Bloomberg story, un modello per i falchi del Polo
Bloomberg story, un modello per i falchi del Polo IL NUOVO SINDACO DI NEW YORK CRITICATO PIÙ PER IL FINANZIAMENTO RECORD DELLA CAMPAGNA CHE PER LA CONCENTRAZIONE DI POTERI Bloomberg story, un modello per i falchi del Polo «Gli Usa non demonizzano un politico-imprenditore». Sartori: ma i casi sono diversi personaggio Jacopo lacoboni NEL giomo del passaggio del testimone, era martedì, il «New York Times» accolse così il' nuovo primo cittadino: «Goo¬ dbye, Rudy tuesday», facendo il verso a una vecchia canzone dei Rolling Stones e lasciando mten- dere die era più importante il saluto a Rudolph Giuliani, uscen¬ te, del benvenuto a Michael Bloomberg, entrante. Del resto «Mike» aveva cominciato a diven¬ tare sindaco della capitale del pianeta quando «Rudy» aveva det¬ to: «Votatelo, è il mio uomo». Ma era davvero così secondario il candidato che aveva tagliato il traguardo, il ricchissimo indu¬ striale dei media Bloombeig? No, almeno per i temi che la sua «discesa in campo» ha ripro¬ posto: il conflitto di interessi, il finanziamento della politica, i rap¬ porti tra denaro e potere. Per di più, con un nesso immediato. tangibile, con l'Itaha: al. punto che il repubblicano Bloomberg è diventato anche da noi una ban¬ diera. Il centrodestra - con un giornale d'area come il «Fogho» - la impugna per dimostrare che «in America nessuno ha avuto granché da obiettare alla Bloom¬ berg story», che quel paese si occupa «degh abusi d'interesse effettivi, ma non erige barriere contro la partecipazione dei ric¬ chi alla pohtica». Dobbiamo, co¬ me chiede Gustavo Selva di An, ((prendere esempio»? È vero, co¬ me sostiene il leader della Mar¬ gherita Francesco Rutelli, che «siamo l'unico paese al mondo ad avere questo tipo di conflitto»? Itaha, America: esistono delle affinità che saltano agh occhi tra la storia di Bloomberg e quella di Berlusconi presidente-imprendi¬ tore. Anche lì c'è un self made man, un tycoon nei media, uno che nella scheda elettorale fa dire di sé «quest'uomo ha dimostrato un approccio manageriale aggres¬ sivo nel settore privato, e adesso vuole fare lo stesso come sindaco numero 108 della città». Ricorda qualcuno? In realtà, osserva Giovanni Sar¬ tori - professore alla Columbia di New York ed esperto di sistemi antitrust Usa - il paragone con il presidente del Consiglio itahano rischia di essere fuorviante. Per¬ ché uno - il Cavaliere - governa e può, con la maggioranza, legifera¬ re, l'altro amministra e non fa leggi. E perché l'italiano (dia ima posizione di semimonopolio, men¬ tre Bloombeig ha tanti concorren¬ ti editoriah». Oltretutto, sostiene Sartori, se gli americani avessero annusato U rischio di conflitto d'interessi avrebbero protestato, «giornali come il New York Times avrebbero scorticato il sindaco». Però non l'hanno fatto. Vuol dire che oltreoceano non è stato evocato lo spettro dei conflitto d'interessi? In effetti, nella capitale finanziaria degli States la riedizione del matrimo¬ nio politica-denaro - dopo Ross Perot, dopo Forbes, dopo la cam¬ pagna di Ronald Laudar, avversa¬ rio perdente, alle primarie, di Giuliani - ha suscitato qualche critica, ma non rivolte: Bloom¬ berg ha risposto ai timori assicvi- rando che, da sindaco, non con- troUerà la sua azienda. Che forse metterà le sue azioni in un blind trust. Che magari venderà: un'of¬ ferta ci sarebbe già, venti milioni di dollari dal gruppo canadese Thomson Corporation. Il punto, sostiene Sartori, è che qui un conflitto d'interessi in senso tecni¬ co non c'è: «La legislazione anti¬ trust è federale, non cittadina». Tocca, cioè, i membri del governo (che possono sceghere se accor¬ darsi con l'Authority competente - attraverso un programma di prevenzione del conflitto di inte¬ ressi - oppure affidare il controllo aziendale a im blind trust, in cui il fiduciario è tenuto alla piena indi¬ pendenza dal proprietario). Morale: mentre il Parlamento itahano sta per affrontare il nodo del conflitto d'interessi, in Ameri¬ ca le accuse più acuminate al neosindaco-magnate sono arriva- ' te da un altro fronte: il finanzia¬ mento della campagna elettorale. Con quali argomenti? Bloombeig guida una società, la Bloomberg LP, che in vent'anni è arrivata a competere con Reuters e Dow Jones nell'informazione e nei ser¬ vizi finanziari, nel Duemila ha ricavato 2,4 miliardi di dollari, ha 7200 dipendenti (1200 giornali¬ sti) in cento redazioni in tutto il mondo. Partito come figlio di un lattaio, ((Mike» s'è costruito una fortuna di quattro miliardi e mez¬ zo di dollari, 9000 miliardi di lire. Manifesta, anche, l'orgoglio di chi viene dal nulla quando dice «mi piacciono teatro, ristoranti e inse¬ guire le donne»: tra le sue ex famose. Diana Ross. E ammette senza problemi: «Mettetela così, sono single e miliardario a Manhattan. Cosa pensate? È un sogno». L'inaibo, dicono gli av¬ versari, è che questi soldi li ha usati, anche, per pagarsi la campa¬ gna record della storia. Ha scelto di ignorare la «city's campaign finance law», la nonna cittadina sul finanziamento elet¬ torale, che fissa un tetto alle spese di 5 milioni 231 mila dollari per le primarie e lo stesso per le generali da sindaco. Ha speso 69 mihoni di dollari per ribaltare un pronostico che, a giugno, lo vede- ya sotto rispetto al democratico Mark Green di 40 punti. Ogni voto gh è costato 92,60 dollari, più o meno come in un'esemplare campagna elettorale ad Atlanta raccontata da Tom Wolfe in Un uomo vero, ma quello era un romanzo. li nuovo sindaco di New York, il repubblicano Michael Bloomberg, è proprietario di un'azienda di informazione e servizi finanziari
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