto�scritto una dichiarazione che si potrebbe riassumere in questo mo�do: s�a un insediamento dei profu�ghi nello Stato palestinese, alla loro emancipazione e al pagamento di un indennizzo da parte di Israele; no a un loro ritomo all'interno dei confini dello Stato ebraico. Vorrei spiegare ai lettori italiani che han�no ancora un briciolo di energia residua da dedicare al conflitto israelo-palestinese il motivo che mi ha portato a firmare con grande convinzione tale dichiarazione. Vor�rei farlo, però, con un esempio concreto, immaginando la storia di un profugo palestinese che chiame�rò Abu Salem, desideroso di tomare in Israele e restio a stabilirsi in Palestina. Il mio scopo è di mostra�re con chiarezza, per mezzo di un'ipotesi plausibile, il motivo per cui anche coloro che si battono ormai da molti anni per la pace e per un compromesso non possono accettare la logica di tale richiesta. Supponiamo che Abu Salem ab�bia sessant'anni e sia originario di Lod, una cittadina poco lontana dal principale aeroporto d'Israele, a 10 chilometri da Tel Aviv, 45 da Geru�salemme e 50 dal campo profughi di Kalandia, presso Ramallah, dove Abu Salem ha vissuto negli ultimi 52 anni. I suoi famigliari fuggirono (o vennero cacciati, a seconda delle circostanze) da Lod durante la guer�ra del 1948, dopo che i palestinesi rifiutarono di riconoscere la divisio�ne della Palestina sancita dalle Nazioni'Unite e la fondazione di uno Stato ebraico a fianco di quello palestinese. A quel tempo Abu Sa�lem aveva otto anni e da allora è vissuto nel campo profughi situato a soli 50 chilometri di distanza dalla città dei suoi padri, di cui ha un ricordo molto vago e che i suoi figli e nipoti non conoscono. Perché Abu Salem è rimasto in un campo profughi per tutti questi anni? Ap�parentemente ha rifiutato di trova�re una sistemazione definitiva a Kalandia in quanto ha continuato a coltivare il sogno di tomare alla casa appartenuta alla sua famiglia. Eppure, pur senza rinnegare tale sogno, avrebbe potuto crearsi ima vita normale in una vera casa evi�tando di rimanere nella misera baracca di un campo profughi affol�lato e squallido deprecabili e di dipendere per il proprio sostenta�mento dall'Unrwa, l'organizzazio�ne di aiuto ai profughi palestinesi creata dall'Onu. Con un po' di buo�na volontà avrebbe potuto condur�re un'esistenza dignitosa a 50 chilo�metri dalla sua città natale in atte�sa dell'opportunità, in seguito a ima guerra o un accordo, di tomare nella dimora dei suoi avi. Invece lui, ma soprattutto i suoi leader, hanno deciso di rendere permanen�te quella situazione di profugo in patria, con tutta l'umiliazione e la miseria che ne conseguono, cos�da poter mantenere una posizione che permettesse ad Abu Salem di riven�dicare il diritto al ritomo. Cerchiamo inoltre di immagina�re che cosa succederebbe qualora Israele accettasse la rivendicazione dei profughi e concedesse ad Abu Salem di tomare alla sua casa di Lod. L'edificio ormai non esiste più. O è stato demolito e al suo posto è stato costruito un condominio, op�pure vi abita qualcuno che lo ha ristrutturato in maniera irriconosci�bile. Sarebbe inconcepibile che, per restituire ad Abu Salem la casa dei suoi genitori, o il pezzo di terreno su cui questa sorgeva, il condomi�nio venisse abbattutto e duecento o trecento persone venissero fatte sgomberare, trasformandosi cos�in nuovi profughi. Nella maggior parte delle zone in cui vivevano i palestinesi 52 anni fa sono state costruite strade, fab�briche, quartieri. La città di Lod si è sviluppata, si è ampliata e occorre�rebbe distruggerne gran parte per poter restituire ad Abu Salem e agli altri profughi le loro proprietà. A questo punto forse Abu Salem direbbe: sì, capisco, è difficile resti�tuirmi ciò che mi apparteneva poi�ché questo comporterebbe una di�struzione troppo grande. Però con�cedetemi almeno la possibilità di tomare a vivere a Lod, la città dei miei avi. .Andiamo allora avanti con la storia ipotizzando che lo Stato d'Israele metta a disposizione di Abu Salem e degli altri profughi un appezzamento di terreno alla perife�ria di Lod su cui verrà costmito il quartiere nel quale abiteranno. Quel luogo non ha mai fatto parte della città in cui sono vissuti i loro progenitori. L�non troveranno il profumo degli agrumeti o degli ulivi che per anni hanno rimpianto. Da un punto di vista amministrati�vo saranno cittadini di Lod che, però, non è più la città della loro infanzia. Vivranno in uno Stato ebraico di cui non conoscono la lin—a, la cultura, la religione, il cui inno •h cui bandiera sono simboli del movimento sionista, il cui modo di vita è prettamente occidentale. Costituiranno una minoranza etni�ca alienata con un tenore di vita molto più basso di quello dei loro fratelli arabi vissuti in Israele fin dal giorno della sua fondazione ma che ancora lottano per i propri diritti. Sarebbe questa una degna realizzazione del loro sogno? Abu Salom e gli altri profughi si imbatte�rebbero fin dal primo momento nell'ostilità della popolazione ebrai�ca, verrebbero di continuo sospetta�ti di attentare alla sicurezza di uno Stato che odiano per principio. Che senso avrebbe una soluzione di questo tipo quando esiste un'alter�nativa più allettante e opportuna? Sì, l'alternativa sarebbe vivere a 50 chilometri da Lod, accettare i lauti risarcimenti che Israele garan�tirebbe ai profughi in cambio delle proprietà appartenute alle loro fa�miglie, abitare in case nuove, co�struite per loro sulle colline di Ramallah, vivere nella patria pale�stinese che è stata la loro per gli ultimi 52 anni, a fianco dei loro fratelli in uno Stato con una propria bandiera, di cui conoscono la lin�gua e le leggi, di cui saranno cittadi�ni a pieno diritto e del quale potran�no scegliere liberamente la forma di govemo. Non è forse questa la giusta alternativa? Non è la soluzione più logica per un adeguato riscatto dei profughi che eviterebbe a Israele di trasfonnarsi in una nazione dalla doppia etnia con tutti i problemi e le complicazioni che ne possono scaturire? Dopo tutto oggigiorno non è insolito spostare la propria residenza non solo di una cinquanti�na di chilometri ma anche di centi�naia senza per questo essere consi�derati profughi o esiliati. I palestinesi che insistono in maniera assurda sul diritto al ritor�no non vogliono la pace ma la giustizia. Come Michael Kohlhaas, nel famoso racconto di Von Kleist, sono disposti a distruggere l'intera regione pur di ottenere la giustizia assoluta (secondo il loro punto di vista). Ma come ha scritto il meraviglioso poeta israeliano Yehuda Amichai, deceduto nel corso dell'ultimo anno, «laddove si vuole imporre a tutti i costi la giustizia non sbocce�ranno mai fiori». Copyright La Stampa «La giusta alternativa sarebbe di restare dov'è, rinunciando alla giustizia in cambio della pace» «Anche coloro che da anni si battono per la pace non possono accettare quella sua richiesta»

Persone citate: Abu Salem, Michael Kohlhaas, Von Kleist, Yehoshua, Yehuda Ami