Primo giorno di scuola dopo cinque anni per le bambine di Kabul

Primo giorno di scuola dopo cinque anni per le bambine di Kabul .VnrA A LEZIONE TRA LE ROVINE DELL'ISTITUTO ALFATH Primo giorno di scuola dopo cinque anni per le bambine di Kabul Caduti i divieti imposti dai taleban, è cominciato il corso invernale Non ci sono acqua, riscaldamento ed elettricità. Mancano banchi, sedie e cattedre. Le maestre hanno deciso di insegnare gratis reportage Pierangelo Sapegno \ ,Lv,'::;:;:-'-,ì:;:.,v-,:::| inviato a KABUL IL muro è crepato perché per cinque anni la scuola Alfath era stata chiusa, e sul vetro rotto della finestra non c'è neanche un cartone. Dal vuoto spalancato sul cortile di terra, si intravede il cancello che hanno appena riaperto spezzan¬ do il lucchetto con una tena¬ glia. E' la classe seconda, al primo piano. Sezione? «No, nes¬ suna sezione». Parwin Tabebza- da apre la porta di legno scro¬ stato, con la maniglia che cede e la vernice che si stacca, e lo sguardo si affaccia su 151 bam¬ bine sedute a terra: non c'è neanche un banco, neanche una sedia, neanche la cattedra. Non c'è nemmeno un registro. E i loro nomi? «Ah, adesso questa è la cosa meno importan¬ te». Ci sono tre maestre, in piedi, con le coperte addosso per ripararsi dal freddo, e que¬ sta folla di cuccioli accovaccia¬ ti a terra. C'è solo la lavagna, così consumata che non è nem¬ meno più nera. C'è soltanto un livello per tutte, nient'altro che delle pagine pinzate insieme: l'altra maestra. Amina Farid, le legge a voce alta, e poi le riscalda sul suo seno. Oggi si studia^ geografia: l'Asia; - E la signora Amina confessa che di nascosto ha cercato di allenare la memoria, per cinque anni. Mfà1 non basta. «Faremo i libri alla fine dell'anno, sulle nostre lezioni. Anche noi torniamo a scuola». Nella classe seconda, le bambine hanno dagh otto ai dodici anni. Le maestre inse¬ gnano gratis: non c'è nemmeno una hra per comprare un gesso. L'unico gesso l'ha portato Shar- nam da casa, fila numero sei, a sinistra. Shamam ha dieci an¬ ni, e da grande vuole fare la maestra: per questo giocava con il gesso a casa. Se lo ricordava. Questa mattina, con l'inizio del corso invernale, hanno ria¬ perto la scuola alle bambine dopo cinque anni di taleban, quando era vietato studiare alle donne. Dovreste venir qui, a guardare questi occhi, per capire l'omicidio che hanno commesso. Gli occhi di Moujan sono verdi e pieni di curiosità. Ha dodici anni. Vuol dire che ha fatto in tempo a fare la prima elementare e poi ha dovu¬ to chiudersi in casa per cinque anni. Khujiasta ha nove anni, occhi a mandorla, paffutella, e vuole fare il dottore: sognava che riaprissero la scuola, come un bambino può desiderare un gioco in regalo. Dice: «Io ci speravo un giornee lo chiedevo a papà e mamma». L'altra mae¬ stra Crulghutai Laiduma, dice che: «Siamo tutte state condan¬ nate e imprigionate nelle case, grandi e piccole. Per noi, que¬ sto è un giorno indimenticabi¬ le. Finalmente siamo libere». Su per le scale pericolanti che portano al secondo piano, le pareti non hanno nemmeno più la pittura di bianco. Le schegge di vetri rotti sono posate accu¬ ratamente tra una rampa e l'altra. Il vice preside dice che non si può fare altrimenti: «Non abbiamo niente. Non pos¬ siamo pagare neanche un bidel¬ lo. Le maestre insegnano gra¬ tis. I bidelli no. Poco per volta dobbiamo fare tutto». Nell'uffi¬ cio del direttore, Mohammed Ismail, ci sono otto donne sedu¬ te sulle uniche poltrone sfonda¬ te di tutto l'edificio: «Sono volontarie. Adesso dividiamo le sezioni e ci daranno ima ma¬ no». Molte di loro non devono essere neanche diplomate e lau¬ reate. Sono mamme: insegne¬ ranno alle bambine le quattro cose che sanno loro e che hanno insegnato ai loro figli. Al secondo piano, c'è la terza C. Il vice preside che