D'ARZO

D'ARZO D'ARZO Un mistero sull'Appennino1 M ONTALE definì il suo «Casa d'altri» «un racconto perfetto». Ma il giudizio poeticamente critico più vero e più intenso è di Francesco Biamonti, «l'angelo di Avrigue» recentemente scomparso: «La grazia gli ha perforato le mani». Lui è Silvio D'Arzo (al secolo Ezio Comparoni, il cognome della madre - sempre ignota resterà l'identità del padre), fra ì cavalieri solitari della nostra letteratura. Una parabola brevissima. Nato a Reggio Emilia nei 1920, scomparve trentaduenne, sempre a Reggio, folgorato dalla leucemia. Si era laureato in Lettere (Glottologia) a Bologna, nel 1941, dedicandosi quindi all'insegnamento. Esordi giovanissimo - a quindici anni - con una raccolta di poesie, «Luci e penombre», e «Maschere», racconti di paese e di città. Nel '42, da Vallecchi, apparve «All'insegna del Buon Corsiero», «uno squisito capriccio neosettecentesco», com'è stato salutato, alla maniera di Stevenson, «Casa d'altri» uscì postumo, nel '53 (ora è nel catalogo Einaudi). Nel 2002, per i tipi del «Cavaliere azzurro», la casa editrice della Fondazione Monte di Parma, uscirà l'opera omnia di Silvio D'Arzo (anche le lettere), a cura di Fabrizio Frasmedi e Alberto Bertoni. Auspice io scrittore parmigiano Guido Conti («Il coccodrillo sull'altare», «Il taglio della lìngua» ed. Guanda), direttore della rivista «Palazzo Sanvitale» (tei. 0521/774247). Il sesto numero ha una sezione dedicata a D'Arzo: vi ospita un capitolo inedito della «Casa», «L'annegata» (ne pubblichiamo una parte). La storia. Appennino emiliano, la vecchia Zelìnda, piegata e piagata dalla malora («Ecco che cosa faccio io; una vita da capra») disorienta il prevosto - «una corporatura e una faccia alia Falstaff» - chiedendogli se la Chiesa, talvolta, può sospendere la regola, se, «senza fare dispetto a nessuno», fosse possibile «avere il permesso di finire un po' prima», si, «uccidersi...». E' lei l'annegata? Bruno Quaranta L'INEDITO Silvio D'Arzo i A storia è bella se è corta, lo so. E ormai è ora di chiudere. Io per L» me non ho niente inten¬ zione di tenerla aperta un minuto di più. E questo è tutto. Una storia da un sol do. «E tu fa come le donne», dicevo. «Dimentica. Volta pa¬ gina e scorda ogni cosa. Neve d'anno: acqua passata; dimentica. Fa come fanno le donne. Sono grandi, per que¬ sto, le donne, e hanno da insegnarci un bel mucchio di cose». E non fu neanche una cosa difficile. No: tutto som¬ mato non fu proprio una cosa difficile. Staccare un foglio dal lunario in cucina lo è appena due volte di più. Dieci giorni più tardi, al tramonto, passarono bran¬ chi di anatre. Sparirono die¬ tro il passo del Valico. «Ed ecco la neve», pensai. Verso tardi, finito il crepu¬ scolo l'acqua cominciò di col¬ po a cambiarsi in nevischio. Un sasso batté contro i vetri. Guardai in giù, fra la pioggia e la neve. Nella stra¬ da, tre, quattr'ombre e an¬ che più a faccia all'aria. «Al canale è caduta una donna», gridarono. «Una brutta caduta. Una vec¬ chia... E ormai pare che sia roba per voi». «Adesso vengo», dissi io. «Corro subito». «Farebbe bene far presto, però. Stanno tirandola su». «E al dottore ci avete pensato?». «Non è più roba sua. E' roba vostra». «Uno vada giù a valle», dissi io. «E' roba vostra», rispose¬ ro ancora, «stanno tirandola fuori dall'acqua». «Adesso vengo», dissi io. Bene. Se quella sera vole¬ vamo, correre, si levarono tutti la voglia. Me li lasciai indietro tutti quanti più uno, e c'era un ragazzo o anche due e perfino uno sui trenta; un pastore. Di sull'ar¬ gine, in mezzo al nevischio, un'altra ombra mi gridò qualche cosa. Ma io ansima¬ vo e non sentivo più di tanto, e nemmeno riuscivo a vederla. Le lanterne erano tutte più giù, in riva all'ac¬ qua. E allora l'ombra rotolò giù lungo l'argine fra la fanghi¬ glia, le pozzanghere e tutto, né più né meno che un bracco da caccia. Non pensai nemmeno a scansarla, vi dico: è così coprì d'acqua e di melma anche me. Quello sciocco del mio mezzo chieri¬ co. «Niente paura, reveren¬ do», gridò, «non è quella della capra e gli stracci». Uno si voltò verso di noi. E adesso stava anche a sentirci: «Ecco proprio un parlare da stupido», dissi. «Anch'io l'ho pensato co¬ me voi, sul momento. E sono corso fin qui. E poi invece è nient'altro che una vecchia di Bramo». «Beh, adesso smettila», dissi. «Non mi è mai capita¬ to di sentire uno parlare così. Mai in trent'anni, pa¬ rola. E per giunta sei chieri¬ co, no?». Io però cominciai a respirare. Gli altri intanto la tirava¬ no su. Si sentiva un pestare nell'acqua, e poi un arrancar su per l'argine. Uno scivolò quasi al fondo. Che posto! quasi peggio che andare sul ghiaccio. Dopo un po', sopra l'argi¬ ne comparve la prima lanter¬ na. E poi un'altra. E poi la schiena di un uòmo, e poi i piedi della vecchia annega¬ ta. Mi sentii mezzo in colpa. «L'una o l'altra è lo stesso per me», provai a dire al ragazzo. «Va da sé. Tutte uguali. E anche tu dovresti arrivarci, direi». Il ragazzo si tirò ancor più su il bavero. «Tanto più che sei chieri¬ co, no?». «Bene. Io no. Io non ci arrivo». Tentai di cambiare discor¬ so. Gli misi una mano sul bavero. «La mia pelle di coniglio, o mi sbaglio?». «No no. Io non ci arrivo per niente». «E le altre dove le hai messe?», dissi io. Il fatto è che la mia acco¬ glienza era stata un po' fred¬ da per lui: e adesso era offeso sul serio. «E allora, se voi ci arriva¬ te, perché non avete nean¬ che il cappello? Con le altre non avete mai fatto così. Tutte le volte vi siete messo il cappello». Un mezzo chieri¬ co. Uno sciocco e nient'altro. «E anche se era bel tem¬ po», finì. «Fatti in là», lo spinsi io da una parte. «Non vedi che la portano giù?». Ormai era¬ no già sulla strada. Volli dare un'occhiata alla vec¬ chia. La portavano in quat¬ tro. Faceva acqua da tutte le parti ed era piccola come un bambino. Anche il ragazzo volle darci un'occhiata. «Però un po' ci assomi¬ glia», notò. Voleva fare la pace. Era chiaro. «Sì. Nelle scarpe», dissi io; e tirai avanti. «Al¬ l'osteria», disse uno. Tutti quanti ci avviammo di là. Il ragazzo mi camminava di dietro. Non vicino, però. A due o tre passi. UN CAPITOLO RITROVATO DI «CASA D'ALTRI» (MENTRE SI PREPARA L'OPERA OMNIA DELLO SCRITTORE EMILIANO): LA VECCHIA ZELINDA CHIEDE AL PARROCO, DISORIENTANDOLO, SE SIA POSSIBILE «AVERE IL PERMESSO DI FINIRE UN PO' PRIMA). E' LEI L'ANNEGATA? nino1 «Ecco proprio un parlare da stupido», dissi. «Anch'io l'ho pensato co¬ me voi, sul momento. E sono corso fin qui. E poi invece è nient'altro che una vecchia di Bramo». «Beh, adesso smettila», dissi. «Non mi è mai capita¬ to di sentire uno parlare così. Mai in trent'anni, pa¬ rola. E per giunta sei chieri¬ co, no?». Io però cominciai i

Luoghi citati: Bologna, Reggio, Reggio Emilia