Fuksas: da quarant'anni cerco la magia della casa di Alain Elkann

Fuksas: da quarant'anni cerco la magia della casa Fuksas: da quarant'anni cerco la magia della casa Alain Elkann MASSIMILIANO Fuksas, ar¬ chitetto, è seduto in un caffè d'angolo dietro piazza cam¬ po dei Fiori a Roma. E' vestito di nero, come sempre: pullover, pantaloni, cappotto e sciarpa. Sorride, ordina un cappuccino. Fuksas è nato a Roma nel 1944, figlio di un medico lituano e di una professoressa di filosofia romana. Suo padre è morto quan¬ do lui era ancora un bambino. Che educazione ha ricevuto? «Ho studiato alle elementari pri¬ ma in Austria, per tre anni, e poi sono tornato a Roma. In quarta e quinta elementare mi è capita¬ to il vero maestro di scuola e di vita, che è Giorgio Caprone. Allo¬ ra lui era poverissimo, come tutti all'epoca in Italia. Mio pa¬ dre era morto, mia madre inse¬ gnava. Caprone aveva due fighe e viveva in una casa popolare in periferia. Io tornavo a casa a piedi da solo, come facevano allora tutti i bambini. Lui mi portava a casa sua a colazione. Ricordo che suonava il violino e mi faceva giocare con il trenino elettrico. Ogni tanto mi dava dei libri di poesia, preferibilmente di Ungaretti. Ricordo che, quan¬ do vinse il premio Viareggio, gli chiesi: "Che impressione le fa?", mi rispose che aveva risolto alcuni problemi economici». Quando decide di diventa¬ re architetto? «Non l'ho mai deciso e ancora oggi ne sono poco convinto. An¬ che se da trent'anni mi sembra il mestiere migliore per occupar¬ mi dei temi che mi interessano. Le case non hanno anima, l'ac¬ quistano se imo gliela dà, se gli dà una magia». Come si fa a dare una ma¬ gia ad una abitazione? «Non so. Come diceva Mozart, "Le note sono sospese, vanno prese". Le cose sono là, ci sono. Bisogna capire il momento più opportuno per prenderle. La mu¬ sica secondo me è la cosa più vicina all'architettura». Qual è la sua prima opera importante? «Sono uno dei pochissimi archi¬ tetti della mia generazione che ha avuto la fortuna di progettare a 26 anni: nel '71 un piccolo palazzetto dello sport e poi nel '76 costruii a Taliano una pale¬ stra che è il primo edificio che mi ha fatto conoscere e odiare anche fuori d'Italia: la facciata sembra un edificio che crolla. Era la metafora di un mondo che scompariva». Chi la odiava? «Il mondo accademico non ave¬ va simpatie per me perché il mio modo di fare architettura era fuori dai canoni. Io davo al mio mestiere un carattere letterario simbolico e politico». Quando ha raggiunto il suc¬ cesso? «In Francia, dove ho costruito 35 edifici». Perché ha scelto di andare a lavorare in Francia? «Quando Mitterand vinse le ele¬ zioni nell'Sl la Francia chiamò gli architetti di mezzo mondo perchè voleva ritrovare il suo volto intemazionale». Così andò a stare a Parigi. «Ero giovane, non avevo quattri¬ ni, sono stato invitato ad una mostra importantissima. Non ero stato mai pubblicato e mi venne dedicato un numero qua¬ si monografico della rivista più importante di architettura, Ar- chitecture d'Aujourd'hui, con¬ temporaneamente a ima confe¬ renza e a ima mostra al Beau- bourg. Da lì cominciarono i miei primi progetti». A che punto è oggi l'archi¬ tettura? «Ci sono ottime promesse, molti giovani architetti italiani sono bravi, devono solo avere occasio¬ ni di lavoro per potersi esprime¬ re». Quali sono i migliori? «C'è un gruppo romano molto buono che si chiama Jan-I-, è bravissimo Gino Zucchi a Mila¬ no. Saranno una decina i migho- ri» Era direttore della sezione architettura della Bienna¬ le ed è stato mandato via, perché? «C'è stato uno scontro molto duro con il presidente. Lui ave¬ va annullato uno degh organi¬ smi statutari: il comitato scienti¬ fico, che riunisce i direttori. Aveva accentrato il potere e teneva un rapporto fiduciario con ognuno dei direttori. Ora però quell'epoca è finita». Che cosa augura alla nuova Biennale? «Che sia giovane e indisciplina¬ ta. Baratta mi accusava di esse¬ re indisciplinato, ma non credo sia un difetto: non faccio il manager. Non avrei dovuto ac¬ cettare l'incarico alla Biennale perché prima Baratta ed io era¬ vamo molto amici e mi dispiace aver perso la sua amicizia. Però la mia Biennale è stata un succes¬ so e la rifarei». Che cosa ha provato il gior¬ no dell'attentato alle Torri di New York? «Se penso che a luglio ho inaugu¬ rato due Torri a Vienna e l'II settembre ho visto la fine della grande esaltazione di costruire in altezza, è veramente incredi¬ bile». Ora Gambiera l'architettura? «Cambieranno gli architetti. Il dramma delTH settembre non rappresenta solo la distruzione di una parte di Manhattan e la morte di migliaia di persone. E' incredibile pensare che 350 mila persone lavorano in quel settore oggi devastato. Se volessimo co¬ struire estensivamente, dovrem¬ mo pensare a 250 ettari e non a 6 che erano quelli occupati dalle Torri». Qual è il destino delle mega¬ lopoli? «Bisogna tenere conto del fatto che 3 mihardi di abitanti su 6 vivono in aree urbane. La solu¬ zione è ad alta densità. In Cina nei prossimi 10 anni 600 mihoni di esseri umani si sposteranno nelle megalopoli e la tendenza di costruire "in altezza" sarà incre¬ mentata». Gli interventi più impor¬ tanti in Italia? «Ho vinto il concorse a Torino per il grattacielo che dovrà riuni¬ re tutti i servizi della Regione Piemonte. Il progetto si chiama "Unico"». Come si può intervenire nei centri storici? «Sconsiglierei chiunque oggi di intervenire con architetture contemporanee nelle aree sto¬ riche delle nostre città, perché sono quelle che ancora funzio¬ nano meglio e hanno una mi¬ gliore coesione sociale. Biso¬ gna invece recuperare la peri¬ feria». «In futuro si costruiranno sempre di più i grattacieli perché la tendenza è di tornare a vivere nelle metropoli come accade in Cina» a. L'architetto Massimiliano Fuksas. A sinistra, la Biennale

Persone citate: Biso, Fuksas, Gino Zucchi, Giorgio Caprone, Massimiliano Fuksas, Mitterand, Mozart, Taliano, Ungaretti