ci accom¬ pagna dice: «In piedi!», tutte le bambine si levano con l'indice alzato. Anche qui niente ban¬ chi, niente quaderni, niente penne, solo qualche tappetino per terra. Non c'è acqua, non c'è riscaldamento, non c'è elet¬ tricità. Le bambine tengono delle vesti lunghe per cappotti. Nella terza hanno già comincia¬ to a far le divisioni per-sezioni. Alla C, sono in cinquanta. La maestra: «Abbiamo letto la pri¬ ma pagina del libro di gramma¬ tica. Poi'abbiamo flatto anche' aritmetica». Mostra il livello che stanno studiando adesso, «la lettura di Dah», un testo in afghano. Facce curiosissime. Al¬ tra classe, Nassima Tuqhi, la maestra. Fa un freddo cane. Le bambine con i guanti, le coper¬ te addosso, rannicchiati insie¬ me sul pavimento. Qualcuna sta in ginocchio sulla terra. Algebra, aritmetica, disegno e scrittura^ma senza-libri, spie¬ ga Nassima, «ancora, non pos¬ siamo». Però, non importa. Malhia, tredici anni. Qual è la, cosà'piùhéUa oggi?'(KAvèr ritro¬ vato la maestra». Era la stessa cinque anni fa? «Sì». E le compa¬ gne? «Me le ricordavo. Ma loro qualche volta le incontravo. Padevasha, dodici anni: «E' il primo giorno, non ero mai anda¬ ta a scuola». La maestra Nassi¬ ma: «Sono molto interessate, hanno voglia d'imparare. Non siamo pagate, ma è una gioia lo stesso. Queste bambine sono come me, che esco dal buio anch'io. Proviamo la stessa co¬ sa. Le prime parole che ho detto, mi veniva da piangere. Poi ho capito che avrebbero voluto imparare anche quello, e allora non ho pianto». Terzo piano, l'ultimo. La set¬ tima B. Maestra, Salila Yadjwar. Susanna, diciassette anni, era la più brava prima che i taleban chiudessero le scuole .delle donne. - Hai-fetto qualcosa in tutto questo tem¬ po? «No, non potevo. Solo cuci¬ to». In qqesta classe, sono. 45;. va già bène. ShaSàna, sedici anni, si alza in piedi come se recitasse una lezione: «La guer¬ ra ha distrutto questo paese. bambini, donne, uomini e i giovani. Molte famiglie hanno dovuto scappare in Pakistan. Per le donne, le guerra è ancora più pericolosa che per gli uomi¬ ni. Il popolo delTAfghanistan è stanco, non ce la facciamo più». L'aula ha le solite pareti scro¬ state, dei fihiSlettricàehe pendo¬ no dal soffitto, senza lampadi¬ ne. Non c'è luce, non c'è niente. Siccome nqn s'è. nemmeno, il gesso, Arzdo- scrive con una penna sulla lavagna: «My na- me is Arzoo. My father Fareed is a teacher». Il vento che entra dal solito vetro rotto scompi¬ glia qualche velo. Che cosa volete fare da grandi? Molte rispondono «la maestra». Ma se uno chiede: nessuno il giornali¬ sta?, scattano tutte in piedi con il dito alzato. E' come al cine¬ ma. Forse non centra niente, ma ci viene in mente il Vange¬ lo. Matteo, 18,5: «Chi invece scandalizza anche uno solo di questi bambini, sarebbe meglio per lui che gh fosse appesa al collo una macina e fosse getta¬ to negli abissi del mare». Il direttore Ismail ci insegue sul¬ la porta, suUe scale che scendo¬ no nel cortile di terra incolta: «Scrivete, scrivete quel che ve¬ dete. Forse qualcuno ci aiuterà. Ancha-deirelemosina abbiamo bisogno». Sul cancello, due donne "in burqa chiedono l'elemosina. Per fortuna c'è 'un' po' ^di 'sóle. Nella seconda classe, le bambi¬ ne stanno imparando dov'è l'Af¬ ghanistan. Le 151 allieve ascoltano la lezione sedute a terra con le coperte addosso per ripararsi dal freddo Le insegnanti: faremo i libri alla fine dell'anno basati sulle nostre lezioni Ricominciamo da zero «Siamo state imprigionate nelle case, grandi e piccole E' un giorno indimenticabile Torniamo a essere libere» Una classe in una scuola elementare di Kabul: da questi giorni anche le bambine hanno potuto, dopo cinque anni di regime taleban, tornare alla lavagna

Persone citate: Mohammed Ismail, Nassi, Pierangelo Sapegno

Luoghi citati: Asia, Kabul, Pakistan